CAPITOLO I
L'ESPERIENZA E LA VITA
DI GIORDANO BRUNO"
di Luigi Simonetti
 (tratto da "L'universo cosmico bruniano alla luce della filosofia contemporanea", Nola 1985)
 
Il percorso esistenziale, l'opera e la morte di Giordano Bruno, questo geniale interprete del movimento spirituale insito nel divenire cosmico della materia vivente e del pensiero che si fa parola attraverso la coscienza, non si possono ridurre a sistematica ed effimera classificazione temporanea di stati d'animo scissi, separati e tra loro divergenti o, peggio ancora, a momenti isolati, eterogenei, sia pure grandi e irrepetibili nella loro originale trasparenza, perché il Nolano è un filosofo tenacemente antisistematico e dialettico, nel senso che per lui i problemi non possono giammai scaturire da un sistema, ma, al contrario, ogni possibile sistema, umanistico o scientifico, filosofico, politico, o morale, in ogni tempo, in ogni circostanza e in ogni latitudine, scaturisce sempre e comunque da problemi.
L'esperienza e la vita dei filosofo, scienziato e poeta, di cui è nostro desiderio occuparci in questa sede, sono simili a frecce che partono dall'arco indefinibile del tempo, per giungere alla costruzione critica e antidogmatica di un sapere incandescente, realistico e concreto, riferibile ai concetti di « struttura », « materia » e « forma » nella loro infinita conoscibilità e compatezza.
Nella filosofia e nella scienza del Bruno, infatti, materia e forma, corpo e spirito sono unità dialettiche, vicissitudini viventi, manifestazioni infinite, energia molteplice e cangiante della stessa realtà cosmicamente unitaria.  Come giustamente osserva Giuseppe Magnano, nel suo pregevole studio sulla personalità filosofica del Bruno, « affannarsi a trovare incoerenze e contraddizioni può essere utile opera di filosofia; inseguire il pensiero bruniano nei meandri del suo sviluppo o della sua formazione, può essere utile opera storica; ma al filosofo interessa, soprattutto, l'individuazione dei motivi di fondo di una polemica rinnovatrice e ardita, nello sfondo di una situazione politico-culturale-sociale ben determinata interessa ancora, precipuamente, il contributo dato all'avanzamento del pensiero e della verità » (1).
Per chi voglia conoscere il senso e la profondità dell'esperienza esistenziale del Bruno e la perenne attualità della sua filosofia, è inutile discutere se il grande pensatore nolano fosse scienziato o filosofo, perché il Nostro fu nello stesso tempo scienziato, filosofo e poeta, alla ricerca di una vitalità intellettuale e umana autentica e sincera.
« Il pensiero dominante del Bruno è di venire a conoscere la natura.  Ciò vale per lui come conoscere la divinità. Un progresso nella conoscenza della natura è per lui come una rivelazione.  Da ciò il suo entusiasmo per Copernico e per Tycho Brahe, ed il suo ardore per approfondire tutte le conseguenze delle loro scoperte (2).
Nella filosofia bruniana il pensiero è il mondo, la natura, che attraverso l'esperienza umana si fa coscienza infinita di sé, energia psichica, volontà, problema.  Il sole e i pianeti del sistema solare non sono consapevoli delle leggi che ne regolano il meraviglioso movimento.
Soltanto l'uomo ha estratto e fissato queste leggi con il suo sapere.
La polarità del finito e dell'infinito, dello spirito e della materia, del senso e dell'intelletto, del conoscere e del pensare, del molteplice e dell'Uno, trovano per lui il proprio centro e il proprio divenire nel rapporto dialettico esistente tra l'uomo e la natura, l'« io » della coscienza e il mondo, la capacità razionale della mente e la problematica inerente ai fenomeni del cosmo.
Giordano Bruno sviluppò, approfondì e conobbe le tesi cosmologiche svolte a priori dal Cusano e le reinterpretò alla luce del « De revolutionibus » di Copernico.  L'omogeneità dello spazio, la pluralità e infinità dei corpi celesti, la distruzione dei sistemi di sfere concentriche escogitate da Tolomeo, gli apparvero in tutta evidenza come fatti dimostrabili e tangibili.
La tesi eliocentrica non era una pura ipotesi matematica, come aveva insinuato l'« asino presuntuoso » dell'introduzione al « De revolutionibus », ma autentica e profonda filosofia.
 
Il Bruno nacque a Nola, in una terra ricca di passione e di slancio, di amore intenso per la varietà e la luminosità della campagna, al centro del territorio campano, dal padre Giovanni e dalla madre Fraulissa Savolino, nel 1548.  Fin da giovinetto fu avviato alla vita religiosa, entrando a quindici anni nell'ordine dei domenicani, di stretta osservanza scolastico-tomistica.
Leggendo avidamente le opere di Democrito, di Platone e dei filosofi neoplatonici, di Telesio e del « divino » Cusano, egli si trasse fuori dallo schematismo della concezione aristotelica avviandosi verso una concezione naturalistica e monistica della realtà.  Durante i tredici anni passati nel convento di San Domenico in Napoli, maturò ed esplose la sua crisi religiosa, che doveva già essere in atto quando, nel 1572, ricevette l'ordine.  Non ebbe mai in quel periodo parole di sostegno per i protestanti, ma andava esternando ai novizi molti dubbi Sui dogmi fondamentali della Chiesa, né volle nella sua cella altra immagine che un crocifisso.  Quando fu iniziato contro di lui un procedimento per eresia, il Bruno si rifugiò a Roma, nel 1576, nel convento della Minerva, e il Generale dell'Ordine gli mosse accusa per 130 proposizioni eretiche.  Ormai soltanto la fuga poteva salvarlo: andò a Genova, mentre era doge Prospero Fattinanti, ma dopo tre giorni passò a Noli, dove insegnò grammatica ed astronomia.  Di poi passò a Venezia e di lì a Ginevra, dove depose l'abito ecclesiastico e sferrò violenti attacchi contro la Chiesa dei dogmi e della corruzione.  Egli confidava che avrebbe trovato a Ginevra un ambiente accogliente; messosi in contatto con numerosi calvinisti italiani, trascinò faticosamente innanzi la sua vita corregendo bozze di stampe, sperimentando un'esistenza amara e scoraggiante.  Essendo in disaccordo con Antonio De La Faje, professore di filosofia al collegio calvinista, si trovò a durissimo partito: venne sottoposto a procedimento disciplinare ed alla rigida pratica della confessione dei propri errori davanti al popolo.  Fatta la debita ammenda, ritenne opportuno trasferirsi in Francia.
La cultura accademica francese era ancora fondata sulla teologia e sulla filosofia della scolastica.  A Tolosa il Nostro si fermò per addottorarsi in filosofia, ottenendo anche una cattedra presso quella università, da cui si allontanò dopo due anni, per recarsi a Parigi, a causa di dissensi sorti con il mondo degli intellettuali colà operanti per le sue idee antidogmatiche e antiaristoliche.  Qui egli pubblicò il primo scritto filosofico « De umbris idearum », dedicandolo a Enrico III.  Ne ricevette una cattedra, che tenne per pochissimo tempo.
Nel 1583 lo vediamo a Londra, dove era passato con il suo protettore parigino, il Castelnau, nominato ambasciatore alla corte della regina Elisabetta.  Nei quasi tre anni trascorsi a Londra, che furono i più sereni di tutta la sua breve e tragica vita, tenne alcune esemplari conferenze e probabilmente ebbe cattedra ad Oxford.  Pubblicò i « Dialoghi italiani » ed iniziò la stesura del poema latino « De immenso », ma le sue lezioni sull'immortalità dell'anima e sul sistema copernicano vennero proibite.  Trovandosi in aperto e durissimo contrasto con la cultura ufficiale, frequentò dotti amici inglesi, tra cui il Greville, suo ospite nella « Cena delle ceneri »: ma anche tale ambiente gli venne a noia, per cui nel 1585 ritornò a Parigi, dove poté pubblicare un dialogo in latino, « arbor philosophorum », succesivamente andato perduto, ed un altro, « Figuratio Aristotelici phisici auditus », in cui egli riportava alcune tesi del matematico salernitano Fabrizio Mordente, sul modo di misurare con precisione la terra.  Per la cieca intolleranza degli ambienti aristotelici, il Bruno dové di nuovo allontanarsi e recarsi in Germania, dove soggiornò brevemente a Wittemberg, a Helmstadt, a Francoforte sul Meno e a Praga.  Nel 1590, alla ricerca problematico e intensa del rapporto scientifico e dialettico tra l'universo, la natura e il mondo, il Filosofo Nolano elaborava e pubblicava a Francoforte il « De Monade, Numero et Figura », il « De triplici minimo et mensura » e il « De innumerabilibus, immenso et infigurabili », dopo aver dato alle stampe il « De lampade combinatoria Lulliana » e centosessanta tesi contro i matematici e filosofi del tempo.  Dopo la sua partenza da Francoforte, si lamenta la mancanza di notizie attendibili e si perdono alquanto di vista i casi tumultuosi della vita del Bruno.
Di qui si origina un dissidio tra i suoi biografi.
Il Bucker pretende che egli fosse tornato a Helmstadt, e di là in Inghilterra.  Il Mazzuchelli, che fosse stato in Helmstadt soltanto, e non in Inghilterra.  Il Il Bartholmess ritiene che il Nolano fosse tornato direttamente in Italia, forse per la via di Zurigo.  La prima città in cui egli ritornò fu Padova, che vantava una scuola fra le più antiche che ebbe l'Italia.  Il clero padovano, che aveva perseguito il Pompanazzi e che non mancherà di travagliare l'esistenza di Galileo Galilei, tenne fede alle sue feroci tradizioni perseguitando alacremente il Bruno, che andò a Venezia, dietro invito del nobile veneziano Giovanni Mocenigo, perché gli insegnasse la mnemonica e la geometria.  Purtroppo si trattò di una tappa particolarmente drammatica della sua vita tragica e inquieta. Denunciato al Sant'Uffizio dallo stesso Mocenigo, gli vennero imputate numerose eresie:   che il pane non si converte nel corpo di Cristo, che non c'è distinzione in Dio di persone, che il mondo è eterno, che vi sono infiniti mondi e tanti altri concetti, in verità degni di approfondimento e di analisi, non certo di indiscriminata e faziosa condanna.
Dopo tristi e vergognose vicende processuali, che non onorano menomamente la Chiesa cattolica e il Santo Uffizio, fu pronunciata da Venezia la sentenza di estradizione, in virtù della quale il Bruno fu consegnato nelle mani del Tribunale ecclesiastico di Roma, vale a dire del suo carnefice.  Il penoso viaggio avvenne via mare, nel 1593.
Ad un certo punto ci chiediamo: Ma cosa accadde di colui che incarna lo spirito della libertà e della chiaroveggenza filosofica di un grandissimo, immenso pensatore, durante i setti anni di prigionia e di tormenti spirituali a Torre di Nona?
Durante il processo di Venezia, per quel che emerge dagli atti giuridici ancora esistenti, il Bruno aveva cercato, almeno in un primo momento, di accomodarsi alla situazione, affermando di volersi ritrattare o, comunque, di voler ricorrere alla scappatoia, molto in voga ai tempi, della doppia verità, del sic et non, verità secondo fede e verità secondo ragione, con quel sottinteso razionalistico che aveva già tratto in salvo Lorenzo Valla e tanti altri maestri di pensiero.
Evidentemente il Nolano dinanzi all'Inquisizione veneta avrà in primo tempo sottovalutato la gravità della accusa cercando di sfuggire ad essa con l'uso di un espediente dialettico già usato da altri.  Ouando poi il Filosofo, tradotto inopinatamente a Roma, ebbe la certezza di trovarsi di fronte all'inflessibile volontà dei giudici di calpestare e distruggere in lui quanto di più caro e profondo alitava nel suo cuore e, più ancora, nella sua mente ardita e solenne, impegnò la sua tenace volontà nella difesa appassionata e coerente delle sue altissime idee, nella titanica conferma del proprio carattere e della propria esemplare dignità contro la barbarie e l'oscurantismo terrorista di un principio che assegnava a una falsa religione un ruolo preminente e trasformava lo Stato nel braccio secolare della Chiesa.
La sentenza di condanna a morte fu pronunziata l'8 febbraio del 1600.  Secondo la prassi doveva essere eseguita entro il termine di ventiquatt'ore; ma essa venne ritardata fino al 17 febbraio, nell'estremo tentativo di far recedere il Bruno.  Ma tutto fu inutile: il suo coraggio fu così perseverante e ostinato, la sua coerenza morale tanto ferrea, che dai ministri di giustizia fu condotto in Campo di Fiori.  E quivi, spogliato nudo e legato a un palo, fu brucato vivo e le sue ceneri si sparsero nell'aria e furono rapite dal vento, aleggiando nello spazio cosmico, trascinate dalla forza universale del mondo verso i cieli imperituri del tempo.  Le sue opere vennero messe all'indice con decreto del 7 agosto 1603.
Con la morte del suo corpo, non poteva morire il suo pensiero, il quale certamente era diffuso negli ambienti dell'alta cultura europea.
Bacone, che bene conosceva la lingua e la letteratura italiana, conobbe senza dubbio il suo pensiero.  Qualche critico è convinto che William Shakespeare abbia ritratto il Bruno nella figura dell'immortale Amleto.  Galilei aveva letto e meditato le sue opere: parecchi sono gli argomenti comuni contro il sistema tolemaico.  Campanella ne lodò l'intelletto e forse lo conobbe personalmente nel carcere romano, nel quale gli stesso era rinchiuso e dal quale uscì nel 1595.  Keplero ne riconobbe il genio.  Bisogna poi passare alla fine del Settecento per risentire il nome del Bruno poiché la nostra cultura controriformata non poteva raccogliere un messaggio tanto ardito né lo potevano luterani e calvinisti.
In Germania lo Jacobi diffuse una sintesi del dialogo « De la Causa Principio et Uno » dando un notevole contributo al fermento dal quale nascerà il grande idealismo tedesco.
In Italia il nome del Bruno tornò nella seconda metà dell'Ottocento.  Grandi manifestazioni si ebbero all'inaugurazione del suo monumento in Campo dei Fiori, per trarre nuovo stimolo alla ricerca e alla comprensione dei concetti fondamentali del pensiero bruniano nell'ambito dell'idealismo europeo.
Il Tocco, il Fiorentino, il Betti, lo Spampanato, ne studiarono la filosofia e le opere e ne dettero una seria ricostruzione critica, alla quale si affiancherà il Mondolfo e, non ultimo, Giovanni Gentile.  Il limite intrinseco degli studi filosofici e scientifici sul Bruno consiste il più delle volte nel separare o magari contrapporre l'idealismo di tipo soggettivo e l'empirismo biologico e scientista in un rapporto di univoco condizionamento, dimenticando che l'atto del pensiero è scintilla che si sprigiona da sé e racchiude dentro di sé la storia del cosmo come preistoria ideale della mente, sicché il pensiero pensante in atto fa la preistoria del suo esserci, che è anche la storia del cosmo.
Il Bruno intuì, con lucidità impressionante, che il pensiero dentro di sé è il cosmo come persona vivente, dal momento che la filosofia non può non cominciare dal pensiero, ma da un pensiero che includa in sé la vita come atto spirituale sostanziato dal contenuto della esperienza che in esso ritrova il suo significato.  Nel metodo e nell'impostazione del criterio razionale di fondo, non solo Galilei, ma anche Renato Cartesio, sono preceduti dall'universo cosmico del Bruno.
Il merito specifico del filosofo francese è di aver determinato il principio della certezza, partendo dal dato fondamentale della coscienza; in sostanza si deduce che secondo Cartesio nella coscienza noi troviamo tutte le idee, che ci inducono ad ammettere l'esistenza dell'essere e di tutte le sue forme: « Non c'è pensiero che non sia essere ».
Ma questo pensiero cartesiano non è altro se non la derivazione, in via astratta del principio bruniano che « non c'è Dio senza mondo » (1), e che non c'è sostanza la quale sia in sé o per sé senza le forme per noi sensibili.  Ne discende che la formula bruniana è esattamente l'opposto di quella cartesiana: « Non c'è essere che non sia pensiero ».
Almeno sotto questo profilo la filosofia del Bruno è molto più moderna di quella di Cartesio.  L'originalità profonda del filoso Nolano consiste nell'avere introdotto una rivoluzione nella ricerca filosofica simile a quella operata da Copernico nel campo dell'astronomia e delle scienze fisiche.  
Molti sono soliti ancora oggi considerare Cartesio come l'iniziatore del pensiero filosofico moderno, ma io credo che ciò non sia vero, sulla base anche di taluni studi fatti dal Windelband (4), perché furono Bernardino Telesio e Giordano Bruno i primi a considerare superato il dogmatismo aristotelico delle scuole, e fu proprio il Nolano a capire prima di ogni altro con
acutissimo intelletto, che « infinita, una ed immobile è la mole dell'universo, la quale non ha centro né circonferenza » (5).
La cosmologia è la parte più geniale e completa nel sistema filosofico del Bruno.  Se si volessero citare tutti i passi delle sue opere, che si riferiscono alla costituzione dell'Universo, si dovrebbero riportare, per in.tero parecchi dei suoi dialoghi italiani e dei suoi poemi latini.
       Nell'Epistola proemiale del « De l'infinito Universo e Mondi » (6) il Bruno accenna chiaramente alle orbite delle stelle e al moto del sole,- al circolo perenne della materia ed alla inesistenza del presunto ordine cosmico; alla legge di attrazione universale all'eternità della matria e a tutto ciò che rappresenta l'atomismo problematico della fisica moderna e contemporanea.
Il grande Nolano mette in discussione non solo l'aristotelismo ma crea le premesse metodologiche di un superamento dello stesso principio di « causalità »,. intuendo la necessità di introdurre in esso e in vece di esso notevoli mutamenti -che la fisica di Einstein comporterà a livello di metodo e anche nel suo significato.  Prima ancora di Galileo, di Mach e dello stesso Einstein, Giordano Bruno comprese che il mondo non può essere visto come un immenso orologio che, una volta caricato, esaurisca inevitabilmente la sua carica fino al punto di fermarsi in maniera definitiva.
Il concetto di « causa » diventa nel Bruno una fonte di energia, di cui noi stessi siamo parte- la forza, nella filosofia monistica del Bruno non è affatto un qualcosa che si possa astrattamente distinguere dalle sue manifestazioni nella materia; la sensazione e il pensiero non si possono separare dal loro organo, perché l'oggetto è quel medesimo che sente se stesso come soggetto e come predicabilità trascendentale del cosmo.
Il concetto dì energia rappresenta nella visione cosmica del Nostro l'elemento primigenio, universale, che Pitagora chiamò il Numero e che poi i matematici dissero « il punto » e i più moderni la « monade ». Ora, tutti i numeri si riducono a un principio solo, che è dunque il Numero o l'essenza del numero.
L'Unìtà o l'Uno è il principio di tutto, ed è sempre il medesimo: contiene in sé come in germe tutto l'esistente; è al principio e alla fine e si ritrova in tutto lo sviluppo dell'universo.
Il Numero o l'essenza di Pitagora, il fuoco o principio eracliteo delle cose, sono una sola e medesima cosa con l'« atomo » di Democrito, con la « monade » di Bruno e di Leibniz, con la « sostanza » di Spinoza, con la « materia » di Helvetius, con l'« idea » di Fichte, con la « realtà » di Spencer e con l'« energia » di Meyer e di Einstein.
« Uno dunque è ìl cielo, lo spazio immenso, il seno, il contenente universale, per la quale il tutto discorre e si muove.
Ivi innumerabili stelle, astri, globi, soli e terra sensibilmente si veggono et infiniti ragionevolmente si argumentano.  L'universo immenso et infinito, è il composto che risulta da tal spazio e da tanti compresi corpi »(7).
La terra è un mondo uguale agli altri, che in numero immensurabile popolano da un tempo infinito lo spazio infinito.  Non esistono le ipotetiche sfere della cosmologia antica e medioevale; il fuoco e l'acqua non possono essere fuori della terra, come il sangue non è intorno ma dentro le arterie(').
La terra poi si muove liberamente nello spazio come si muovono tutti gli altri corpi celesti; il moto è ovunque e sempre nell'universo(9), e così la vita; per cui può e deve ritenersi che anche gli altri mondi dell'infinito spazio sono abitati come il nostro(10).
Il senso dell'infinito alita in tutta l'opera del Bruno, al punto che nella sua filosofia l'umanità si accorge di essere una parte molto trascurabile nella sterminata distesa cosmica e il mondo trova una sua interiore rispgndenza nel cuore dell'uomo.  Si pensi al Leopardi e ad una dei suoi grandi « idilli »: L'« Infinito », dove palpita il senso primordiale del tempo e della storia.
L'Universo, afferma il Bruno, si muove per un moto interno, che è il suo stesso principio, la sua anima, la sua essenza; ed Universo infinito e Moto infinito sono una sola e medesima cosa.  Il Motore e il mosso si immedesimano; Dio e L'universo sono l'Uno; né può ammettersi una creazione finita, perché l'Universo, com'è infinito nello spazio, così è infinito nel tempo, e come il moto è necessario in lui, così necessaria e ab aeterno è la creazione.  Non vi è causa disgiunta dall'effetto, né effetto disgiunto, dalla causa, come non vi è potere che non sia atto.
E però la causalità si confonde col principio: Dio, il Potere, la Ragione efficiente si confonde ed immedesima con l'Universo, anzi è l'anima stessa dell'Universo (11).
Ora, se l'anima del mondo informa tutto, ne viene che ciascuna parte, anche minima, del « tutto » è animata.  E se l'anima o lo spirito trovasi in tutte le cose, essa costituisce anche il principio costitutivo formale delle cose stesse; e questo principio non può annullarsi, né distruggersi.  La sostanza m ateriale è dunque indistruttibile, « incorruttibile -, come la così detta sostanza spi rituale: materia e forma sono principi costanti, universali, inseparabili, anzi sono una sola e medesima essenza, che è poi l'Uno unico infinito ed eterno.  Infatti il Bruno si esprime nei termini: « In omni serie, schalá, analogia, ab uno proficiscitur, i n uno consistit et ad unum refertur multitudo » (11).
Da quest'affermazione si può agevolmente capire che la « monadum monas » abbraccia scientificamente il concetto del « Numero reale », dell'unità vivente», dell'atomo senziente», che nello stesso tempo è l'« Unità assoluta », la « realtà massima », l'Uno, che è reale in quanto dinamica uni tà con se stesso.
In altre parole, l'evoluzione dipende dalla seri sibilità e potenzialità cosmica dell'atomo che dialetticamente ascende dalla natura inorganica alla forma più alta del pensiero.  Definendo la materia come attiva e reale per sé, Giordano Bruno distruggeva per sempre il concetto dualistico, che era stato introdotto nella filosofia da Platone, e poi ancora da Aristotele, e assunto da Plotino nella sua mistica dottrina dell'« emanazione », e poi accolto dalla Patristica e dalla Scolastica come il fondamento del pensiero cristiano-ordodosso, e quindi dello stesso spiritualismo.
Nella filosofia bruniana, al contrario, la materia non è, come voleva Aristotele, una semplice possibilità di diventare ciò che di lei faceva la forma, ma un circolo perenne, che insieme riunisce, non solo i corpi, ma anche gli spiriti; ed essendo la materia uguale ed unica in tutti gli astri dell'immenso infinito, ne consegue che per Bruno uno solo ed eterno è il circolo cosmico della vita.  L'atomo ha già il senso fondamentale dell'energia ed è dal Bruno definito senziente perché sente le differenze di stato al pari di noi, sia pure in grado minimo e alquanto oscuro: diversamente, infatti, non si potrebbe spiegare la logica della « sensazione » nel protoplasma: « Natura est sempiterna et invidua essentia ... per insitam sibi sapientia agens ... Ipsa est ars vivens et quaedam intellectualis animae potestas ... Universum est umun infinitum ... cujus intelligibilis substantia tota semper et ubique est... (11).
Ogni essere per il Bruno è una monade, un'unità vivente, attiva, che sboccia, si espande, si moltiplica, ri-,producendo in piccolo e sotto una specialissima forma la realtà e la vita della monade divina.
Perciò ogni essere è anima e corpo insieme, dotato di forza espansiva nello spazio e al tempo stesso del potere di ritornare su se stesso, di riflettere: ecco il sorgere del Pensiero, che è realtà incorporea, spirituale, atto autotetetico, scintilla che si sprigiona da sé e riflette dialetticamente il cosmo come persona vivente, temporalità infinita della libertà che scopre la presenza, nel soggetto e per il soggetto, del mondo e delle cose.  A questo punto, in verità, si postula l'unità trascendentale dell'autocoscienza: i soggetti sono molti, ma l'« io penso » è uno; il vivere umano non può esulare dalle forme trascendentali, spazio-temporali della sua individuale, irrepetibile storia.  

   

[i]       (1)    GIUSEPPE MAGNANO: «G.  Bruno e 'il suo tempo», Ed.  Calderini, Bologna, 1970, pp. 15-16.
(2)     A. HOFFDING: Storia della filosofia moderna; Torino, Bocca, 1926, 1, 110.
(3)     F. FIORENTINO: « Pietro Pomponazzi », Firenze 1868, p. 477.
(4)     WINDELBAND: Geschite der neueren Philosophie, Lcipzig, Bd. I, 1978, Bd.  Il, 1880.
(5)     G. BRUNO: « La Cena de le Ceneri », a cura di G, Gentile, Laterza- !Bari ' 1927, « Op.  Ital. » vol 1, p. 163
(6)     a. BRUNO: Op.  Ital., vol.  II,'pp. 8-13.
       (7)     G. BRUNO: « De Infinito Universo e Mondi », « Op.  Ital. » vol.  Il,     p. 50.
(8)    JORD BRUNI: «De Immenso et Innumerabilibtís», «Op. lat. conscr.», vol.  II, parte II, pa-. 195.
       (9)     G. BRUNO: « La CenoLde le Ceneri », Dialogo V, « Op.  Ital. », vol.  I, p.                      18 i.
     (10)     G. BRUNO: « De l'Infinito Universo », Dialoao 11I, « Op.Ital. », vol. 11, p. 66.
 (1 1)    G. BRUNO: « De la causa, principio et uno », dialogo « op. Ital. », vol.  II, pp. 24142.
     (12)    JORD.  BRUNI: « De triplici Mininio », Ed.  Brunswick, p. 55.
     (13)    JORD.  BRUNI: « Canioeracensis Acrotismiis », nelle « Op. lat. conscripta », vol. 1, pars I, pp. 80-81.