Oriens
origo organica, studio / fantasia su una danza del ‘300
esplora innanzitutto alcune
possibilità
timbriche dell’organo antico date dal collegamento
diretto, meccanico/analogico,
dei
registri a pomelli con le valvole attraverso cui l’aria
dei mantici,
ora meccanizzati, passa nelle canne. I
suoni che
si ottengono con posizioni ambigue dei registri-tra aperti
e chiusi- sono
ancora più ambigui fenomeni transitori, residui
umbratili che però
chiariscono e dispiegano la natura composta del suono, il
suo originarsi
da un coaugulo di forze insieme spiranti, che solo a un
certo momento si
riuniscono in stabile accordo. A somiglianza di
ciò, due situazioni:
un duo organista-registrante, che non costituisce, come
nei normali duo,
una somma di due voci, ma il prodotto di un’interazione in
cui l’uno può
vanificare o potenziare le azioni dell’altro (non
suonando, non mettendo
registri, o mettendoli in modo da rendere irriconoscibile
quanto viene
suonato). Altra conseguenza logica di questa struttura
aperta del suono,
la precisa indicazione nell’uso delle file di ripieno,
presenti negli organi
antichi con più ricchezza e flessibilità che
in quelli moderni,
permettendo una sintesi intuitiva di timbri che precorre
la concezione
timbrica come somma di componenti armoniche e la relativa
sintesi elettronica
del suono. Come appunto certe partiture elettroniche, il
suono non viene
descritto da un singolo segno sintetico, ma
dall’interazione tra un livello
riguardante le altezze e un altro che tenta di descriverne
il timbro. Così,
sopra
la parte dell’organista, che indica in modo tradizionale
ritmi e
altezze potenziali, (in assoluto solo i gesti che egli
compie), vi è
una parte altrettanto importante affidata al registrante,
che ha precise
indicazioni ritmiche, di registri e di quale fenomeno
timbrico cercare
(più a orecchio che col gesto sulle manopole). L’elaborazione
timbrica
avviene sulla base di una musica di danza, una estampie
del frammento
di Robertsbridge (ca.1325-1350), uno dei più
antichi se non il primo
dei manoscritti superstiti di musica per tastiera, ma
frutto di esperienza
musicale matura, anzi recante soluzioni uniche di
equilibrio tra sistemi
musicali di diverse aree, epoche, strati sociali, in
seguito assai più
difficilmente coniugabili. Richiami alle origini della
polifonia, all’organum
oltre che alla struttura fonica dell’organo (quinte
parallele), alternati
a passi in cui due voci si sovrappongono in quasi
omofonia, procedimento
assai più tipico della musica orientale, provocano
un lapsus su
altra memoria pseudo-organistica forse bizantineggiante,
quella dei siciliani
lamienti o ladate, o su un passo primitivo del Liszt
tardo, questo nè
liturgico nè organistico. Della danza originale
resta l’ostinato
aggrapparsi al tenor, e qualche refrain più di
superficie. Quale
trofeo
di tante difficili avventure timbriche, dopo essere stato
per un
momento ai mantici, l’antico servile ufficio, il
registrante riporta una
canna su cui suona direttamente, non più attraverso
valvole e pomelli.
Si aggiunge un organo a bocca orientale, strumento che per
vari passaggi
diede in Occidente l’idea dell’Harmonium, organo
a
miniatura ad ance e mantici a pedale.