ERBA PORCELLANA

(PORTULACA OLERACEA LINNEUS)

Pubblicato su Alcedo n. 42/2008

Famiglia: Portulacaceae

Genere: Portulaca

Subspecie: Granulatostellata, Nitida, Oleracea, Sylvestris, Sativa, Stellata, Papillatostellulata. Fra queste, la più diffusa nel nostro territorio è l’Oleracea.

Nomi volgari: è conosciuta in tutta Italia con il nome d’Erba porcellana con diverse denominazioni nelle varie regioni, fra le quali: Porcellana, Purciddrana, Procaccia, Porcacchia, Pucchiacchella, Perchiazza, Erbagrassa, Andracca, Sportellaccia.

Etimologia: il suo nome botanico deriva dal binomio latino “Portula” e “Oleraceus”. Secondo alcuni il primo termine tradotto in “porticina”, fa esplicito riferimento alla capsula contenete i semi che sembra proprio sigillata da una membrana simile a piccola porta, mentre secondo altri è accostata paretimologicamente a “porcus” per ricordare i “genitali femminili” giacché era usata nella medicina popolare subito dopo il parto. Il secondo termine “Oleraceus” trova tutti d’accordo perché sta a significare “verdura” a testimonianza del largo uso alimentare che godeva la portulaca, in quanto “pianta coltivata”. Le forme dialettali meridionali simili a “Purciddrana” o “Porcillana” derivano dal “porco” perché particolarmente gradita dai maiali nella loro dieta alimentare.

Storia: l’umanità in tutti i suoi continenti si è sempre cibata di questa pianta cosmopolita. Già 2000 anni A.C. veniva coltivata in Mesopotania. Da qui passò in Grecia e poi a Roma, dove molteplici furono i suoi ritrovamenti nei vari siti archeologici, in particolare in quelli risalenti all’epoca imperiale. Varrone ne celebrò le virtù alimentari. Il suo utilizzo alimentare era abbastanza diffuso anche nel Medio Evo ed in tutte le regioni mediterranee, soprattutto in Spagna e Francia. Era anche conosciuta come pianta medicinale dagli antichi Egiziani e compariva nella letteratura medica cinese del 500. Gli arabi sono stati e lo sono tuttora, fra i suoi principali consumatori, e la chiamano “pianta pazza” per via dei suoi rami che si estendono per terra senza alcuna logica. In letteratura se ne cibano i cavalieri della tavola rotonda e nel Parsifal il nobile Galvano.

Morfologia: è una pianta annuale d’aspetto erbaceo, glabra, grassettata, dalla crescita pressappoco a ragnatela che si allarga sul terreno. È dotata di un fusto molto ramificato dalle venature rossastre. È liscio, carnoso, cilindrico, internamente cavo, prostrato-strisciante, ed eretto in condizioni di scarsa luminosità per un massimo di 30cm., con un ottimo effetto tappezzante. Le foglie sono verde chiaro, spatolate, tronche all’apice, succulente, con un ciuffetto ascellare di sottili peli bianchi, con margini lisci e sono lunghe fino a 3 cm.. Si presentano verticillate intorno a dei piccoli fiori poco appariscenti, ma di svariati colori, ad eccezione del blu, ed aventi nel giallo la tinta predominante. Questi sbocciano al mattino soltanto per poche ore e solo quando c’è abbastanza luce. Hanno una corolla dai 4 ai 6 petali obovati, provvisti di un calice tubulare con due sepali. La fioritura va da maggio a settembre in piccoli gruppi di 2-3 o solitaria. Il frutto è una capsula fusiforme deiscente che tramite un opercolo contiene numerosi piccoli semi. La radice è a fittoni con radici secondarie filamentose.

Distribuzione e habitat: presente in tutti i continenti, forse d’origine Eurasia o dell’America meridionale, è considerata come “infestante”, perché cresce senza alcun problema su qualsiasi terreno, adattandosi anche ai suoli sabbiosi e a quelli pieni di sassi, fino ad un’altitudine di 1.700 metri. È particolarmente presente soprattutto nelle zone temperate calde ed è molto diffusa nei terreni incolti, sui ruderi, in prossimità dei muri, nei selciati. Cresce in abbondanza negli orti, dove viene costantemente estirpata e buttata.

Uso medico-farmaceutico: ha proprietà antiscorbutiche per il suo elevato tenore di vitamina C, nonché depurativa del sangue e utile nella cura delle infezioni urinarie. Ha qualità rinfrescanti, antispasmodiche, antinfiammatorie, antisettiche, vermifughe, febbrifughe, toniche. L’impacco delle foglioline serve per curare il rossore degli eczemi, le orticarie e per dare sollievo dalle punture d’insetti. Si usa anche per curare la dissenteria, l’enterite acuta, le emorroidi e le emorragie post-partum. Con il suo infuso si possono guarire anche le gengiviti. Possiede un elevato contenuto di proteina cruda e di polisaccaridi idrosolubili. Ultimamente si è accertata la presenza nelle foglie, degli acidi grassi omega-3, utili per la prevenzione d’attacchi cardiaci e per stimolare l’aumento delle difese immunitarie. È, infatti, una delle maggiori fonti vegetali dell’acido alpha-linolenico (C18:3 n-3) (450 mg 100g) e Y-linolenico (C18:3 n-6) (85 mg 100g), precursori delle prostaglandine. Quindi chi consuma la Porcellana o si nutre di carni provenienti da animali nutriti con Portulaca oleracea, sviluppa una maggiore efficienza metabolica che porta alla formazione d’acido eiocosapentanoico EPA e d’acido docosaesanoico DHA che è incorporato nella membrana cellulare. La formazione di EPA e DHA, dovrebbe contribuire alla diminuzione dell’aggregazione delle piastrine, stimolare la contrazione muscolare ed il funzionamento dell’apparato circolatorio, in definitiva alla riduzione delle malattie coronarie; oltre a ciò si ipotizzano effetti positivi su cancro del colon, neoplasmi del pancreas e sui sintomi dell’artrite reumatoide (Dott. Vito Bianco – atti del convegno flora e vegetazione spontanea, nella scienza, nell’arte e nella storia- Bari 1993).


Composizione chimica: riguardo agli ortaggi coltivati, la portulaca oleracea, così come la maggior parte delle erbe spontanee, ha un valore nutritivo più alto ed uno scarso contenuto di nitrati. In particolare il Ferro (mg 100g.) è a 3,0 esattamente quanto a quello dello spinacio di coltivazione. Il potassio (mg 100g.) è pari a 390, più della patata (370) e del carciofo (355). La Vitamina A (mg 100g.) è a 720, maggiore dello spinacio (600) del cavolo di Bruxells, cicoria, invidia e lattuga (220). Questa specie spontanea è anche una ricca fonte di Sali minerali e vitamine di cui la C in particolare.

In cucina: può essere consumata sia cotta che cruda e il suo uso molteplice la fa comparire un po’ dovunque. Nella cucina napoletana si univa spesso alla rucola e venduta dagli ortolani, era l’accoppiata ideale per insaporire l’insalata. L’utilizzo più semplice, l’ha sempre vista accompagnare l’insalata assieme al basilico e pomodoro, oppure con menta e crescione, ma il sapore saligno non la fa considerare particolarmente appetibile. In compenso la sua consistente presenza di mucillagine, una volta cotta, trova maggiore impiego specialmente per addensare le minestre o restringere il brodo degli stufati, oppure nei risotti e nelle zuppe. Va bene anche semplicemente lessata e saltata in padella come gli spinaci (volendo esagerare si possono aggiungere anche aglio e acciughe). Altro sfruttamento in cucina la vede fritta in padella con uovo sbattuto, farina e mollica di pane. Le foglie possono essere conservate sottaceto e assumono un sapore simile a quello dei capperi.

In ornitologia: non c’è uccellino da gabbia che non la gradisce. In particolare i fringillidi la divorano con avidità ingaggiando delle vere e proprie dispute per accaparrarsene la maggior quantità iniziale possibile. Della pianta consumano tutto partendo dai piccoli semi racchiusi nelle capsule. Le foglie sono mangiate con ingordigia ed alla fine è attaccato anche il fusto. Le indiscusse capacità nutritive ne fanno un alimento essenziale da somministrare agli uccelli, che già l’appetiscono allo stato libero, in qualunque fase dell’anno, ivi compresa quella dell’allevamento. Il suo utilizzo costante serve a tenere in forma gli uccelli mantenendo una buon’elasticità dei tessuti, è al contempo un buon vermifugo naturale che agisce rinfrescando e depurando sangue e fegato. Personalmente l’ho usata anche per mettere in forma i riproduttori e per stimolare l’imbeccata dei pullus. Come in tutte le cose appare logico non esagerare nella eccessiva somministrazione della Portulaca, mentre dobbiamo considerarla un vero toccasana quando viene somministrata agli uccelli che hanno una dieta solo a base di granaglie e cibi secchi.

Note: una pianta può produrre circa 10.000 semi con una capacità di conservazione fino a vent’anni, pertanto è fra le più infestanti degli orti. Per eliminarla deve essere estirpata con tutta la radice e messa ad essiccare al sole per evitare che dal fusto partano delle radici avventizie e si ricominci daccapo. La sua diffusione su larga scala è data soprattutto per opera del vento, delle formiche e degli uccelli.
La pianta è molto resistente ai parassiti e talvolta può essere attaccata dagli afidi, inoltre, è considerata un ottimo foraggio per il bestiame, grazie al suo alto contenuto di proteine.

Consigli: date le infinite proprietà benefiche ritrovate in questa pianta, ritengo sia utile per gli allevatori che vivono in città, coltivarla in vaso per poterla somministrare agli uccelli con tranquillità durante tutto l’anno a scopo tonico, depurativo, e preventivo di un sacco di guai. La Porcellana per crescere nei vasi dei nostri balconi non ha bisogno di molto, perché si adatta senza problemi a qualsiasi tipo di terriccio usato e potete scordarvi anche d’innaffiarla, perché troppa acqua indubbiamente le nuoce (le foglie hanno la capacità di far riserva d’acqua). Si riproduce facilmente per talea o per seme, purché non sia molto interrato. Per il resto, una buon’esposizione al sole non può che favorirne la crescita. Appare opportuno raccomandare a chi non vuole coltivarla in vaso o negli orti, di raccogliere la porcellana che si trova libera nei campi, scartando quella che cresce ai bordi delle strade, per gli ovvii motivi legati all’inquinamento. Bisogna anche evitare di cibarsi di quella raccolta nei luoghi dove pascolano le pecore per evitare il possibile contagio di salmonellosi.

Date le indiscusse proprietà benefiche della Portulaca oleracea, mi permetto di consigliarla per l’alimentazione degli uccelli da gabbia e soprattutto per i loro padroni.
Ivo Ginevra