ARTHUR RIMBAUD

di

ANGELA VUOSO

 

   Scoprendo l’orrore dell’esistenza umana, gli sembra una colpa consentire a questa esistenza che l’umanità s’è fatta con la sua “pâle raison” che ci nasconde l’infinito con le sue gioie mediocri e il suo “bonheur que nul n’élude”. Egli non ha più che l’ingiuria sulla bocca e la sua rabbia di distruzione non risparmia niente. La negazione non conosce alcun limite…Se Rimbaud respinge lontano da sé tutto ciò che è del mondo terrestre, è perché a sua volta si orienta verso un paradiso intravisto, al quale sente di appartenere…Si tratta di ritrovare i metodi che permetterebbero o di diventare i padroni del mondo, o di perderci nell’immensità cosmica…Bisogna trovare lo strumento, la formula che permetteranno di “changer la vie”. Poiché la coscienza è un ostacolo, egli tenterà di disgregarsi metodicamente e di distruggere in se stesso tutti i poteri che appartengono all’esistenza separata. “La vera vita è assente”. “Noi non siamo al mondo”.

 

   Ma ci è proibito di cercare l’accesso alla “ vera vita”?.

   (Albert Béguin, L’Ame romantique et le rêve).

 

   Arthur Rimbaud fa la sua apparizione nella storia letteraria francese nel 1870, in uno dei momenti più scuri della vita della Francia, in piena rotta, in piena guerra civile, in piena sconfitta materiale e morale. Egli si leva all'improvviso “come Giovanna d'Arco” (scriverà lui stesso più tardi).

   Ciò che appare subito in lui è una forza di volontà e di carattere veramente prodigiosa. Questa si manifesta fin dai suoi anni di collegio e gli è rimasta fino alla fine. Le fughe che egli compie a sedici anni non sono quelle di un adolescente un po' matto e ribelle che perde per qualche mese il suo equilibrio morale all'epoca della pubertà e dei suoi turbamenti.

   Fin dalla sua più giovane età, appare la doppia immagine di Rimbaud: l'immagine del ragazzo tranquillo, studioso, che riporta brillanti successi scolastici; l'immagine del monello che, a otto anni, copre intere pagine di quaderno di fantastiche elucubrazioni che rivelano il suo orrore per il lavoro e per ogni mestiere, l'odio per le costrizioni, una ribellione contro le nozioni apprese.

   È sempre lo stesso Rimbaud che è “un poco affettato, saggio e dolciastro, dalle unghie pulite, dai quaderni senza macchie, dai compiti straordinariamente corretti ”, e che compie fuga su fuga, cammina fino a consumare le sue scarpe, conosce la prigione per aver viaggiato senza biglietto.

   È sempre Rimbaud quando si dice di lui che è un buon compagno, che ha della bontà; e che è un collegiale sornione e crudele.  È Rimbaud stesso che dice di sé: “Questo senza cuore di Arthur Rimbaud”.

   Ma bisogna notare quanto Rimbaud è stato solo durante la sua giovinezza. È stato solo, solo della solitudine morale, lui che disprezzava i suoi compagni di collegio e che appassionato di “libertà libera ”, di spazio e di avventura, è costretto da sua madre a una vita regolata e monotona nella platitude e la grisaille. In effetti è nei rapporti tra Arthur e sua madre “la bocca d’ombra “ (acuiti dall'assenza di un padre “le père est bien loin” dirà Rimbaud negli Orphelins) che bisogna cercare la chiave della duplicità di Arthur e delle sue ribellioni.

   Eppure il ragazzo ribelle non romperà mai completamente con la sua famiglia. Sembra che Rimbaud, anche quando se ne va, anche quando è al culmine della sua rivolta, esiti. Sembra che egli non abbia mai potuto liberarsi completamente da ogni legame, che sia rimasta in lui una nostalgia dei paesaggi delle Ardenne, una nostalgia di quella tenerezza familiare che egli aveva conosciuto poco e che resterà unica nella sua vita; il rimpianto disperato dell'infanzia e, ancor più, della vita anteriore che un'inesplicabile colpa venne bruscamente a interrompere “ Non ho avuto, una volta, una giovinezza piacevole, eroica, favolosa, da scrivere su fogli d'oro? Per quale crimine, per quale errore ho io meritato la mia attuale debolezza?”. Egli che non conosce che durezza in sua madre e non vi oppone che rivolta, evoca il “sogno materno, il nido in cui i bambini dormono i loro dolci sogni pieni di visioni bianche” come degli uccelli.

   Ma il giovane Arthur ha deciso di realizzarsi nella rivoluzione che si prepara. Il 29 agosto 1870 prima fuga verso Parigi all'inizio della guerra franco-prussiana che gli ispira Le Mal (che rivela l'attitudine vivamente anticlericale di Rimbaud); Le Dormeur du Val (che, centrata sul contrasto luce, vita, calore, movimento/immobilità, sonno, morte, ci fa sentire tutto l'orrore della guerra).

   Scopre che si è fatto delle illusioni, ma non rinuncia e, dopo la seconda fuga del 7 ottobre 1870, nel febbraio del 1871 lo troviamo a Parigi. L'influenza della Comune e delle teorie anarchiche fanno esplodere la sua violenza e la sua rivolta (Chant de Guerre Parisien - Le Coeur Volé - Accroupissement - Les Premières Communions). È questa la poesia della violenza, estrema, unica, folgorante; del genio cieco che fuoriesce come un fiotto di sangue, come un grido che non si può trattenere, in versi d'una forza e d'una freddezza inaudite.

Il cuore sbava triste sulla poppa,

cuore coperto di tabacco vile:

sputano su di lui schizzi di zuppa.

e il cuore sbava triste sulla poppa.

Sotto gli scherzi turpi della truppa

che scoppia in un ghignare generale

il cuore sbava triste sulla poppa,

cuore coperto di tabacco vile!

O itifallici frizzi soldateschi.

il mio cuore l’avete depravato!

Presso il timone si vedono affreschi,

itifallici insulti soldateschi.

E voi, marosi abracadabranteschi,

prendete questo cuore e ripulitelo!

O itifallici frizzi soldateschi,

il mio cuore l’avete depravato!

 

             (Le coeur volé  Trad. di Ivos Margoni)

 

   Egli si rivolta contro sua madre, la famiglia, la società.

 

   Il poeta scopre l'orrore dell'esistenza umana, di questa esistenza che ci nasconde l'infinito. Ha soltanto l'ingiuria sulla bocca e la rabbia di distruggere tutto. “Respinge lontano da sé tutto quanto è dei mondo terrestre e si orienta verso un paradiso intravisto”.

   Ciò che importa per Rimbaud è di annientare l'io esteriore, colui che la società che egli detesta conosce, apprezza, giudica e condanna. Egli scopre che  je est un autre. Donde il problema di liberare la sua personalità, sbarazzandola di tutto il peso delle regole d'educazione del suo ambiente. Tutto da demolire, tutto da cancellare nel mio cervello, diceva al suo amico Delayaie nel corso di una passeggiata. Vuole essere nuovo, pulito, senza principi, senza doveri, e libero, libero da tutto.

   Ma bisogna trovare il mezzo per cambiare la vita, e poiché la coscienza è un ostacolo egli si disgregherà metodicamente e distruggerà in sé tutti i poteri che appartengono all'esistenza separata. La vraie vie est absente. Nous ne sommes pas au monde. Ma l'altro vi aspira. Ecco allora la tecnica delle intuizioni, dei guizzi, dei casi imprevedibili.

   Per conoscere il reale non c'è altra via che lasciar cristallizzare nell'ombra e farne emergere le forme che vi nascono spontaneamente.

   L'abbandono passivo al sogno da parte dei poeta è l'inizio di questa esperienza. Il poeta è il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, e il sommo Sapiente! perché egli giunge all'ignoto.

   Rimbaud tenta, attraverso la poesia magica, di aprire nel mondo sensibile un varco sull'Assoluto. Rimbaud consacra la poesia come mezzo di conoscenza.

   Egli fissa nel Bateau Ivre, alla confluenza della retorica verbale, della memoria subcosciente e del sogno evocato, il simbolo del suo lo ignorato, che ha visto talvolta ciò che l'uomo ha creduto di vedere.

 

Dove, tingendo a un tratto l’azzurrità, deliri

E ritmi prolungati nel giorno rutilante,

più stordenti dell'alcol, più vasti delle lire,

fermentano i rossori  amari dell’amore!

 

lo so i cieli che scoppiano in lampi, so le trombe,

le correnti e i riflussi: io so la sera e l'alba

che si esalta nel cielo come colombe a stormo;

e qualche volta ho visto quel che l’uomo ha sognato!

 

(dal Bateau Ivre - Trad. di Ivos Margoni)

E infine si schiudeva la porta sull’Aldilà, pieno di lampi, turbini, visioni celesti o abissali, pieno di minacce e di silenzi.

 

Sognai la notte verde delle nevi abbagliate,

bacio che sale lento agli occhi degli Oceani,

la circolazione delle linfe inaudite,

e giallo e blu. il destarsi dei fosfori canori!

 

Ghiacciai, soli d’argento, flutti madreperlacei,

cieli ardenti! Incagliavo in fondo a golfi bruni

dove immensi serpenti mangiati dalle cimici

cadon, da piante torte, con oscuri profumi!

 

Ho visto gli arcipelaghi siderei e delle isole

Dai cieli deliranti aperti al vogatore

 

(dal Bateau Ivre Trad. di Ivos Margoni)

 

   Egli scopre la funzione del poeta, che non è l'autore della sua opera, ma colui che, una volta ridotte al silenzio la ragione e la coscienza, può arrivare all'ignoto. La poesia rinnovata non dovrà più come quella greca, ritmare l'azione, essa sarà in avanti, e il Vate sarà il moderno Mosè incaricato di condurre l'umanità verso un nuovo destino che egli avrà penetrato col suo sguardo profetico. Il più grande compito del poeta sarà di oltrepassare con un balzo che può costargli la vita e soprattutto la ragione, l'abisso pieno d'angosce e d'ombre che separa la zona cosciente da quella inconscia dell'essere.

   Il corpo del poeta diverrà lo strumento che permetterà l'accesso alla zona d'ombra e di luce, ma a condizione di non opporre più alcuna resistenza allo slancio e all'ascesi. Tutti i veleni, dall'alcol alla droga, saranno ricercati, ogni rischio di follia sarà affrontato perché dallo stato di allucinazione esca la scintilla che illumina, il getto di quel fuoco che il Veggente deve rubare per trasmetterlo a tutti.

   È attraverso questa ineffabile tortura ragionata che il poeta diviene un simbolo per tutti e una Guida. La lunga,immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi gli conferirà il dono della Veggenza. E quando egli avrà visto, bisognerà dire, bisognerà trovare una lingua.

   Il Verbo, investito di poteri demiurgici darà, alfine, una forma alla negazione. Ecco allora la polemica contro i vecchi imbecilli, contro i milioni di scheletri, insomma contro ogni forma d'arte descrittiva e decorativa che imiti i classici. L'uso che Rimbaud fa della lingua trova la sua giustificazione nella volontà di cogliere ciò che nessun altro dei mezzi di cui disponiamo coglie. Scrivevo di silenzi, di notti, notavo l'inesprimibile.

   All'atto della rivolta, quando scopre il senso della sua illuminazione interiore, Rimbaud sfida la maledizione e rivendica i tormenti riservati al poeta, il grande criminale e il grande sapiente. Ben presto, però, verrà il tormento della Saison en Enfer e colui che ha creduto di sfuggire alla condizione umana creandosi il proprio sogno, accettando di annientarsi per possedere le gioie della conoscenza, rinuncerà al proprio sogno. Bruscamente i dubbi e i rimorsi, che fin dall'infanzia avevano segnato il suo animo con le idee degli eccessi, della colpa e delle proibizioni, si son levati in lui. Il terrore veniva.

   Rimbaud, in Alchimie du Verbe, parla con derisione dei suo tentativo di Veggenza, e si può supporre che già al suo ritorno a Charleville a Pasqua dei 1873, era ritornato sui suoi grandi propositi, sulle sue ambizioni. Ho creato tutte le feste, tutti i trionfi, tutti i drammi. Ho cercato di inventare nuovi fiori, nuovi astri, nuove carni, nuove lingue. Ho creduto di acquistare dei poteri sovrannaturali. Ebbene, devo seppellire la mia immaginazione e i miei ricordi! Una bella gloria di artista e di narratore andata a monte!

   Si è creduto mago o angelo, ed eccolo steso al suolo. Ha sognato di essere al di sopra di ogni morale, e ora ha un dovere da cercare. Ha vissuto nei mondi immaginari, e ora ha solo la realtà rugosa da stringere. L'allucinazione delle parole non basta più.

   Ciò che manca all'Alchimia del Verbo è il Verbo: la parola viva, la presenza attiva di colui che parla e che comunica attraverso la parola con gli altri uomini.

   Non so più parlare.

   E allora sceglie di tacere.

 

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BIBLIOGRAFIA

 

1)  A. Beguin, L’âme romantique et la rève, Corti, Paris, 1939.

2)  J. Riviere, Rimbaud, 1930.

3)  E Noulet, Le premier visage de Rimbaud, Bruxelles, 1953.

4)  D. A. De Graaf, Arthur Rimbaud, sa vie, son oeuvre, Assen, 1961.

 

Edizioni critiche

1)  A. Rimbaud, Oeuvres, introduzione di Antoine Adam, con una nota di P. Hartmann, Club du Meilleur Livre, Paris, 1957.

2)  A. Rimbaud, Oeuvres, introduzione e commento a cura di S. Bernard, Garnier, Paris, 1960.

3)  A. Rimbaud, Oeuvres/Opere, a cura di Ivos Margoni, Feltrinelli, Milano, 1978.

 

 

In: Rivista Letteraria, anno VI, n. 1, febbraio-maggio 1984.

 

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