- CAPITOLO
I
- L'ESPERIENZA
E LA VITA
- DI
GIORDANO BRUNO"
- di
Luigi Simonetti
- (tratto
da "L'universo cosmico bruniano alla luce della filosofia
contemporanea", Nola 1985)
-
- Il percorso esistenziale, l'opera e la morte di Giordano
Bruno, questo geniale interprete del movimento spirituale insito nel
divenire cosmico della materia vivente e del pensiero che si fa parola
attraverso la coscienza, non si possono ridurre a sistematica ed effimera
classificazione temporanea di stati d'animo scissi, separati e tra loro
divergenti o, peggio ancora, a momenti isolati, eterogenei, sia pure grandi
e irrepetibili nella loro originale trasparenza, perché il Nolano è un
filosofo tenacemente antisistematico e dialettico, nel senso che per lui i
problemi non possono giammai scaturire da un sistema, ma, al contrario, ogni
possibile sistema, umanistico o scientifico, filosofico, politico, o morale,
in ogni tempo, in ogni circostanza e in ogni latitudine, scaturisce sempre e
comunque da problemi.
- L'esperienza
e la vita dei filosofo, scienziato e poeta, di cui è nostro desiderio
occuparci in questa sede, sono simili a frecce che partono dall'arco
indefinibile del tempo, per giungere alla costruzione critica e
antidogmatica di un sapere incandescente, realistico e concreto, riferibile
ai concetti di « struttura », « materia » e « forma » nella loro
infinita conoscibilità e compatezza.
- Nella
filosofia e nella scienza del Bruno, infatti, materia e forma, corpo e
spirito sono unità dialettiche, vicissitudini viventi, manifestazioni
infinite, energia molteplice e cangiante della stessa realtà cosmicamente
unitaria. Come giustamente
osserva Giuseppe Magnano, nel suo pregevole studio sulla personalità
filosofica del Bruno, « affannarsi a trovare incoerenze e contraddizioni può
essere utile opera di filosofia; inseguire il pensiero bruniano nei meandri
del suo sviluppo o della sua formazione, può essere utile opera storica; ma
al filosofo interessa, soprattutto, l'individuazione dei motivi di fondo di
una polemica rinnovatrice e ardita, nello sfondo di una situazione
politico-culturale-sociale ben determinata interessa ancora, precipuamente,
il contributo dato all'avanzamento del pensiero e della verità » (1).
- Per chi voglia conoscere il senso e la profondità
dell'esperienza esistenziale del Bruno e la perenne attualità della sua
filosofia, è inutile discutere se il grande pensatore nolano fosse
scienziato o filosofo, perché il Nostro fu nello stesso tempo scienziato,
filosofo e poeta, alla ricerca di una vitalità intellettuale e umana
autentica e sincera.
- «
Il pensiero dominante del Bruno è di venire a conoscere la natura.
Ciò vale per lui come conoscere la divinità. Un progresso nella
conoscenza della natura è per lui come una rivelazione.
Da ciò il suo entusiasmo per Copernico e per Tycho Brahe, ed il suo
ardore per approfondire tutte le conseguenze delle loro scoperte (2).
- Nella filosofia bruniana il
pensiero è il mondo, la natura, che attraverso l'esperienza umana si fa
coscienza infinita di sé, energia psichica, volontà, problema. Il sole e i pianeti del sistema solare non sono consapevoli
delle leggi che ne regolano il meraviglioso movimento.
- Soltanto
l'uomo ha estratto e fissato queste leggi con il suo sapere.
- La
polarità del finito e dell'infinito, dello spirito e della materia, del
senso e dell'intelletto, del conoscere e del pensare, del molteplice e
dell'Uno, trovano per lui il proprio centro e il proprio divenire nel
rapporto dialettico esistente tra l'uomo e la natura, l'« io » della
coscienza e il mondo, la capacità razionale della mente e la problematica
inerente ai fenomeni del cosmo.
- Giordano
Bruno sviluppò, approfondì e conobbe le tesi cosmologiche svolte a priori
dal Cusano e le reinterpretò alla luce del « De revolutionibus » di
Copernico. L'omogeneità dello
spazio, la pluralità e infinità dei corpi celesti, la distruzione dei
sistemi di sfere concentriche escogitate da Tolomeo, gli apparvero in tutta
evidenza come fatti dimostrabili e tangibili.
- La
tesi eliocentrica non era una pura ipotesi matematica, come aveva insinuato
l'« asino presuntuoso » dell'introduzione al « De revolutionibus », ma
autentica e profonda filosofia.
-
- Il
Bruno nacque a Nola, in una terra ricca di passione e di slancio, di amore
intenso per la varietà e la
luminosità della campagna, al centro del territorio campano, dal padre
Giovanni e dalla madre Fraulissa Savolino, nel 1548. Fin da giovinetto fu avviato alla vita religiosa, entrando a
quindici anni nell'ordine dei domenicani, di stretta osservanza
scolastico-tomistica.
- Leggendo
avidamente le opere di Democrito, di Platone e dei filosofi neoplatonici, di
Telesio e del « divino » Cusano, egli si trasse fuori dallo schematismo
della concezione aristotelica avviandosi verso una concezione naturalistica
e monistica della realtà. Durante
i tredici anni passati nel convento di San Domenico in Napoli, maturò ed
esplose la sua crisi religiosa, che doveva già essere in atto quando, nel
1572, ricevette l'ordine. Non
ebbe mai in quel periodo parole di sostegno per i protestanti, ma andava
esternando ai novizi molti dubbi Sui dogmi fondamentali della Chiesa, né
volle nella sua cella altra immagine che un crocifisso.
Quando fu iniziato contro di lui un procedimento per eresia, il Bruno
si rifugiò a Roma, nel 1576, nel convento della Minerva, e il Generale
dell'Ordine gli mosse accusa per 130 proposizioni eretiche.
Ormai soltanto la fuga poteva salvarlo: andò a Genova, mentre era
doge Prospero Fattinanti, ma dopo tre giorni passò a Noli, dove insegnò
grammatica ed astronomia. Di
poi passò a Venezia e di lì a Ginevra, dove depose l'abito ecclesiastico e
sferrò violenti attacchi contro la Chiesa dei dogmi e della corruzione.
Egli confidava che avrebbe trovato a Ginevra un ambiente accogliente;
messosi in contatto con numerosi calvinisti italiani, trascinò
faticosamente innanzi la sua vita corregendo bozze di stampe, sperimentando
un'esistenza amara e scoraggiante. Essendo
in disaccordo con Antonio De La Faje, professore di filosofia al collegio
calvinista, si trovò a durissimo partito: venne sottoposto a
procedimento disciplinare ed alla rigida pratica della confessione dei
propri errori davanti al popolo. Fatta
la debita ammenda, ritenne opportuno trasferirsi in Francia.
- La
cultura accademica francese era ancora fondata sulla teologia e sulla
filosofia della scolastica. A
Tolosa il Nostro si fermò per addottorarsi in filosofia, ottenendo anche
una cattedra presso quella università, da cui si allontanò dopo due anni,
per recarsi a Parigi, a causa di dissensi sorti con il mondo degli
intellettuali colà operanti per le sue idee antidogmatiche e
antiaristoliche. Qui egli
pubblicò il primo scritto filosofico « De umbris idearum », dedicandolo a
Enrico III. Ne ricevette una
cattedra, che tenne per pochissimo tempo.
- Nel
1583 lo vediamo a Londra, dove era passato con il suo protettore parigino,
il Castelnau, nominato ambasciatore alla corte della regina Elisabetta.
Nei quasi tre anni trascorsi a Londra, che furono i più sereni di
tutta la sua breve e tragica vita, tenne alcune esemplari conferenze e
probabilmente ebbe cattedra ad Oxford.
Pubblicò i « Dialoghi italiani » ed iniziò la stesura del poema
latino « De immenso », ma le sue lezioni sull'immortalità dell'anima e
sul sistema copernicano vennero proibite.
Trovandosi in aperto e durissimo contrasto con la cultura ufficiale,
frequentò dotti amici inglesi, tra cui il Greville, suo ospite nella «
Cena delle ceneri »: ma anche tale ambiente gli venne a noia, per cui nel
1585 ritornò a Parigi, dove poté pubblicare un dialogo in latino, « arbor
philosophorum », succesivamente andato perduto, ed un altro, « Figuratio
Aristotelici phisici auditus », in cui egli riportava alcune tesi del
matematico salernitano Fabrizio Mordente, sul modo di misurare con
precisione la terra. Per la
cieca intolleranza degli ambienti
aristotelici, il Bruno dové di nuovo allontanarsi e recarsi in Germania,
dove soggiornò brevemente a Wittemberg, a Helmstadt, a Francoforte sul Meno
e a Praga. Nel 1590, alla
ricerca problematico e intensa del rapporto scientifico e dialettico tra
l'universo, la natura e il mondo, il Filosofo Nolano elaborava e pubblicava
a Francoforte il « De Monade, Numero et Figura », il « De triplici minimo
et mensura » e il « De innumerabilibus, immenso et infigurabili », dopo
aver dato alle stampe il « De lampade combinatoria Lulliana » e
centosessanta tesi contro i matematici e filosofi del tempo.
Dopo la sua partenza da Francoforte, si lamenta la mancanza di
notizie attendibili e si perdono alquanto di vista i casi tumultuosi della
vita del Bruno.
- Di
qui si origina un dissidio tra i suoi biografi.
- Il
Bucker pretende che egli fosse tornato a Helmstadt, e di là in Inghilterra. Il Mazzuchelli, che fosse stato in Helmstadt soltanto, e non
in Inghilterra. Il Il Bartholmess ritiene che il Nolano
fosse tornato direttamente in Italia, forse per la via di Zurigo.
La prima città in cui egli ritornò fu Padova, che vantava una
scuola fra le più antiche che ebbe l'Italia.
Il clero padovano, che aveva perseguito il Pompanazzi e che non
mancherà di travagliare l'esistenza di Galileo Galilei, tenne fede alle sue
feroci tradizioni perseguitando alacremente il Bruno, che andò a Venezia,
dietro invito del nobile veneziano Giovanni Mocenigo, perché gli insegnasse
la mnemonica e la geometria. Purtroppo
si trattò di una tappa particolarmente drammatica della sua vita tragica e
inquieta. Denunciato al Sant'Uffizio dallo stesso Mocenigo, gli vennero
imputate numerose eresie: che
il pane non si converte nel corpo di Cristo, che non c'è distinzione in Dio
di persone, che il mondo è eterno, che vi sono infiniti mondi e tanti altri
concetti, in verità degni di approfondimento e di analisi, non certo di
indiscriminata e faziosa condanna.
- Dopo
tristi e vergognose vicende processuali, che non onorano menomamente la
Chiesa cattolica e il Santo Uffizio, fu pronunciata da Venezia la sentenza
di estradizione, in virtù della quale il Bruno fu consegnato nelle mani del
Tribunale ecclesiastico di Roma, vale a dire del suo carnefice.
Il penoso viaggio avvenne via mare, nel 1593.
- Ad
un certo punto ci chiediamo: Ma cosa accadde di colui che incarna lo spirito
della libertà e della chiaroveggenza filosofica di un grandissimo, immenso
pensatore, durante i setti anni di prigionia e di tormenti spirituali a
Torre di Nona?
- Durante
il processo di Venezia, per quel che emerge dagli atti giuridici ancora
esistenti, il Bruno aveva cercato, almeno in un primo momento, di
accomodarsi alla situazione, affermando di volersi ritrattare o, comunque,
di voler ricorrere alla scappatoia, molto in voga ai tempi, della doppia
verità, del sic et non, verità secondo fede e verità secondo ragione, con
quel sottinteso razionalistico che aveva già tratto in salvo Lorenzo Valla
e tanti altri maestri di pensiero.
- Evidentemente
il Nolano dinanzi all'Inquisizione veneta avrà in primo tempo sottovalutato
la gravità della accusa cercando di sfuggire ad essa con l'uso di un
espediente dialettico già usato da altri.
Ouando poi il Filosofo, tradotto inopinatamente a Roma, ebbe la
certezza di trovarsi di fronte all'inflessibile volontà dei giudici di
calpestare e distruggere in lui quanto di più caro e profondo alitava nel
suo cuore e, più ancora,
nella
sua mente ardita e solenne, impegnò la sua tenace volontà nella difesa
appassionata e coerente delle sue altissime idee, nella titanica conferma
del proprio carattere e della propria esemplare dignità contro la barbarie
e l'oscurantismo terrorista di un principio che assegnava a una falsa
religione un ruolo preminente e trasformava lo Stato nel braccio secolare
della Chiesa.
- La
sentenza di condanna a morte fu pronunziata l'8 febbraio del 1600.
Secondo la prassi doveva essere eseguita entro il termine di
ventiquatt'ore; ma essa venne ritardata fino al 17 febbraio, nell'estremo
tentativo di far recedere il Bruno. Ma
tutto fu inutile: il suo coraggio fu così perseverante e ostinato, la sua
coerenza morale tanto ferrea, che dai ministri di giustizia fu condotto in
Campo di Fiori. E quivi,
spogliato nudo e legato a un palo, fu brucato vivo e le sue ceneri si
sparsero nell'aria e furono rapite dal vento, aleggiando nello spazio
cosmico, trascinate dalla forza universale del mondo verso i cieli
imperituri del tempo. Le sue
opere vennero messe all'indice con decreto del 7 agosto 1603.
- Con
la morte del suo corpo, non poteva morire il suo pensiero, il quale
certamente era diffuso negli ambienti dell'alta cultura europea.
- Bacone,
che bene conosceva la lingua e la letteratura italiana, conobbe senza dubbio
il suo pensiero. Qualche
critico è convinto che William Shakespeare abbia ritratto il Bruno nella
figura dell'immortale Amleto. Galilei
aveva letto e meditato le sue opere: parecchi sono gli argomenti comuni
contro il sistema tolemaico. Campanella
ne lodò l'intelletto e forse lo conobbe personalmente nel carcere romano,
nel quale gli stesso era rinchiuso e dal quale uscì nel 1595. Keplero ne riconobbe
il genio. Bisogna poi passare
alla fine del Settecento per risentire il nome del Bruno poiché la nostra
cultura controriformata non poteva raccogliere un messaggio tanto ardito né
lo potevano luterani e calvinisti.
- In
Germania lo Jacobi diffuse una sintesi del dialogo « De la Causa Principio
et Uno » dando un notevole contributo al fermento dal quale nascerà il
grande idealismo tedesco.
- In
Italia il nome del Bruno tornò nella seconda metà dell'Ottocento.
Grandi manifestazioni si ebbero all'inaugurazione del suo monumento
in Campo dei Fiori, per trarre nuovo stimolo alla ricerca e alla
comprensione dei concetti fondamentali del pensiero bruniano nell'ambito
dell'idealismo europeo.
- Il
Tocco, il Fiorentino, il Betti, lo Spampanato, ne studiarono la filosofia e
le opere e ne dettero una seria ricostruzione critica, alla quale si
affiancherà il Mondolfo e, non ultimo, Giovanni Gentile.
Il limite intrinseco degli studi filosofici e scientifici sul Bruno
consiste il più delle volte nel separare o magari contrapporre l'idealismo
di tipo soggettivo e l'empirismo biologico e scientista in un rapporto di
univoco condizionamento, dimenticando che l'atto del pensiero è scintilla
che si sprigiona da sé e racchiude dentro di sé la storia del cosmo come
preistoria ideale della mente, sicché il pensiero pensante in atto fa la
preistoria del suo esserci, che è anche la storia del cosmo.
- Il
Bruno intuì, con lucidità impressionante, che il pensiero dentro di sé è
il cosmo come persona vivente, dal momento che la filosofia non può non
cominciare dal pensiero, ma da un pensiero che includa in sé la vita come
atto spirituale sostanziato dal contenuto della esperienza che in esso
ritrova il suo significato. Nel
metodo e nell'impostazione del criterio razionale di fondo, non solo Galilei,
ma anche Renato Cartesio, sono preceduti dall'universo cosmico del Bruno.
- Il
merito specifico del filosofo francese è di aver determinato il principio
della certezza, partendo dal dato fondamentale della coscienza; in sostanza
si deduce che secondo Cartesio nella coscienza noi troviamo tutte le idee,
che ci inducono ad ammettere l'esistenza dell'essere e di tutte le sue
forme: « Non c'è pensiero che non sia essere ».
- Ma
questo pensiero cartesiano non è altro se non la derivazione, in via
astratta del principio bruniano che « non c'è Dio senza mondo » (1), e
che non c'è sostanza la quale sia in sé o per sé senza le forme per noi
sensibili. Ne discende che la formula bruniana è esattamente l'opposto
di quella cartesiana: « Non c'è essere che non sia pensiero ».
- Almeno
sotto questo profilo la filosofia del Bruno è molto più moderna di quella
di Cartesio. L'originalità
profonda del filoso Nolano consiste nell'avere introdotto una rivoluzione
nella ricerca filosofica simile a quella operata da Copernico nel campo
dell'astronomia e delle scienze fisiche.
- Molti
sono soliti ancora oggi considerare Cartesio come l'iniziatore del pensiero
filosofico moderno, ma io credo che ciò non sia vero, sulla base anche di
taluni studi fatti dal Windelband (4), perché furono Bernardino Telesio e
Giordano Bruno i primi a considerare superato il dogmatismo aristotelico
delle scuole, e fu proprio il Nolano a capire prima di ogni altro con
- acutissimo
intelletto, che « infinita, una ed immobile è la mole dell'universo, la
quale non ha centro né circonferenza » (5).
- La
cosmologia è la parte più geniale e completa nel sistema filosofico del
Bruno. Se si volessero citare tutti i passi delle sue opere, che si
riferiscono alla costituzione dell'Universo, si dovrebbero riportare, per
in.tero parecchi dei suoi dialoghi italiani e dei suoi poemi latini.
-
Nell'Epistola
proemiale del « De l'infinito Universo e Mondi » (6)
il Bruno accenna chiaramente alle orbite delle stelle e al moto del
sole,- al circolo perenne della materia ed alla inesistenza del presunto
ordine cosmico; alla legge di attrazione universale all'eternità della
matria e a tutto ciò che rappresenta l'atomismo problematico della fisica
moderna e contemporanea.
- Il
grande Nolano mette in discussione non solo l'aristotelismo ma crea le
premesse metodologiche di un superamento dello stesso principio di «
causalità »,. intuendo la necessità di introdurre in esso e in vece di
esso notevoli mutamenti -che la fisica di Einstein comporterà a livello di
metodo e anche nel suo significato. Prima
ancora di Galileo, di Mach e dello stesso Einstein, Giordano Bruno comprese
che il mondo non può essere visto come un immenso orologio che, una volta
caricato, esaurisca inevitabilmente la sua carica fino al punto di fermarsi
in maniera definitiva.
- Il
concetto di « causa » diventa nel Bruno una fonte di energia, di cui noi
stessi siamo parte- la forza, nella filosofia monistica del Bruno non è
affatto un qualcosa che si possa astrattamente distinguere dalle sue
manifestazioni nella materia; la sensazione e il pensiero non si possono
separare dal loro organo, perché l'oggetto è quel medesimo che sente se
stesso come soggetto e come predicabilità trascendentale del cosmo.
- Il
concetto dì energia rappresenta nella visione cosmica del Nostro l'elemento
primigenio, universale, che Pitagora chiamò il Numero e che poi i
matematici dissero « il punto » e i più moderni la « monade ». Ora,
tutti i numeri si riducono a un principio solo, che è dunque il Numero o
l'essenza del numero.
- L'Unìtà
o l'Uno è il principio di tutto, ed è sempre il medesimo: contiene in sé
come in germe tutto l'esistente; è al principio e alla fine e si ritrova in
tutto lo sviluppo dell'universo.
- Il
Numero o l'essenza di Pitagora, il fuoco o principio eracliteo delle cose,
sono una sola e medesima cosa con l'« atomo » di Democrito, con la «
monade » di Bruno e di Leibniz, con la « sostanza » di Spinoza, con la «
materia » di Helvetius, con l'« idea » di Fichte, con la « realtà » di
Spencer e con l'« energia » di Meyer e di Einstein.
- «
Uno dunque è ìl cielo, lo spazio immenso, il seno, il contenente
universale, per la quale il tutto discorre e si muove.
- Ivi
innumerabili stelle, astri, globi, soli e terra sensibilmente si veggono et
infiniti ragionevolmente si argumentano.
L'universo immenso et infinito, è il composto che risulta da tal
spazio e da tanti compresi corpi »(7).
- La
terra è un mondo uguale agli altri, che in numero immensurabile popolano da
un tempo infinito lo spazio infinito. Non
esistono le ipotetiche sfere della cosmologia antica e medioevale; il fuoco
e l'acqua non possono essere fuori della terra, come il sangue non è
intorno ma dentro le arterie(').
- La
terra poi si muove liberamente nello spazio come si muovono tutti gli altri
corpi celesti; il moto è ovunque e sempre nell'universo(9), e così la
vita; per cui può e deve ritenersi che anche gli altri mondi dell'infinito
spazio sono abitati come il nostro(10).
- Il
senso dell'infinito alita in tutta l'opera del Bruno, al punto che nella sua
filosofia l'umanità si accorge di essere una parte molto trascurabile nella
sterminata distesa cosmica e il mondo trova una sua interiore rispgndenza
nel cuore dell'uomo. Si pensi
al Leopardi e ad una dei suoi grandi « idilli »: L'« Infinito », dove
palpita il senso primordiale del tempo e della storia.
- L'Universo,
afferma il Bruno, si muove per un moto interno, che è il suo stesso
principio, la sua anima, la sua essenza; ed Universo infinito e Moto
infinito sono una sola e medesima cosa.
Il Motore e il mosso si immedesimano; Dio e L'universo sono l'Uno; né
può ammettersi una creazione finita, perché l'Universo, com'è infinito
nello spazio, così è infinito nel tempo, e come il moto è necessario in
lui, così necessaria e ab aeterno è la creazione.
Non vi è causa disgiunta dall'effetto, né effetto disgiunto, dalla
causa, come non vi è potere che non sia atto.
- E
però la causalità si confonde col principio: Dio, il Potere, la Ragione
efficiente si confonde ed immedesima con l'Universo, anzi è l'anima stessa
dell'Universo (11).
- Ora,
se l'anima del mondo informa tutto, ne viene che ciascuna parte, anche
minima, del « tutto » è animata. E
se l'anima o lo spirito trovasi in tutte le cose, essa costituisce anche il
principio costitutivo formale delle cose stesse; e questo principio non può
annullarsi, né distruggersi. La
sostanza m ateriale è dunque indistruttibile, « incorruttibile -, come la
così detta sostanza spi rituale: materia e forma sono principi costanti,
universali, inseparabili, anzi sono una sola e medesima essenza, che è poi
l'Uno unico infinito ed eterno. Infatti
il Bruno si esprime nei termini: « In omni serie, schalá, analogia, ab uno
proficiscitur, i n uno consistit et ad unum refertur multitudo » (11).
- Da
quest'affermazione si può agevolmente capire che la « monadum monas »
abbraccia scientificamente il concetto del « Numero reale », dell'unità
vivente», dell'atomo senziente», che nello stesso tempo è l'« Unità
assoluta », la « realtà massima », l'Uno, che è reale in quanto
dinamica uni tà con se stesso.
- In
altre parole, l'evoluzione dipende dalla seri sibilità e potenzialità
cosmica dell'atomo che dialetticamente ascende dalla natura inorganica alla
forma più alta del pensiero. Definendo
la materia come attiva e reale per sé, Giordano Bruno distruggeva per
sempre il concetto dualistico, che era stato introdotto nella filosofia da
Platone, e poi ancora da Aristotele, e assunto da Plotino nella sua mistica
dottrina dell'« emanazione », e poi accolto dalla Patristica e dalla
Scolastica come il fondamento del pensiero cristiano-ordodosso, e quindi
dello stesso spiritualismo.
- Nella
filosofia bruniana, al contrario, la materia non è, come voleva Aristotele,
una semplice possibilità di diventare ciò che di lei faceva la forma, ma
un circolo perenne, che insieme riunisce, non solo i corpi, ma anche gli
spiriti; ed essendo la materia uguale ed unica in tutti gli astri
dell'immenso infinito, ne consegue che per Bruno uno solo ed eterno è il
circolo cosmico della vita. L'atomo ha già il senso fondamentale dell'energia ed è dal
Bruno definito senziente perché sente le differenze di stato al pari di
noi, sia pure in grado minimo e alquanto oscuro: diversamente, infatti, non
si potrebbe spiegare la logica della « sensazione » nel protoplasma: «
Natura est sempiterna et invidua essentia ... per insitam sibi sapientia
agens ... Ipsa est ars vivens et quaedam intellectualis animae potestas ...
Universum est umun infinitum ... cujus intelligibilis substantia tota semper
et ubique est... (11).
- Ogni
essere per il Bruno è una monade, un'unità vivente, attiva, che sboccia,
si espande, si moltiplica, ri-,producendo in piccolo e sotto una
specialissima forma la realtà e la vita della monade divina.
- Perciò
ogni essere è anima e corpo insieme, dotato di forza espansiva nello spazio
e al tempo stesso del potere di ritornare su se stesso, di riflettere: ecco
il sorgere del Pensiero, che è realtà incorporea, spirituale, atto
autotetetico, scintilla che si sprigiona da sé e riflette dialetticamente
il cosmo come persona vivente, temporalità infinita della libertà che
scopre la presenza, nel soggetto e per il soggetto, del mondo e delle cose.
A questo punto, in verità, si postula l'unità trascendentale
dell'autocoscienza: i soggetti sono molti, ma l'« io penso
» è
uno; il vivere umano non può esulare dalle forme trascendentali,
spazio-temporali della sua individuale, irrepetibile storia.