IL
BENGALINO VENTRE ARANCIO Amandava subflava Testo di Ivo Ginevra Foto Alcedo Pubblicato su Alcedo n. 15 anno 2004
Ogni volta che guardo un Bengalino ventre arancio, mi risuona in mente la celebre ballata Alla Fiera dell'Est del cantautore Angelo Branduardi. Era, infatti, il tempo in cui si fischiettava questa canzone, quando per accontentare un bambino capriccioso, alla fiera di San Michele, per cento lire, due uccellini mio padre comprò. Li ricordo ancora perfettamente come se fosse ieri. Erano piccoli, vivaci. Uno di un colore verde smeraldo e l’altro giallo oro. Stiedi tutta la sera a guardarli nella piccola gabbietta e l’indomani convinsi mio papà a comprare anche quelli rosso fiammante e blu elettrico. Ero veramente felice e fantasticavo su di loro con quella purezza che ha solo un bambino, poi dopo qualche mese, la delusione mi avvolse tutto. Gli uccellini cominciarono a perdere le penne, divenendo tutti di uno stupido colore verde, lasciandomi un lontano ricordo di quegli splendidi colori. Ecco la spiegazione di quanto accadde : all’epoca vi era la moda fra i commercianti, di colorare Bengalini, Munie e Lonchure proprio con questi colori vivaci, per cercare di venderli conferendo loro un aspetto più sgargiante. Allora non esistevano le associazioni per la protezione degli animali perché la natura era molto generosa con l’uomo, ma quest’ultimo insensibile come al solito, faceva razzie anche di quegli insignificanti uccellini dal colorito smorto e quindi, pur di guadagnare rendendoli vendibili, li colorava, torturandoli, senza alcun rispetto per la vita. Passato il primo momento dovuto alla delusione, mi ritrovai nella mia sovraffollata e scomoda gabbia a pagoda, quattro Bengalini Ventre Arancio insieme a Canarini, Canarini del Monzambico, Verdoni di Cina e Diamantini. Ebbene, sembra incredibile, ma una coppia di Ventre Arancio si riprodusse tranquillamente in quel guazzabuglio di razze che quasi univano i cinque continenti, ognuna con le proprie esigenze e le proprie attitudini. In un nido a cestino, precedentemente usato da altri, la coppia portò qualche sfilaccio di juta e subito la femmina depose le uova. Erano quattro, minuscole, quasi rotonde ed entrambi i Ventre Arancio si dedicarono assiduamente alla cova, allevamento e svezzamento della prole, difendendo sempre con forte ed aggressivo cipiglio, il nido da un qualsiasi volatile che sostava nelle sue vicinanze.
Questa è stata la mia prima esperienza con gli Amandava subflava, in seguito ho riprodotto il Bengalino altre volte ed ora che impropriamente mi pecco di essere un allevatore, pieno di razionalità e cultura, ho avuto qualche difficoltà nel riprodurli; ma lasciamo perdere questo racconto sulla mia infanzia ed occupiamoci di tecnica. Il Bengalino Ventre Arancio è uno dei più piccoli e begli Estrildidi dal carattere abbastanza socievole, che ci regala il continente Africano. Il nome scientifico è quello d’Amandava ed esistono due specie tipo di questo genere. La più comune, detta subflava, è diffusa in un’ampia fascia di territorio appena sopra l’equatore in particolare nel sud del deserto Sahariano. La clarkei occupa, invece, il vasto areale meridionale con maggiore presenza in Kenia e Rhodesia. Le Amandava si differenziano tranquillamente fra di loro, perché la clarkei è di taglia più grande con il colore arancio presente soltanto nel petto. Il dimorfismo sessuale nel Bengalino Ventre Arancio è abbastanza evidente e non si corre alcuna difficoltà nell'assortire la coppia, inoltre, durante il periodo riproduttivo, il maschio indossa una livrea dal colore arancio sgargiante ed ecco svelato l'arcano motivo che conferisce il nome a questo Bengalino. La femmina oltre ad avere un colore più opaco, manca della caratteristica striscia rossa sull’occhio, segno di sicura distinzione nella formazione della coppia anche nel periodo di “riposo”. Il mantenimento in cattività non desta particolari preoccupazioni perché quest’uccellino è abbastanza robusto ed una volta abituatosi al clima rigido delle regioni italiane del nord, può anche resistere alle basse temperature.
L’ambientamento
nell’Italia meridionale, invece, non presenta alcuna difficoltà legata Per alimentarlo basta il semplice misto esotici integrato con le spighe di panico che sono abbastanza appetite. Nel periodo riproduttivo si ciba anche di piccole prede vive e queste, se fornite insieme ai semi germinati, aumentano di molto il successo della riproduzione. Ho notato che i piccoli crescono meglio se alimentati con un apporto di sostanze proteiche d’origine animale, pertanto occorre organizzarsi per la bisogna facendoli abituare per tempo alle tarme della farina, alle uova di formica o ad altri piccoli insetti; in caso contrario, stemperate il comune pastoncino morbido con quello per insettivori o con integratori di farina animale. La riproduzione avviene senza particolari difficoltà nelle comuni cassettine da nido o meglio ancora nei cestini di vimini comunemente usati proprio dai bengalini, ma per invogliare gli uccelli alla nidificazione, Vi consiglio d’imbottire il nido in tutto od in parte. Va anelato con il tipo “Z” ed una volta in esposizione alle mostre non ha difficoltà nell’affermarsi con successo, infatti, quest’anno ha vinto il mondiale di Losanna con un lusinghiero 93 punti. Solo tre raccomandazioni: la prima è di alloggiarlo in gabbie “a passo stretto”; per intenderci sono quelle con un centimetro di distanza fra le sbarre. In ogni caso non lasciate una distanza superiore a 17 millimetri perché in questo caso può facilmente scappare fra le sbarre. In voliera le maglie ideali sono quelle di circa un 1 cm. Quadrato. Altra massima attenzione è di aprire lo sportellino della gabbia con la molta prudenza e dovendo fare ispezioni è opportuno, far aderire l’altra mano all’apertura, in modo tale da bloccare tutti gli spazi di fuga, compresi quelli minimi che il Bengalino riesce a sfruttare con improvvisa velocità. Per finire raccomando di usare tutti gli accorgimenti per favorire il buon assorbimento del calcio in quanto la femmina ha qualche difficoltà nella formazione del guscio dell’uovo, quindi gritt, sali minerali ed ossi di seppia non devono assolutamente mancare, anzi sarebbe bene somministrare quest’ultimi macinati e uniti agli alimenti. Se le difficoltà permangono, consiglio di eseguire la terapia che io affettuosamente definisco “alla Paternò ”. Tale cura, che prende appunto il nome dal grande ornitologo Sebastiano Paternò, mi fu da lui consigliata in un momento di sconforto e consiste nel somministrare nell’acqua da bere un integratore di calcio ad elevato assorbimento, di quelli comunemente usati per l’alimentazione umana, magari con l’aggiunta di vitamine D (ad esempio il “Caltrate). Sette / dieci giorni di questa terapia dovrebbero garantire la corretta formazione del guscio ed aiutare la femmina nella deposizione. Voglio concludere questo breve articolo con una preghiera frutto della riflessione che oggi mi viene spontanea nel ricordo di uccellerie stracolme di Bengalini. Attualmente in questi negozi li vediamo sempre di rado, e questo vuol dire che comincia a scarseggiare nei paesi s’origine; pertanto vi esorto ad allevare il Bengalino, prima che si blocchino le esportazioni, nella speranza che questa parola non diventi un lontano ricordo. Pensate: le persone che sanno poco d’uccelli, ancora oggi intendono per “Bengalino” qualunque piccolo uccello esotico, a riprova del fatto che un tempo era molto importato e popolare. Ivo Ginevra |