Le news, gli appuntamenti, le attività delle associazioni che lavorano a tutela dell’infanzia
a cura dell’Associazione Aquilone Blu Onlus
N. 7
1) Cosa significa essere pedagogista clinico:
le domande di
Greta al Dott. Sergio De Martino
Greta:
Sergio:
Il mio lavoro è fatto di colloqui, analisi, considerazioni e spesso semplice intuito, a volte pure sbagliato… Posso solo darti, in forma descrittiva, quello che apprendo e vivo con i bambini ma non aspettarti troppo, non credo possa essere usato come materiale valido da aggiungere alle tue ricerche ed ai tuoi studi. Tra l’altro, difficilmente un caso mi ritorna a controllo.Greta:
Sai che, alla fine, è l’esperienza che insegna, più dei libri… Ma spiegami come funziona…Sergio:
Un minore è coinvolto in una determinata situazione. Il giudice di Catania affida il caso ai servizi sociali o ai consultori del mio Distretto. Le persone di competenza portano quindi avanti le indagini, i colloqui, le visite domiciliari e tutto ciò che occorre per far luce sull’episodio. La documentazione viene poi inviata al tribunale il quale, per mia fortuna, li acquisisce agli atti e procede con la sentenza. A volte, però, non sempre la vicenda è sufficientemente chiara. Se le relazioni che pervengono al tribunale lasciano spazio a dubbi e perplessità, il giudice incarica la Neuropsichiatria Infantile di svolgere un’ulteriore indagine di approfondimento del caso.Greta:
E qui allora entri in gioco tu…Sergio:
Esattamente, Greta. Rivedo la storia, incontro i servizi che si sono occupati del caso, faccio colloqui con le famiglie coinvolte e procedo ad un “accertamento pluritestistico e pluridiagnostico” nei confronti del minore. Ci metto settimane, a volte mesi, poi invio la relazione al tribunale con le mie considerazioni ed i suggerimenti del caso, per esempio conferma di violenza, necessità di affidare un minore ad uno dei due coniugi, urgenza di allontanarloda casa, inserimento in casa-famiglia, trattamento sanitario, etc. Sulla base di quanto espongo, il tribunale procede di conseguenza.
Greta:
Insomma, una bella responsabilità da quel che posso capire, tenuto anche conto che tu sei l’unico pedagogista clinico in Sicilia che opera in tal senso e con tali modalità.Sergio:
Si, e di questo ne sono fiero. Comunque, tornando al discorso: a questo punto il mio compito di esaurisce e non ho più modo di vedere o seguire gli sviluppi della vicenda in quanto il caso non è più di mia competenza. Da questo capisci che difficilmente ho modo di seguire per molto tempo le vicende ma una caratteristica si ripete spesso: i genitori tendono ovviamente ad ingigantire fatti e situazioni.Greta:
Mi interessa sapere dei bambini più che dei genitori…Sergio:
Non vi è un modello standardizzato dei comportamenti dei bambini. A volte mi ritrovo di fronte piccoli che si chiudono in se stessi, hanno posture e chiusure molto forti nei confronti dell’ambiente circostante, nel senso che se prima andavano agiocare in
strada tranquillamente, ora vogliono essere sempre accompagnati dai genitori,
vogliono la loro presenza fisica in strada ed i loro giochi sono circoscritti al
marciapiede antistante la casa. A scuola vi è un
calo notevole degli apprendimenti ed assumono un atteggiamento di disinteresse
verso quanto li circonda, non raccolgono alcuno stimolo da parte dei compagni e
tendono ad isolarsi anche nei giochi di gruppo.
Greta:
Disinteressati,
ostinati ed apatici… E’ una sorta di protezione e di negazione del mondo esterno
che, identificandolo con chi ha fatto loro del male, diventa sinonimo di
malessere e di dolore… Come dire: vivono in se stessi e di se
stessi…
Sergio:
Si, spettatori apatici. Rifiutano con ostinazione di vivere “il gruppo” e non servono ne’ minacce a scuoterli da questo torpore. Acquistano insomma un ruolo passivo, rientrando in quella categoria di statistica che è definita “mortalità scolastica” (la definizione fa riferimento sia ai casi di abbandono sia ai casi di presenza passiva). In casa tendono a richiedere sempre la presenza di un familiare nella stanza in cui si trovano e preferiscono trascorrere la maggior parte del tempo in cucina con la madre, trascurando anche i giochi che prima svolgevano con fratelli e/o sorelle. Calo di interesse anche per i programmi televisivi: mantengono accesa la tv senza guardarla. Altro sintomo evidente è un calo dell’appetito, soprattutto nei confronti di quegli alimenti di cui andavano ghiotti (gelato, dolci, etc.).Greta:
Con te parlano e si confidano durante i colloqui? Se non sbaglio la loro paura è quella di non essere creduti o di dover coinvolgere persone a loro care. Si sentono in colpa, non capiscono che sono invece vittime, anche perché nella maggior parte dei casi sono stati minacciati (“non dire niente, altrimenti…”).Sergio:
Difficilmente raccontano quanto è loro accaduto nel corso dei nostri incontri. Le risposte di norma sono sempre evasive e confuse, di preferenza mantengono un atteggiamento di rifiuto al dialogo e lo sguardo non è mai diretto.Raccontano quanto è successo al fratello o sorella più grandi, ed in
assenza, alla madre. Mai al padre.
Altri comportamenti: vi è un regresso a livello di sviluppo
psichico, l’eloquio assume toni cantilenanti e ricercano maggiormente il
contatto fisico della madre. Si manifestano segni di enuresi notturna e, nei
casi più gravi, di “Pavor Nocturnus” (il bambino si sveglia nel cuore della
notte urlando senza ricordare il sogno, solo la paura da esso scatenato), oppure
ha difficoltà a prendere sonno e richiede la presenza dell’adulto accanto al
letto.
Greta:
Per quanto tempo
il bambino vittima di abusi mantiene questi
comportamenti?
Sergio: Tutti questi comportamenti tendono ad esaurirsi (in apparenza) ma non esiste un tempo definito di riferimento.
Ogni caso segue una sua modalità e i tempi sono sempre diversi:
settimane, mesi e naturalmente anni.
Dimenticavo un ultimo aspetto interessante: tutta questa serie di
manifestazioni è vissuta sempre a distanza di tempo. Mi spiego meglio: il
bambino subisce violenza, il fatto viene alla luce, si indaga e si parla. Il
piccolo, all’apparenza, non manifesta grossi cambiamenti. Dopo alcune settimane,
però, iniziano le modificazioni comportamentali di cui ho accennato
prima.
Greta:
Sergio, a te la
conclusione...
Sergio: Concludo dicendo che la terapia di sostentamento deve essere condotta in modo cauto e deve evitare al bambino di tornare con il pensiero ai fatti accaduti e, soprattutto, evitare che in famiglia si assumano condotte pietistiche ed iperprotettive. Il bambino ha bisogno della massima serenità, per riprendersi in fretta.
2) Il senso di colpa
Noto quotidianamente che la gente è esterrefatta
ogni qual volta la notizia di un nuovo caso di pedofilia rimbalza tra i media.
Sui volti si legge sdegno ed incredulità, rabbia e schifo. Ma perché queste
reazioni?
Tanta meraviglia vien fuori perché non si è disposti
ad ammettere che lo stupro, l'incesto, la pedofilia non sono un male dei nostri
tempi, bensì un comportamento legato alla storia stessa dell'uomo. L'unica
sostanziale differenza sta nell'avere a disposizione i moderni mezzi di
comunicazione che permettono ai pedofili di associarsi e scambiarsi favori,
mentre in passato rimanevano per lo più isolati.
Non dobbiamo, però, commettere l'errore di limitarci
ai soli episodi di cui sentiamo parlare perché sono solo una minima parte di ciò
che realmente avviene.
Non sono in grado di fare un quadro completo della
situazione, ma posso in ogni caso dare la voce a quel sicuro ottanta per cento
di abusati di cui non si parla perché non si dichiarano. Non hanno il coraggio
di parlare, per vergogna, per un senso di colpa che ossessivamente li pone ai
propri occhi diversi da tutti gli altri. La loro colpa sta nel non aver subito
visibile costrizione e credono per questo di essere la causa di tutto. Secondo
l'idea che si sono fatti non esiste nessun altro che si sia macchiato in ugual
modo. Essi sono stati consenzienti e come tali colpevoli più del loro carnefice.
Non sanno che, in realtà, la loro mente è stata manipolata e guidata fin
dall'inizio.
Il senso di colpa, come un'ombra inesorabile li
perseguiterà imprigionandoli in una visione distorta di quella che è la realtà.
Non sanno di essere vittime. Non sanno di non essere gli
unici ad aver sbagliato "in quel modo". Non sanno di poter e dover chiedere
aiuto per venirne fuori.
La vittima è riluttante a parlare di quel che accade nella sua vita. Sicuramente è, a suo modo, consapevole che quel suo senso di
colpa non è dettato solo dalle proprie paure, ma è
alimentato anche dalle regole che la società ci impone. Sicuramente il
minore è in grado di stabilire a priori se verrà o no "perdonato". Solo quando
avrà la certezza di essere compreso ed aiutato avrà la forza di raccontare
tutto. Questo potrà avvenire quando sarà sicuro che quel che ha fatto non
pregiudicherà il suo rapporto con gli adulti,e se questi dimostreranno di
accettare di ascoltare senza infierire su di lui.
I bambini sanno cosa possono fare o non fare, cosa
possono dire o non dire. Lo scoprono dal quotidiano
I nostri comportamenti sono ancora guidati da tabù e
da valori dietro i quali nascondiamo l'indecisione. Fin quando non ci sforzeremo
di guardare oltre i nostri interessi l'abusato non sarà libero di vivere la sua
sofferenza!
Credo che fin quando si parlerà solo della figura
del pedofilo come malato, la gente penserà di essere al sicuro perché tra le sue
conoscenze non ci sono elementi del genere o se ne sarebbe accorta.
Se, invece, si riesce a far capire che l'abusante
può essere chiunque, allora forse si riuscirà ad avere una maggiore attenzione
da parte di chi è tenuto alla cura del minore, famiglie o istituzioni che
siano.
Risvegliamo l'attenzione della gente su un rischio reale: la facile manipolazione mentale dei bambini ad opera di persone bisognose di far prevalere la soddisfazione delle proprie esigenze al di sopra di ogni atto d'amore.
Giulia Base
3) Pedofilia via Internet a scuola: professore denunciato
Avrebbe chiesto di “patteggiare” la pena,
l’insegnate di musica di Gressoney Saint Jean coinvolto in un’inchiesta
anti-pedofilia della Procura di Bari. L’uomo, che ha 38 anni, è sposato ed è
padre di due figlie piccole, è stato individuato a Luglio di quest’anno. Agenti
della Polizia Postale – seguendo le tracce telematiche lasciate mentre
“navigava” su Internet – sono risaliti alla scuola dove il professore, le cui
iniziali sono M.F., insegna. Tracce che conducevano ad uno dei computer
utilizzati durante le attività didattiche. Su un “supporto informatico” era
stato scaricato materiale pedo-pornografico: è stato sequestrato. Ora è a
disposizione degli inquirenti di Bari. La scelta di utilizzare il PC della
scuola era un tentativo di celare la propria identità. Ma come è stato scoperto
l’insegnante? Entrato in Internet alla ricerca di immagini proibite si è messo a
chattare con quelli che credeva pedofili e invece erano
poliziotti.
Alcuni genitori hanno chiesto la sospensione immediata dell’uomo. Ma una nota di ieri, Venerdì 26, alla Sovrintendenza agli Studi spiega che “alla data 1° Ottobre 2001 non risultava esercitata l’azione penale e, ad oggi, non si ha notizia certa di ulteriori sviluppi e di iniziative giudiziarie nei confronti del docente”. Perciò il “rispetto del principio costituzionalmente sancito della presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva non ha consentito alla Sovrintendenza agli Studi l’azione di provvedimenti in merito”.
da "La Vallée" 27-10-2001
4) Convegno sulla violenza e lo sfruttamento dei minori
Questura di Pavia
6 Ottobre 2001
Relatori: Prof. Rondini, ordinario di pediatria all'Università di Pavia; Dott. L. Pomodoro, presidente del Tribunale dei Minori di Milano; Dott. Grasso, Procuratore della Repubblica presso la procura di Palermo; Dott. Forno, Procuratore della Repubblica presso la procura di Milano; Don O. Benzi, fondatore comunità Exodus; Dott. Treffiletti, Commissario Capo della Polizia Postale, Milano; Dott. Vera Slepoj, psicanalista