Giordano Bruno il mea culpa di Civiltà Cattolica

di Alceste Santini 

In vista del quarto centenario del rogo riservato da Clemente VIII a Giordano Bruno, una delle figure più significative della filosofia moderna, fatto bruciare vivo il 17 febbraio del 1600 in piazza Campo dè Fiori a Roma, nonostante che l'Anno Santo dovesse essere caratterizzato dal “perdono”, la rivista “Civiltà Cattolica” invita i cattolici a “riflettere sulla vicenda ed a fare ammisioni di colpa per un passato in cui i figli della Chiesa hanno adottato modelli di comportamento non conformi allo spirito evangelico”.  Riconosce, inoltre, che “quel rogo non è ancora spento e continuaabruciare nella memoria e nella coscienza di molti”.
L'intervento della rivista dei gesuiti, anche se molto tardivamente, si propone di contribuire al superamento di quella che Paolo VI chiamava «rottura tra Vangelo e cultura contemporanea» che, in larga parte, permane.  Un dato colto con molto coraggio e preoccupazione da Giovanni Paolo II che ha, perciò, promosso, ma incontrando non pochi oppositori in seno alla Chiesa fra cui il card. Giacomo Biffi, una revisione storica per «ripensare autocriticamente» una serie di «errori» commessi da «uomini di Chiesa» con le crociate, l'inquisizione, l'antigiudaismo, che hanno fatto da sfondo alle tragedie del XX secolo, pur ricco di progressi scientifici e sociali, con il nazismo, lo stalinimo, il fascismo, l'Olocausto degli ebrei ed i diversi totalitarismi da cui l'Europa si è affirancata solo a cominciare dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. Giovanni Paolo II, dopo aver riconosciuto i «torti» della Chiesa nei confronti del padre della scienza sperimentale moderna, Galileo Galilei, condannato, appunto, dall'Inquisizione per aver fatto proprie le teorie eliocentiche di Copernico, ha incoraggiato a rivedere, come ha fatto il card. Silvano Piovanelli di Firenze, il «caso Savonarola» ed ora è la volta di Giordano Bruno. 
Un frate domenicano di Nola che aveva intuito l'infinità dei mondi per cui «tutto è centro e tutto è periferia» e, quindi, «un concetto molto attuale» come ha rilevato ieri Tullioo Gregory, differenziandosi da Cardini per il quale sarebbe «una gossa stupidaggine» riflettere su un certo passato della chiesa.
Va ricordato, invece, che i giudìci del Sant'Uffzio, come hanno rilevato molti storici fra cui il Seppelt, “non erano del tutto convinti della sua colpa», nell'emettere la sentenza, dopo otto anni di torture di umiliazioni nei confronti del pensatore nolano, che, con il suo insegnamento alla Sorbona e con i suoi scritti, aveva suscitato vasto interesse nelle università europee. 
Clemente VIII avrebbe potuto salvarlo dal rogo, dato che aveva proclamato il Giubileo come «l'anno del perdono», ma rispose «no» a chi glielo chiese.  Diede, così, prova di quella ossessione di restaurazione cattolica che, gravando la mano sull’inquisizione d'accordo, con il bigotto Filippo III di Spagna in funzione anti francese, contribuì a creare le premesse per la «guerra dei trent'anni» che esplose nel 1618 in Europa.  Ripensare la storia significa anche accertare queste responsabilità e rendere omaggio ad un filosofo come Bruno che aveva osato solo «dissentire».

  (articolo di Alceste Santini tratto da L'UNITA' del 14 gennaio 2000, pagina 17).

 

                 

 

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