IL
DIAMANTE PAPPAGALLO
(Erythura psittacea)
di Ivo Ginevra per Alcedo
Generalmente
in pittura si tende ad evitare l’accostamento delle tinte rosse
e verdi, perché il risultato non è particolarmente gradito,
dato il contrasto fra due colori dalle espressioni forti ed al contempo
cupe o brillanti.
Ebbene, questa regola pittorica appena enunciata, è del tutto stravolta
guardando un Diamante pappagallo; infatti, proprio l’accostamento
delle cromie verdi e rosse ricoprenti tutta la superficie piumata, fanno
di questo magnifico Estrildide, un gioiello d’armonia unica ed irripetibile.
Sebbene la tonalità verde lo associa con tutte le Erythura, il
Diamante pappagallo non ha le tipiche manifestazioni di colore blu appartenenti
ai suoi prossimi cugini, vedi Diamante di Tanibar, Faccia verde, Quadricolor
o il più conosciuto Kittlitz. Con loro mantiene in comune soltanto
un più o meno vivace colorito rosso della coda, mentre si differenzia
totalmente nella visione frontale per la sua tinta rossa che, di contro,
lo rende maggiormente vicino ai Diamanti Samoa e Peale.
Sia il maschio che la femmina di D. pappagallo hanno
un acceso piumaggio verde, dove spiccano le singolari zone di lipocromo
rosso, che ricoprono fronte, guance, gola ed alto petto, nonché
copritrici caudali e codione. Nera è la colorazione del becco e
delle strisce dell’occhio (redini). Zampe carnicine con unghie cornee
completano la descrizione dei soggetti adulti.
I giovani hanno un piumaggio bruno-grigio con tinte di colore verde pallido
su ali e dorso.
Esiste tuttavia un dimorfismo sessuale non molto evidente che per fortuna
facilita l’identificazione dei soggetti.
I segni distintivi non sono concentrati nella più o meno brillantezza
dei colori o nelle dimensioni della taglia, come spesso avviene in molte
specie, ma nell’area frontale d’elezione del lipocromo rosso,
che è meno esteso nella femmina. Altri segni distintivi rispetto
al maschio sono: le timoniere centrali meno appuntite ed il cerchio perioculare
scarsamente delineato.
La taglia non supera i 9, 10 cm. e non esistono sottospecie.
Questo splendido Estrildide è originario delle
isole della Nuova Caledonia (Oceano Pacifico).
Dapprima abituato a vivere nel folto delle foreste ora, a causa del massiccio
disboscamento perpetuato dall’uomo, ha spostato il suo habitat ai
limiti della boscaglia, nelle pianure e financo nei giardini, dove però
tiene ancora un atteggiamento timoroso, nascondendosi fra i cespugli.
Vive
in gruppi che di regola non superano le trenta unità e nel periodo
della riproduzione, una volta formate le coppie, diventa aggressivo nei
confronti del conspecifico, senza tuttavia ingaggiare duelli particolarmente
violenti. La focosità del maschio si manifesta anche durante le
fasi dell’amplesso che finiscono con la spiumatura nucale della
femmina, spesso trattenuta con il becco.
Il corteggiamento dell’Erythurino si compone in
una serie di gesti orizzontali della testa ed improvvisi spostamenti laterali,
mentre la compagna assume una posizione molto simile a quella dei nidiacei,
nell’attesa dell’imbeccata, muovendo la testa piegata da un
lato e rivolgendola verso l’alto. La copula avviene dopo una lunga
serie di voli.
Il sito di nidificazione ed i materiali, sono scelti dal maschio, mentre
alla partner, spetta il compito di rifinirlo con lanugine animale.
Contrariamente alle fasi iniziali del corteggiamento, caratterizzate da
una spiccata aggressività del maschio, dopo la deposizione, si
nota una bassa difesa del territorio della coppia e vengono ben tollerati
i conspecifici nelle vicinanze del nido.
Le fasi della riproduzione sono influenzate dalla stagione delle piogge
che inizia con lo spirare degli alisei. Abbiamo, quindi, due distinti
cicli riproduttivi (marzo-settembre).
In cattività, invece, questo periodo è libero dall’influenza
delle stagioni, restando condizionato solo dalla presenza del nido, e
da un ricco supporto proteico d’origine animale.
In media depone dalle 4 alle 6 uova ed i pullus sono alimentati in prevalenza
dalla femmina con semi di graminacee sia selvatiche che coltivate e, specie
per le prime settimane, con larve di piccoli invertebrati.
I nidiacei sono molto precoci. Hanno dei tempi di svezzamento abbastanza
ridotti ed una volta divenuti autonomi vanno a formare dei piccoli gruppi.
Riescono anche ad intraprendere la fase riproduttiva già a 6-8
settimane.
Nonostante queste premesse, che farebbero credere ad una popolazione abbastanza
numerosa, il Diamante pappagallo è in crescente calo a causa del
selvaggio abbattimento delle foreste e dall’uso scellerato d’erbicidi,
che stanno subendo i suoi luoghi d’origine. Le preoccupanti trasformazioni
dell’habitat naturale, e la successiva modifica delle abitudini
alimentari, lo hanno posto nella lista degli animali protetti; quindi,
tutti i Diamanti pappagallo oggi presenti in cattività, hanno origine
da ceppi rigorosamente domestici.
L’utilizzo delle balie nell’allevamento del nostro Erythurino,
ha dato la possibilità di far rendere al massimo le eccezionali
capacità depositive della femmina, riuscendo a svezzare anche settanta
piccoli da una sola coppia, ma logicamente è da preferire per motivi
più che logici, la riproduzione in purezza di questo Estrildide,
facendo attenzione a non far mancare mai nella fase d’allevamento,
delle prede vive, pena l’abbandono della covata al 5° o 8°
giorno. E’ buona norma concedere loro anche degli ampi spazi di
volo.
Ora dopo queste doverose note di biologia, habitat e
caratteristiche comportamentali, lasciatemi descrivere la mia esperienza
con questo splendido Diamante e …non ridete, perché quello
che mi è accaduto è tutto vero.
BENEDETTI DIAMANTI PAPPAGALLO!
Erano
le 15,00 di un assolato pomeriggio di fine Aprile, ed io stavo spaparanzato
sul divano alla ricerca di un po’ di refrigerio.
Fuori faceva già un gran caldo, fomentato da un insopportabile
vento di scirocco precursore dell’estate più calda degli
ultimi anni.
All’improvviso il mio boccheggiante zapping fra i canali della tv
alla ricerca di un programma gradevole, fu interrotto da una citofonata.
Ero sicuro che si trattasse di uno scocciatore e non risposi, però
quello insisteva.
Alla fine, annientato da quest’ostinazione, decisi di premiare il
rompiscatole con una bella raffica di male parole ed alzai la cornetta
per dare inizio al concerto.
Già per come avevo pronunziato il:”Pronto”, qualsiasi
interlocutore sano di mente avrebbe preso il largo per non sobbarcarsi
delle rogne, ma dall’altro lato, una voce gentile mi rispondeva:
- Pace e bene, sono Padre Felice. Vengo per benedire la sua abitazione.
Non ci vorrà molto, solo due minuti. Mi fa entrare?
Disarmato da tanto stupore aprii meccanicamente, senza neanche riflettere
che ero in un’impresentabile tenuta da casa, ed andai di corsa a
mettermi un paio di calzoni.
Dopo un Padre Nostro, il religioso diede una generica
benedizione all’ingresso di qualche stanza e stava per andar via,
quando dentro di me, l’insopprimibile istinto dell’allevatore
in balia di una stagione cove disastrosa, ebbe il sopravvento sulle convenzioni
e proruppe in una frase inaspettata, ma ai più, indiscutibilmente
valida:
- Scusi Padre, può anche benedire i miei uccelli che tengo in questa
stanza?
Avevo osato sperando che il prete non interpretasse la richiesta come
un gesto scaramantico!
Sicuro di un netto rifiuto o di un patetico rimprovero, aspettavo la risposta
negativa in spregio alla mia fede appassionata. Quello mi guardò
fisso negli occhi e poi ridendo rispose:
- E perché no? Io sono un Francescano e San Francesco predicava
agli uccelli.
Entrò nella stanza e con gesti sereni benedisse i pennuti.
Soddisfatto diedi anche venti euro come offerta per i poveri della parrocchia,
tanto erano ben poca cosa innanzi l’interiore certezza di avere
risolto i miei problemi d’allevamento, ma chiusa la porta, con tanto
di sorriso dietro Padre Felice, incontrai lo sguardo arcigno della mia
compagna che commentò irritata:
- Voi uccellai per sti cavoli d’uccelli siete disposti a tutto,
pure a prendere in giro il Signore! E non hai badato a spese! Vergogna.
Beh! In effetti, come gesto scaramantico non potevo fare di peggio e logicamente
dopo il rimprovero, mi sentii abbastanza irriguardoso, però….
Voi non ci crederete…. ma …, insomma, come d’incanto
dal giorno dopo, nel mio allevamento tutto ripartì alla grande!
Ed i primi a riempirmi di gioia furono proprio i Diamanti pappagallo fino
allora refrattari a qualsiasi tentativo di riproduzione.
Avevo provato fin dagli inizi d’ottobre, con due
giovani coppie, che alloggiavo in voliere da 120 cm., ma con risultati
abbastanza demoralizzanti.
I soggetti in questione, infatti, non diedero alcun segno che faceva sperare
alla riproduzione. Si comportavano proprio (per dirla alla Lucarini),
come due estranei che vivevano nello stesso condominio: ”Buongiorno”
… “Buonasera”, e ognuno per i fatti suoi.
Proprio la stessa giornata dell’avvento del francescano, avevo riunito
le coppie in una comoda gabbia di 90 cm. insieme con altri uccellini destinati
ad essere ceduti.
Avevo anche contattato un amico allevatore, disposto a tentare la loro
riproduzione al mio posto, però quando l’indomani mattina
presi in mano il trasportino per levarmeli, notai subito che le due coppie
si erano scambiate i partner che avevo inizialmente destinato e manifestavano
un indubbio affiatamento, fino allora atteso semplicemente invano.
- Ma porca miseria! – mi dissi con il trasportino in mano –
Avete deciso di amoreggiare proprio ora che ho deciso di togliervi. Comunque
non m’interessa oramai vi ho ceduto a Fabrizio, quindi…..
Li presi per mano ed istintivamente soffiai sul ventre delle femmine.
Erano prontissime ed in ottima salute, allora non ebbi altra soluzione
che chiamare a mio amico:
- Mi dispiace, ma non posso cederteli. Quando li ho presi mi sono accorto
che non sono in buona salute. Hanno tutti il fegato arrossato e non so
proprio se ce la faranno a salvarsi. Se guariscono ti chiamo subito….
Si, si. Sono più morti che vivi!
Cavolate orbe! O se preferite: “Il dado è tratto!”
Presi quindi, le nuove coppie e le alloggiai con tutti i comfort in due
gabbioni da 120 cm..
Offrii loro tutto l’occorrente per fare il nido mettendone a disposizione
tre per ogni gabbia; precisamente quello a cassettina usato per i Diamanti
di Gould, quello per pappagallini ondulati con il classico foro d’ingresso
circolare, ed uno interno a peretta.
Le coppie scelsero una, quello per i Gould posto nella parte laterale
destra della gabbie e l’altra, quello per ondulati collocato sul
frontale. Ambedue le coppie costruirono il nido con abbondante Juta e
poche fibre di cocco. Letteralmente ignorati furono, lanugine animale
e muschioa.
Il secondo passo per favorire la riproduzione, fu un’abbondante
somministrazione di tutti quegli alimenti che avrebbero potuto far crescere
l’istinto ad allevare la prole.
I Diamanti pappagallo predilessero, in particolare, il comunissimo grano
tenero germinato ed il riso soffiato rinvenuto in acqua vitaminizzata,
con l’aggiunta di un pastoncino secco all’uovo per togliere
l’eccessiva umidità. Non disdegnarono pure i semi germinati
tipici dei fringillidi che avevo iniziato a fornire ai Lucherini dopo
la venuta di Padre Felice, anzi tengo a precisare che da quel giorno il
mio allevamento, fu tutto un rifiorire d’allegre aspettative.
Non feci neanche mancare un’integrazione proteica d’origine
animale proprio perché i Diamanti pappagallo, nei primi giorni
di vita, necessitano in particolare di questo tipo d’alimento; le
tarme della farina, rinvenute per una trentina di secondi in dell’acqua
calda e successivamente tagliuzzate e unite al pastoncino, servirono benissimo
allo scopo.
Misi a disposizione anche l’occorrente per una buona formazione
del guscio dell’uovo e l’intramontabile osso di seppia fu
letteralmente divorato.
Ora non mi restava altro che aspettare, o meglio di sbracciarmi a lavorare
perché…. e suvvia non ridete…. . dopo la benedizione
di Padre Felice tutti i soggetti presenti in allevamento decisero di riprodursi.
La mattina era diventata una gran confusione di pastoni, semi e soprattutto
d’uova. Leva, metti, aspetta il quarto e ...il quinto…. Io
ho l’abitudine durante la deposizione, di levare ogni giorno le
uova anche agli Estrildidi, per poi rimetterle tutte insieme per la cova
al quinto uovo. Né più né meno di come si usa fare
con i semplici canarini. Anche i Diamanti Pappagallo non si sottrassero
a questa regola ed al quinto uovo, entrambe le coppie cominciarono la
cova di cinque uova che risultarono tutte aggallate.
Il giorno prima della schiusa fui assalito dal solito dubbio che attanaglia
l’allevatore di IEI: “li scarico alle balie così sono
sicuro di farli? …o li lascio ai genitori?”.
Amletico dubbio il nostro, che spesso non tiene neanche lontanamente in
considerazione, l’etologico incipit della preservazione della specie,
ma: “Ubi maior minor cessat”.… quindi scambio delle
uova, fra i Passeri del Giappone e gli Erythura, per verificare se questi
ultimi avevano la capacità di allevare.
Se avessi riscontrato tracce di somministrazione d’alimenti nelle
sacche sottocutanee dei pullus di Passeri del Giappone era il segno che
i D. pappagallo stavano nutrendo la prole adottiva, quindi avrei, rifatto
lo scambio dei nidiacei riportando ognuno dai propri genitori d’origine,
in caso contrario si sarebbero salvati gli Erythurini messi preventivamente
al sicuro sotto le mie collaudatissime balie.
Soddisfatto di questa comoda e collaudata soluzione andai al lavoro.
Giornataccia quella!
Per tutta una serie di contrattempi uno più urgente e grave dell’altro
non potei rientrare in allevamento che pochi minuti prima del tramonto.
Anche in mezzo a tutte quelle seccature, ero stato col pensiero ai miei
uccellini ed alle uova d’ibridi che scovavano quel giorno.
Con palpitazione alzai i coperchi dei nidi e per fortuna tutto era apposto.
Spostai anche le balie di canarino delicatamente adagiate sui pullus e
anche questi ibridi erano salvi. Tutto era andato per il verso giusto.
“Benissimo” mi dissi. Dopo una giornata catastrofica come
quella in corso, almeno in allevamento tutto era andato per il verso giusto.
Spensi la luce ed uscii.
A letto, prima di addormentarmi, diedi un ultimo pensiero alle cove e
quando Morfeo mi si presentò per accogliermi fra le sue braccia,
mi ricordai di aver controllato tutto, tranne i Diamanti Pappagallo. Penso
sia completamente inutile ed irriverente trascrivere le male parole ed
i generosi rimproveri che elargii alla mia persona; comunque, alla fine
mi addormentai tranquillo perché gli Erythrurini erano al sicuro
sotto le balie.
L’indomani mattina accompagnati i figli a scuola mi diressi di corsa
in allevamento.
Con precipitazione caccio via dal nido i Passeri del Giappone e mi accorgo
che tutti e dieci i piccoli erano con il gozzo pieno.
Più che soddisfatto richiusi il coperchio del nido, ma poi risciacquando
i semi germinati sotto l’acqua, riflettei su un qualcosa che a primo
impatto non mi venne in mente, poi una volta focalizzato il pensiero,
mi accorsi di aver fatto un terribile errore. Un’imperdonabile distrazione.
Torno al nido delle balie. Controllo trepidante .…ma ahimè,
avevo fatto la cappellata! I nidiacei erano dei Passeri del Giappone al
100%. Nessuno di loro, infatti, aveva gli inconfondibili tubercoli rifrangenti
ai lati del becco. Con tutto quel passaggio d’uova mi ero confuso
ed ora le uova dei miei Diamanti pappagallo erano sotto i loro genitori
….Con paura e maledicendomi, andai a controllare dagli Erythurini.
Per fortuna erano tutti vivi e con le sacche strapiene di cibo.
Mi ricordai allora di Padre Felice, della sua benedizione e s’impadronì
di me la granitica convinzione che, qualunque cosa avessi fatto per quell’anno,
doveva andare bene, perché così si era stabilito dall’alto.
”In hoc signo vinces”.
Ivo Ginevra
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