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Il pezzo si affida alla suggestione di antichi miti:
un’anziana coppia ospita nella loro modesta capanna due viandanti che
in tutte le vicinanze avevano invano chiesto ospitalità; e
lì ricevono caloroso conforto e cibo. Ma il cibo e il vino
sembrano miracolosamente non esaurirsi mai: a quel punto gli ospiti si
rivelano come Giove e il figlio Mercurio, che ricompensano Filemone e
Bauci (così si chiamava la coppia, unita fin dalla giovinezza)
esaudendo il loro desiderio di non sopravvivere l’uno all’altra. Tutti
gli inospitali vicini vengono puniti venendo travolti da
un’inondazione, mentre la coppia salva vede trasformata la propria
capanna in un tempio, e in estrema età muore insieme in
una meravigliosa trasfigurazione in due alberi. Il mito narrato nelle
Metamorfosi di Ovidio viene rivisitato da Goethe, e gioca un ruolo
decisivo nella conclusione del Faust; mentre questi crea un feudo
strappando con grandi opere al mare (e a vecchi proprietari) tutta una
vasta area, i due poveri vecchi Filemone e Bauci, nella zona gli unici
rimasti fedeli alla loro piccola dimora, ospitano un naufrago. Non vi
sono dèi, la coppia suona periodicamente e con devozione una
campana, che irrita Faust, e scatena Mefistofele, che con un pretesto
uccide la coppia.
Purtroppo la vecchia visione della teodicea di Ovidio trova ancora
seguito presso vari integralisti, come gli islamici, per cui anche le
recenti incalcolabili perdite del maremoto asiatico sarebbero dovute
alla dissolutezza dei loro abitanti; opportuno più che mai nel
leggere il mito essere accompagnati da Goethe, e con Faust sentirsi in
colpa per la sorte di cui graviamo, anche di fronte alla grande
uguagliatrice Morte, ogni Sud del mondo, pronti a sempre più
gravi calamità anche di origine umana. Contro la teodicea, il
Vangelo di Luca (13,24): “quei diciotto, sopra i quali rovinò la
torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di
tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi
convertite, perirete tutti allo stesso modo”.