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TREGIORNIMTB2007   
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IIl 2°GIORNO si parte  da CELERINA

La giornata non è limpida come ieri, ma la chiara luce che filtra attraverso le nubi ci fa pensare che fra poco tutto si dissolverà e anche oggi sarà bel tempo. La temperatura è fresca. Qualcuno parte “in lungo” per poi spogliarsi man mano che i muscoli si scalderanno. Andiamo in direzione di Pontresina seguendo la statale che porta al Passo Bernina. Il traffico è abbastanza sostenuto e perciò procediamo in fila indiana. Là davanti provano già a tirare, ma le proteste degli ultimi della fila fanno desistere subito e si ritorna ad una normale velocità di crociera. Poco dopo l’imbocco della Val Bernina, superata una grande rotonda, ritroviamo la pista ciclabile che per un buon tratto corre parallela all’asfalto per poi allontanarsi e giungere in breve fra le prime case di Pontresina. Mentre si risale la via centrale c’è chi si perde attratto dalle allettanti vetrine dei negozi. Così il gruppo si fraziona finchè la testa è costretta fermarsi per attendere i ritardatari. 

Dal centro di Pontresina svoltiamo a destra in discesa su asfalto per poi svoltare subito a sinistra. Superato un ponticello ritroviamo la pista ciclabile e seguiamo le indicazioni per la stazione di Morterasch. La pista sale ripida per un breve tratto e rimane al margine del bosco compiendo una serie di saliscendi. Il terreno è bellissimo e si procede molto veloci. Scendiamo nei prati e attraversiamo i binari della ferrovia e in breve giungiamo alla stazione di Morterasch. L’edificio non lo vedi da lontano perché è nascosto da una collinetta ed immerso nel fitto del bosco, di cui sembra farne parte da sempre. Alle spalle della stazione, al di là dei binari il bosco si apre su uno scenario grandioso dominato dal bianchissimo ghiacciaio, che qui chiamano “vedretta” di Morterasch che si stacca dalle creste del gruppo del Bernina, a 4000 metri di altezza. Il trenino rosso è appena ripartito e ha scaricato un gran numero di escursionisti che, in ordinato silenzio, si sta incamminando sul sentiero che porta verso il ghiacciaio. Di lato alla stazione scorrono, impetuose, le grigie acque di scioglimento.  

Passiamo sul ponte, lasciamo alla nostra sinistra il cancello d’ingresso al parcheggio custodito e, seguendo le indicazioni per Bernina Suot, ci incamminiamo lungo un sentiero che si inerpica nel bosco. Attraversiamo di nuovo la ferrovia e continuiamo a salire con la bici a spalle. Abbiamo sicuramente perso le indicazioni per la pista ciclabile, ma la direzione è quella giusta. Stiamo percorrendo una scorciatoia che in meno di mezzora ci porta a ritrovare la pista più in alto, poco prima di sbucare sulla statale a meno di due chilometri dalla stazione del Bernina Suot. Cinquecento metri oltre la stazione attraversiamo la statale e imbocchiamo una bella sterrata a sinistra che scende a superare un vallonetto. Lasciamo sulla destra la diramazione per l’alpe Bernina e, superato un ponte, risaliamo sull’altro versante addentrandoci nell’ampia valle Torta, indicata su alcune carte anche con il nome di Val Dal Fain. L’ambiente è particolarmente bello caratterizzato da ampi pascoli, purtroppo ingialliti per la lunga siccità estiva, racchiusi da cime che sfiorano i tremila metri. Finalmente siamo in montagna; di colpo il mondo sembra sparito dietro l’angolo laggiù e la sensazione è che sia sparito da sempre, perché qui stiamo bene. Non c’è più asfalto, non c’è più binario. Le auto, le moto, i rumori a cui siamo abituati, ma ai quali non ci abitueremo mai, si sono ammutoliti improvvisamente. Qualche cosa si sente ancora in lontanza, ma sta andando in un’altra direzione. Ancora qualche battuta scherzosa finchè il gruppo rimane compatto, poi la fatica si fa sentire e ognuno rimane da solo con il proprio ritmo. Lo scroscio dell’acqua nel torrente giù in basso, il rotolare delle ruote sull fondo sterrato e il battito regolare del nostro cuore sono gli unici rumori che sentiamo. Questa è la montagna che andiamo cercando e anche quest’anno l’abbiamo trovata. Ancora un’ultima rampa e la bella sterrata finisce fra i pascoli dell’Alpe Stretta. Siamo a 2427 metri. Ci accoglie una fontana acqua freschissima  dove sono adagiati dei contenitori per conservare il latte al fresco. Mentre, seduti a ai tavoli attorno all’alpe consumiamo i nostri panini per il pranzo, un bambina si avvicina alla fontana e da uno dei recipienti immersi nella vasca estrae con un mestolo del bianchissimo latte e ne riempie due bicchieroni che va a servire ad un tavolo poco più in là, dove un gruppo di tedeschi stà consumando un pasto a base di prodotti dell’alpeggio. A saperlo prima, non avremmo riempito i nostri zaini di panini e barrette!!

Seguendo il sentiero che si stacca dall’alpe, in meno di mezzora e con percorso quasi pianeggiante, arriviamo al passo La Stretta a 2476 metri. Una serie di paline indica i vari sentieri da seguire. Noi seguiamo l’indicazione per le Baite degli Agnelli sul sentiero 104 affrontando un tratto a piedi particolarmente ripido  a picco sulla valle della Forcola. Con un ultimo tratto in sella raggiungiamo la strada asfaltata che scende dalla Forcola di Livigno, sul confine italiano. Siamo infatti in zona franca. Attraversiamo i prati sotto le Baite Agnelli e raggiungiamo una bella sterrata che corre fra l’asfalto e il torrente. In fondo alla valle della Forcola deviamo decisamente a nord e seguendo le piste ciclabili che man troviamo scendendo raggiungiamo il centro di Livigno. Su consiglio di Massimo, grande conoscitore della zona per aver partecipato tra l’altro all’ultima gran fondo “Pedaleda”, anziché attraversare tutto l’abitato fino a Santa Maria per risalire la Valle di Federia effettuiamo una deviazione per non scendere troppo di quota. Poco prima di Sant’Antonio seguiamo il sentiero 116 che si stacca sulla destra fra le case. Guadagniamo quota rapidamente perché in poco meno di un chilometro risaliamo di oltre 150 metri. E’ una rampa micidiale che mette a dura prova la nostra resistenza. Qualcuno l’affronta a piedi per risparmiare la gamba in vista dell’ultima salita che non sappiamo com’è. Più in alto incrociamo il sentiero 112 che seguiamo sempre i direzione nord ( destra nel senso di marcia). Il panorama sull’abitato di Livigno è magnifico. Sotto di noi si apre l’ampia e verde valle di Livigno con le sue estese borgate fatte di case dai tetti tutti uguali, adagiate su un tappeto di prati verdissimi, dove ogni cosa sembra al proprio posto. Anche gli impianti di risalita  non disturbano più di tanto l’armonia dell’intero paesaggio. Verso nord, di fronte a noi l’azzurro lago si incunea fra due pareti rocciose le cui cime sfiorano, e alcune superano, i tremila metri di quota. Siamo ai confini con il Parco Naturale dello Stelvio.

Il sentiero termina in una larga strada bianca che, contro ogni nostra volontà, siamo costretti  a seguire in discesa perdendo così buona parte del dislivello superato con tanta fatica. Al centro di un tornante deviamo a sinistra seguendo le indicazioni della Pedaleda e ritorniamo a pedalare su un ripido sentiero che in breve ci porta sulla sterrata della val  Federia, di nuovo a quota 1900 metri.. Però, in fondo abbiamo percorso un tratto della mitica “Pedaleda”! Senza l’aiuto del grande (è alto 2 metri!) Massimo questo non sarebbe accaduto.

Percorriamo il fondo valle lungo un’ampia strada dal fondo compatto e dalla pendenza moderata, fino ad incrociare le segnalazioni per il Passo di Cassana, poco prima delle baite della Chiesaira.

Presso le baite è possibile e conveniente far rifornimento di acqua perché sulla salita verso il passo acque non ce n’è. E’ già pomeriggio inoltrato quando iniziamo la salita, consapevoli che non sarà certo un divertimento. Soltanto a guardare la prima rampa i muscoli delle gambe si rifiutano di pedalare e siamo costretti a salire a piedi, quasi allungati sulle nostre biciclette tanta è la pendenza di questo tratto. Qualcuno ci prova, a pedalare, ma desiste dopo pochi metri. Chi è allenato a correre in montagna si invola è così, un’altra volta, il gruppo si sgrana. Ognuno rimane di nuovo solo e cerca di salire con il proprio passo, senza forzare, ma anche senza lasciarsi staccare troppo da chi è là davanti, a poche decine metri, comunque irraggiungibile. Ogni tanto mi fermo a scattare qualche foto, così riprendo un po di fiato e riesco anche a guardarmi un po' attorno. Del sentiero originale, non credo rimanga ancora qualche traccia. Dai grossolani lavori di sbancamento è evidente che questa salita è stata tracciata di recente con una ruspa che ha inferto una profonda ferita al fianco di questa verde valletta. Lunghi e ripidi rettilinei si alternano a stretti tornanti e la pendenza non scende mai al di sotto del quindici per cento. Il fondo è particolarmente sconnesso e pietroso ed è dunque impensabile poter pedalare. Soltanto negli ultimi cento metri la strada spiana un po’ e ci permette di arrivare in sella all’ingresso del grande rifugio Cassana. Il passo è poco più su e lo raggiungiamo risalendo il ripido sentiero che si stacca alle spalle del rifugio. Finalmente in sella transitiamo, ad uno ad uno, sotto il caratteristico solitario crocefisso issato sul colle di Cassana a 2694 metri. Le nostre ombre si allungano già verso est. Siamo un po’ in ritardo. Ci fermiamo soltanto per il tempo di qualche foto e poi giù verso l’Alpe Chauschanuna. La prima parte della discesa è particolarmente esposta, ma con un po’ di attenzione si riesce a stare benissimo in sella. Nella parte centrale il sentiero è invece molto scavato e ripido. L’unico modo per scendere è appoggiarsi ora con un piede ora con l’altro e lasciar scorrere la bici dove è possibile. E’, comunque, un tratto molto divertente. La stretta traccia si perde nei prati che precedono l’Alpe di Chauchausana . Dall’Alpe scendiamo, evitando ogni deviazione laterale, lungo la bella strada forestale che ci porta fino al fondovalle del fiume Inn, nei pressi di Zuoz. All’incrocio con l’ampia strada asfaltata manteniamo la sinistra, tenendoci in quota. Percorriamo le belle piste ciclabili, ora sterrate, ora asfaltate, che per molti tratti corrono parallele alla strada principale. La segnaletica ci indica i  nomi dei borghi che che ci lasciamo alle spalle sull’altro versante della valle;   Zuoz, Chamues e Samedan. Contorniamo l’aeroporto di St. Moritz e in breve arriviamo al bivio con la strada per il Passo Bernina nei pressi di una enorme rotatoria. Ritroviamo le indicazioni per Celerina che ci fanno seguire un ultimo tratto di una bella pista ciclabile che termina a poche centinaia di metri dall’hotel che ci ospita.

Anche stasera siamo arrivati in tempo per la cena. Sono le 19 quando, finalmente, ci ritroviamo con gli amici accompagnatori che ci aspettavano già da qualche ora.

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