[...] I. -
BORGHESI E PROLETARI
La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia
di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi
della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori
e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero
una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta.
[...]
Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una
completa articolazione della società in differenti ordini, una
molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo
patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo signori feudali,
vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e,
per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste
classi. La società civile moderna, sorta dal tramonto della società
feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha
soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di
oppressione, nuove forme di lotta.
La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si distingue però dalle
altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L'intera società
si va scindendo sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi
classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e
proletariato.
[...]
All'industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al
ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i capi
di interi eserciti industriali, i borghesi moderni.
La grande industria ha creato quel mercato mondiale, ch'era stato
preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno
sviluppo immenso al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni
per via di terra. Questo sviluppo ha reagito a sua volta
sull'espansione dell'industria, e nella stessa misura in cui si
estendevano industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è
sviluppata la borghesia, ha accresciuto i suoi capitali e ha respinto
nel retroscena tutte le classi tramandate dal Medioevo. Vediamo dunque
come la borghesia moderna è essa stessa il prodotto d'un lungo
processo di sviluppo, d'una serie di rivolgimenti nei modi di
produzione e di traffico.
[...]
Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli
affari comuni di tutta la classe borghese. La borghesia [...] ha
affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi
dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della
malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di
scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente
conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di
scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato,
diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni
religiose e politiche. La borghesia ha spogliato della loro aureola
tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con
pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta,
l'uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi. La borghesia ha
strappato il commovente velo sentimentale al rapporto
familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro. [...]
Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti
sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre.
Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi,
dappertutto deve creare relazioni.
[...]
Ai vecchi bisogni, soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano
bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi
e dei climi più lontani. All'antica autosufficienza e all'antico
isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una
interdipendenza universale fra le nazioni. [...] La borghesia elimina
sempre più la dispersione dei mezzi di produzione, della proprietà e
della popolazione. Ha agglomerato la popolazione, ha centralizzato i
mezzi di produzione, e ha concentrato in poche mani la proprietà. Ne
è stata conseguenza necessaria la centralizzazione politica. Province
indipendenti, legate quasi solo da vincoli federali, con interessi,
leggi, governi e dazi differenti, vennero strette in una sola nazione,
sotto un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di
classe, entro una sola barriera doganale.
[...]
Ma abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base
si era venuta costituendo la borghesia erano stati prodotti entro la
società feudale. A un certo grado dello sviluppo di quei mezzi di
produzione e di scambio, le condizioni nelle quali la società feudale
produceva e scambiava, l'organizzazione feudale dell'agricoltura e
della manifattura, in una parola i rapporti feudali della proprietà,
non corrisposero più alle forze produttive ormai sviluppate. Essi
inceppavano la produzione invece di promuoverla. Si trasformarono in
altrettante catene. Dovevano essere spezzate e furono spezzate. Ad
esse subentrò la libera concorrenza con la confacente costituzione
sociale e politica, con il dominio economico e politico della classe
dei borghesi. Sotto i nostri occhi si svolge un moto analogo. I
rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di
proprietà, la società borghese moderna che ha creato per incanto
mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago
che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate.
Sono decenni ormai che la storia dell'industria e del commercio è
soltanto storia della rivolta delle forze produttive moderne contro i
rapporti moderni della produzione, cioè contro i rapporti di proprietà
che costituiscono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo
dominio. Basti ricordare le crisi commerciali che col loro periodico
ritorno mettono in forse sempre più minacciosamente l'esistenza di
tutta la società borghese. [...] Con quale mezzo la borghesia supera
le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze
produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo
sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi?
Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la
diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse. A questo momento
le armi che son servite alla borghesia per atterrare il feudalesimo si
rivolgono contro la borghesia stessa. Ma la borghesia non ha soltanto
fabbricato le armi che la porteranno alla morte; ha anche generato gli
uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari.
Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il
capitale, si sviluppa il proletariato, la classe degli operai moderni,
che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro solo
fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale. Questi operai, che
sono costretti a vendersi al minuto, sono una merce come ogni altro
articolo commerciale, e sono quindi esposti, come le altre merci, a
tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni
del mercato.
Con l'estendersi dell'uso delle macchine e con la divisione del
lavoro, il lavoro dei proletari ha perduto ogni carattere indipendente
e con ciò ogni attrattiva per l'operaio. Egli diviene un semplice
accessorio della macchina, al quale si richiede soltanto un'operazione
manuale semplicissima, estremamente monotona e facilissima da
imparare. Quindi le spese che causa l'operaio si limitano quasi
esclusivamente ai mezzi di sussistenza dei quali egli ha bisogno per
il proprio mantenimento e per la riproduzione della specie. Ma il
prezzo di una merce, quindi anche quello del lavoro, è uguale ai suoi
costi di produzione.
Quindi il salario decresce nella stessa proporzione in cui aumenta il
tedio del lavoro. Anzi, nella stessa proporzione dell'aumento dell'uso
delle macchine e della divisione del lavoro, aumenta anche la massa
del lavoro, sia attraverso l'aumento delle ore di lavoro, sia
attraverso l'aumento del lavoro che si esige in una data unità di
tempo, attraverso l'accresciuta celerità delle macchine, e così via.
L'industria moderna ha trasformato la piccola officina del maestro
artigiano patriarcale nella grande fabbrica del capitalista
industriale. Masse di operai addensate nelle fabbriche vengono
organizzate militarmente. E vengono poste, come soldati semplici
dell'industria, sotto la sorveglianza di una completa gerarchia di
sottufficiali e ufficiali. Gli operai non sono soltanto servi della
classe dei borghesi, ma vengono asserviti giorno per giorno, ora per
ora dalla macchina, dal sorvegliante, e soprattutto dal singolo
borghese fabbricante in persona. Questo dispotismo è tanto più
meschino, odioso ed esasperante, quanto più apertamente esso proclama
come fine ultimo il guadagno.
[...]
Quando lo sfruttamento dell'operaio da parte del padrone di fabbrica
è terminato in quanto all'operaio viene pagato il suo salario in
contanti, si gettano su di lui le altre parti della borghesia, il
padron di casa, il bottegaio, il prestatore su pegno e così via.
Quelli che fino a questo momento erano i piccoli ordini medi, cioè i
piccoli industriali, i piccoli commercianti e coloro che vivevano di
piccole rendite, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi
precipitano nel proletariato, in parte per il fatto che il loro
piccolo capitale non è sufficiente per l'esercizio della grande
industria e soccombe nella concorrenza con i capitalisti più forti,
in parte per il fatto che la loro abilità viene svalutata da nuovi
sistemi di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte le
classi della popolazione.
Il proletariato passa attraverso vari gradi di sviluppo. La sua lotta
contro la borghesia comincia con la sua esistenza.
[...]
La crescente concorrenza dei borghesi fra di loro e le crisi
commerciali che ne derivano rendono sempre più oscillante il salario
degli operai; l'incessante e sempre più rapido sviluppo del
perfezionamento delle macchine rende sempre più incerto il complesso
della loro esistenza; le collisioni fra il singolo operaio e il
singolo borghese assumono sempre più il carattere di collisioni di
due classi. Gli operai cominciano col formare coalizioni contro i
borghesi, e si riuniscono per difendere il loro salario. Fondano
perfino associazioni permanenti per approvvigionarsi in vista di
quegli eventuali sollevamenti. Qua e là la lotta prorompe in
sommosse.
Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e
proprio risultato delle lotte non è il successo immediato, ma il
fatto che l'unione degli operai si estende sempre più. Essa è
favorita dall'aumento dei mezzi di comunicazione, prodotti dalla
grande industria, che mettono in collegamento gli operai delle diverse
località. E basta questo collegamento per centralizzare in una lotta
nazionale, in una lotta di classe, le molte lotte locali che hanno
dappertutto uguale carattere.
[...]
In genere, i conflitti insiti nella vecchia società promuovono in
molte maniere il processo evolutivo del proletariato. La borghesia è
sempre in lotta; da principio contro l'aristocrazia, più tardi contro
le parti della stessa borghesia i cui interessi vengono a contrasto
con il progresso dell'industria, e sempre contro la borghesia di tutti
i paesi stranieri. In tutte queste lotte essa si vede costretta a fare
appello al proletariato, a valersi del suo aiuto, e a trascinarlo così
entro il movimento politico. Essa stessa dunque reca al proletariato i
propri elementi di educazione, cioè armi contro se stessa.Inoltre,
come abbiamo veduto, il progresso dell'industria precipita nel
proletariato intere sezioni della classe dominante, o per lo meno ne
minaccia le condizioni di esistenza. Anch'esse arrecano al
proletariato una massa di elementi di educazione.
Infine, in tempi nei quali la lotta delle classi si avvicina al
momento decisivo, il processo di disgregazione all'interno della
classe dominante, di tutta la vecchia società, assume un carattere
così violento, così aspro, che una piccola parte della classe
dominante si distacca da essa e si unisce alla classe rivoluzionaria,
alla classe che tiene in mano l'avvenire. Quindi, come prima una parte
della nobiltà era passata alla borghesia, così ora una parte della
borghesia passa al proletariato; e specialmente una parte degli
ideologi borghesi, che sono riusciti a giungere alla intelligenza
teorica del movimento storico nel suo insieme.
Fra tutte le classi che oggi stanno di contro alla borghesia, il
proletariato soltanto è una classe realmente rivoluzionaria. Le altre
classi decadono e tramontano con la grande industria; il proletariato
è il suo prodotto più specifico.
Gli ordini medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante,
l'artigiano, il contadino, combattono tutti la borghesia, per
premunire dalla scomparsa la propria esistenza come ordini medi.
Quindi non sono rivoluzionari, ma conservatori. Anzi, sono reazionari,
poiché cercano di far girare all'indietro la ruota della storia.
Quando sono rivoluzionari, sono tali in vista del loro imminente
passaggio al proletariato, non difendono i loro interessi presenti, ma
i loro interessi futuri, e abbandonano il proprio punto di vista, per
mettersi da quello del proletariato.
Il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli infimi strati
della società, che in seguito a una rivoluzione proletaria viene
scagliato qua e là nel movimento, sarà più disposto, date tutte le
sue condizioni di vita, a lasciarsi comprare per mene reazionarie.
Le condizioni di esistenza della vecchia società sono già annullate
nelle condizioni di esistenza del proletariato. Il proletario è senza
proprietà; il suo rapporto con moglie e figli non ha più nulla in
comune con il rapporto familiare borghese; il lavoro industriale
moderno, il soggiogamento moderno del capitale, identico in
Inghilterra e in Francia, in America e in Germania, lo ha spogliato di
ogni carattere nazionale. Leggi, morale, religione sono per lui
altrettanti pregiudizi borghesi, dietro i quali si nascondono
altrettanti interessi borghesi. [...]
Tutti i movimenti precedenti sono stati movimenti di minoranze, o
avvenuti nell'interesse di minoranze. Il movimento proletario è il
movimento indipendente della immensa maggioranza. Il proletariato, lo
strato più basso della società odierna, non può sollevarsi, non può
drizzarsi, senza che salti per aria l'intera soprastruttura degli
strati che formano la società ufficiale.
La lotta del proletariato contro la borghesia è in un primo tempo
lotta nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. È
naturale che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto
sbrigarsela con la propria borghesia.
[...]
Ogni società si è basata finora, come abbiamo visto, sul contrasto
fra classi di oppressori e classi di oppressi. Ma, per poter opprimere
una classe, le debbono essere assicurate condizioni entro le quali
essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava. Il servo della
gleba, lavorando nel suo stato di servo della gleba, ha potuto
elevarsi a membro del comune, come il cittadino minuto, lavorando
sotto il giogo dell'assolutismo feudale, ha potuto elevarsi a
borghese. Ma l'operaio moderno, invece di elevarsi man mano che
l'industria progredisce, scende sempre più al disotto delle
condizioni della sua propria classe. L'operaio diventa un povero, e il
pauperismo si sviluppa anche più rapidamente che la popolazione e la
ricchezza. Da tutto ciò appare manifesto che la borghesia non è in
grado di rimanere ancora più a lungo la classe dominante della società
e di imporre alla società le condizioni di vita della propria classe
come legge regolatrice. Non è capace di dominare, perché non è
capace di garantire l'esistenza al proprio schiavo neppure entro la
sua schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una
situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa è
costretta a nutrirlo. La società non può più vivere sotto la classe
borghese, vale a dire la esistenza della classe borghese non è più
compatibile con la società.
La condizione più importante per l'esistenza e per il dominio della
classe borghese è l'accumularsi della ricchezza nelle mani di
privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale; condizione
del capitale è il lavoro salariato. Il lavoro salariato poggia
esclusivamente sulla concorrenza degli operai tra di loro. Il
progresso dell'industria, del quale la borghesia è veicolo
involontario e passivo, fa subentrare all'isolamento degli operai
risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria,
risultante dall'associazione. Con lo sviluppo della grande industria,
dunque, viene tolto di sotto ai piedi della borghesia il terreno
stesso sul quale essa produce e si appropria i prodotti. Essa produce
anzitutto i suoi seppellitori. Il suo tramonto e la vittoria del
proletariato sono del pari inevitabili.
II -
PROLETARI E COMUNISTI
In che rapporto sono i comunisti con i proletari in genere?
I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri
partiti operai.
I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il
proletariato.
I comunisti non pongono princìpi speciali sui quali vogliano
modellare il movimento proletario.
I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il
fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli
interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell'intero
proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall'altra
per il fatto che sostengono costantemente l'interesse del movimento
complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta
fra proletariato e borghesia.
Quindi in pratica i comunisti sono la parte progressiva più risoluta
dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno
il vantaggio sulla restante massa del proletariato, di comprendere le
condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento
proletario.
Lo scopo immediato dei comunisti è lo stesso di tutti gli altri
proletari: formazione del proletariato in classe, abbattimento del
dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del
proletariato.
Le proposizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto su idee,
su princìpi inventati o scoperti da questo o quel riformatore del
mondo.
Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di
una esistente lotta di classi, cioè di un movimento storico che si
svolge sotto i nostri occhi. L'abolizione di rapporti di proprietà
esistiti fino a un dato momento non è qualcosa di distintivo
peculiare del comunismo.
Tutti i rapporti di proprietà sono stati soggetti a continui
cambiamenti storici, a una continua alterazione storica. Per esempio,
la rivoluzione francese abolì la proprietà feudale in favore di
quella borghese. Quel che contraddistingue il comunismo non è
l'abolizione della proprietà in generale, bensì l'abolizione della
proprietà borghese.
Ma la proprietà privata borghese moderna è l'ultima e la più
perfetta espressione della produzione e dell'appropriazione dei
prodotti che poggia su antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli
uni da parte degli altri.
In questo senso i comunisti possono riassumere la loro teoria nella
frase: abolizione della proprietà privata. Ci si è rinfacciato, a
noi comunisti che vogliamo abolire la proprietà acquistata
personalmente, frutto del lavoro diretto e personale; la proprietà
che costituirebbe il fondamento di ogni libertà, attività e
autonomia personale.
Proprietà frutto del proprio lavoro, acquistata, guadagnata con le
proprie forze!
Parlate della proprietà del minuto cittadino, del piccolo contadino
che ha preceduto la proprietà borghese? Non c'è bisogno che
l'aboliamo noi, l' ha abolita e la va abolendo di giorno in giorno lo
sviluppo dell'industria.
O parlate della moderna proprietà privata borghese?
Ma il lavoro salariato, il lavoro del proletario, crea proprietà a
questo proletario? Affatto. Il lavoro del proletario crea il capitale,
cioè quella proprietà che sfrutta il lavoro salariato, che può
moltiplicarsi solo a condizione di generare nuovo lavoro salariato,
per sfruttarlo di nuovo. La proprietà nella sua forma attuale si
muove entro l'antagonismo fra capitale e lavoro salariato.
Esaminiamo i due termini di questo antagonismo. Essere capitalista
significa occupare nella produzione non soltanto una pura posizione
personale, ma una posizione sociale. Il capitale è un prodotto
collettivo e può essere messo in moto solo mediante una attività
comune di molti membri, anzi in ultima istanza solo mediante l'attività
comune di tutti i membri della società.
Dunque, il capitale non è una potenza personale; è una potenza
sociale.
Dunque, se il capitale viene trasformato in proprietà collettiva,
appartenente a tutti i membri della società, non c'è trasformazione
di proprietà personale in proprietà sociale. Si trasforma soltanto
il carattere sociale della proprietà. La proprietà perde il suo
carattere di classe.
Veniamo al lavoro salariato. Il prezzo medio del lavoro salariato è
il minimo del salario del lavoro, cioè è la somma dei mezzi di
sussistenza che sono necessari per mantenere in vita l'operaio in
quanto operaio. Dunque, quello che l'operaio salariato s'appropria
mediante la sua attività è sufficiente soltanto per riprodurre la
sua nuda esistenza. Noi non vogliamo affatto abolire questa
appropriazione personale dei prodotti del lavoro per la riproduzione
della esistenza immediata, appropriazione che non lascia alcun residuo
di profitto netto tale da poter conferire potere sul lavoro altrui.
Vogliamo eliminare soltanto il carattere miserabile di questa
appropriazione, nella quale l'operaio vive solo allo scopo di
accrescere il capitale, e vive solo quel tanto che esige l'interesse
della classe dominante.
Nella società borghese il lavoro vivo è soltanto un mezzo per
moltiplicare il lavoro accumulato. Nella società comunista il lavoro
accumulato è soltanto un mezzo per ampliare, per arricchire, per far
progredire il ritmo d'esistenza degli operai. Dunque nella società
borghese il passato domina sul presente, nella società comunista il
presente domina sul passato. Nella società borghese il capitale è
indipendente e personale, mentre l'individuo operante è dipendente e
impersonale. E la borghesia chiama abolizione della personalità e
della libertà l'abolizione di questo rapporto! E a ragione: infatti,
si tratta dell'abolizione della personalità, della indipendenza e
della libertà del borghese. Entro gli attuali rapporti di produzione
borghesi per libertà s'intende il libero commercio, la libera
compravendita.
Ma scomparso il traffico, scompare anche il libero traffico. Le frasi
sul libero traffico, come tutte le altre bravate sulla libertà della
nostra borghesia, hanno senso, in genere, soltanto rispetto al
traffico vincolato, rispetto al cittadino asservito del Medioevo; ma
non hanno senso rispetto alla abolizione comunista del traffico, dei
rapporti borghesi di produzione e della stessa borghesia.
Voi inorridite perché vogliamo abolire la proprietà privata. Ma
nella vostra società attuale la proprietà privata è abolita per i
nove decimi dei suoi membri; la proprietà privata esiste proprio per
il fatto che per nove decimi non esiste.
Dunque voi ci rimproverate di voler abolire una proprietà che
presuppone come condizione necessaria la privazione della proprietà
dell'enorme maggioranza della società. In una parola, voi ci
rimproverate di volere abolire la vostra proprietà. Certo, questo
vogliamo.
Appena il lavoro non può più essere trasformato in capitale, in
denaro, in rendita fondiaria, insomma in una potenza sociale
monopolizzabile, cioè, appena la proprietà personale non può più
convertirsi in proprietà borghese, voi dichiarate che è abolita la
persona. Dunque confessate che per persona non intendete nient'altro
che il borghese, il proprietario borghese. Certo questa persona deve
essere abolita. Il comunismo non toglie a nessuno il potere di
appropriarsi prodotti della società, toglie soltanto il potere di
assoggettarsi il lavoro altrui mediante tale appropriazione. Si è
obiettato che con l'abolizione della proprietà privata cesserebbe
ogni attività e prenderebbe piede una pigrizia generale.
Da questo punto di vista, già da molto tempo la società borghese
dovrebbe essere andata in rovina per pigrizia, poiché in essa coloro
che lavorano, non guadagnano, e quelli che guadagnano, non lavorano.
Tutto lo scrupolo sbocca nella tautologia che appena non c'è più
capitale non c'è più lavoro salariato.
Tutte le obiezioni che vengono mosse al sistema comunista di
appropriazione e di produzione dei prodotti materiali, sono state
anche estese alla appropriazione e alla produzione dei prodotti
intellettuali, come il cessare della proprietà di classe è per il
borghese il cessare della produzione stessa, così il cessare della
cultura di classe è per lui identico alla fine della cultura in
genere.
Quella cultura la cui perdita egli rimpiange, è per la enorme
maggioranza la preparazione a diventare macchine. Ma non discutete con
noi misurando l'abolizione della proprietà borghese sul modello delle
vostre idee borghesi di libertà, cultura, diritto e così via. Le
vostre idee stesse sono prodotti dei rapporti borghesi di produzione e
di proprietà, come il vostro diritto è soltanto la volontà della
vostra classe elevata a legge, volontà il cui contenuto è dato nelle
condizioni materiali di esistenza della vostra classe. Voi condividete
con tutte le classi dominanti tramontate quell'idea interessata
mediante la quale trasformate in eterne leggi della natura e della
ragione, da rapporti storici quali sono, transeunti nel corso della
produzione, i vostri rapporti di produzione e di proprietà. Non vi è
più permesso di comprendere per la proprietà borghese quel che
comprendete per la proprietà antica e per la proprietà feudale.
Abolizione della famiglia! Anche i più estremisti si riscaldano
parlando di questa ignominiosa intenzione dei comunisti. Su che cosa
si basa la famiglia attuale, la famiglia borghese? Sul capitale, sul
guadagno privato. Una famiglia completamente sviluppata esiste
soltanto per la borghesia: ma essa ha il suo complemento nella coatta
mancanza di famiglia del proletario e nella prostituzione pubblica. La
famiglia del borghese cade naturalmente col cadere di questo suo
complemento ed entrambi scompaiono con la scomparsa del capitale. Ci
rimproverate di voler abolire lo sfruttamento dei figli da parte dei
genitori? Confessiamo questo delitto. Ma voi dite che sostituendo
l'educazione sociale a quella familiare noi aboliamo i rapporti più
cari.
E anche la vostra educazione, non è determinata dalla società? Non
è determinata dai rapporti sociali entro i quali voi educate, dalla
interferenza più o meno diretta o indiretta della società mediante
la scuola e così via? I comunisti non inventano l'influenza della
società sull'educazione, si limitano a cambiare il carattere di tale
influenza, e strappano l'educazione all'influenza della classe
dominante.
La fraseologia borghese sulla famiglia e sull'educazione,
sull'affettuoso rapporto fra genitori e figli diventa tanto più
nauseante, quanto più, per effetto della grande industria, si
lacerano per il proletario tutti i vincoli familiari, e i figli sono
trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.
[...]
Si è rimproverato ai comunisti ch'essi vorrebbero abolire la patria,
la nazionalità. Gli operai non hanno patria. Non si può togliere
loro quello che non hanno.
Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi
il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se
stesso in nazione, è anch'esso ancora nazionale, seppure non certo
nel senso della borghesia.
Le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno
scomparendo sempre più già con lo sviluppo della borghesia, con la
libertà di commercio, col mercato mondiale, con l'uniformità della
produzione industriale e delle corrispondenti condizioni d'esistenza.
Il dominio del proletariato li farà scomparire ancor di più. Una
delle prime condizioni della sua emancipazione è l'azione unita, per
lo meno dei paesi civili.
Lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra viene abolito
nella stessa misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo
da parte di un altro.
Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni scompare la
posizione di reciproca ostilità fra le nazioni. [...]
Il proletariato adoprerà il suo dominio politico per strappare a poco
a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli
strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioè del proletariato
organizzato come classe dominante, e per moltiplicare al più presto
possibile la massa delle forze produttive.
Naturalmente, ciò può avvenire, in un primo momento, solo mediante
interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi
di produzione, cioè per mezzo di misure che appaiono insufficienti e
poco consistenti dal punto di vista dell'economia; ma che nel corso
del movimento si spingono al di là dei propri limiti e sono
inevitabili come mezzi per il rivolgimento dell'intero sistema di
produzione.
Queste misure saranno naturalmente differenti a seconda dei differenti
paesi. Tuttavia, nei paesi più progrediti potranno essere applicati
quasi generalmente i
provvedimenti seguenti:
1. Espropriazione della
proprietà fondiaria ed impiego della rendita fondiaria per le spese
dello Stato.
2. Imposta fortemente progressiva.
3. Abolizione del diritto di successione.
4. Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli.
5. Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca
nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo.
6. Accentramento di tutti i mezzi di trasporto in mano allo Stato.
7. Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di
produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano
collettivo.
8. Eguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti
industriali, specialmente per l'agricoltura.
9. Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e della industria,
misure atte ad eliminare gradualmente l'antagonismo fra città e
campagna.
10. Istruzione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Eliminazione
del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale.
Combinazione dell'istruzione con la produzione materiale e così via.
Quando le differenze di classe
saranno scomparse nel corso dell'evoluzione, e tutta la produzione sarà
concentrata in mano agli individui associati, il pubblico potere
perderà il suo carattere politico. In senso proprio, il potere
politico è il potere di una classe organizzato per opprimerne
un'altra. Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella
lotta contro la borghesia, facendosi classe dominante attraverso una
rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli
antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di
produzione le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe, cioè
abolisce le condizioni d'esistenza delle classi in genere, e così
anche il suo proprio dominio in quanto classe.
Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi
fra le classi subentra una associazione in cui il libero sviluppo di
ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.
III -
LETTERATURA SOCIALISTA E COMUNISTA
1. IL
SOCIALISMO REAZIONARIO
a) Il socialismo feudale. Data la sua posizione storica,
l'aristocrazia francese e inglese era chiamata a scrivere libelli
contro la moderna società borghese. Nella rivoluzione francese del
luglio 1830, nel movimento inglese per la riforma elettorale,
l'aristocrazia era soggiaciuta ancora una volta all'aborrito nuovo
venuto. Non c'era più da pensare a una seria lotta politica. Le
rimaneva soltanto la lotta letteraria. Ma anche nel campo della
letteratura la vecchia fraseologia dell'età della restaurazione era
ormai impossibile. Per destare qualche simpatia, l'aristocrazia era
costretta a distogliere gli occhi, in apparenza, dai propri interessi
e a formulare il suo atto d'accusa contro la borghesia solo
nell'interesse della classe operaia sfruttata. Così essa preparava la
soddisfazione di poter intonare invettive contro il nuovo signore, e
di potergli mormorare nell'orecchio profezie più o meno gravide di
sciagura.
A questo modo sorse il socialismo feudalistico, metà lamentazione,
metà libello; metà riecheggiamento del passato, metà minaccia del
futuro. A volte colpisce al cuore la borghesia con un giudizio amaro e
spiritosamente sarcastico, ma ha sempre effetto comico per la sua
totale incapacità di comprendere il corso della storia moderna. [...]
b) Il socialismo
piccolo-borghese. L'aristocrazia feudale non è l'unica classe che sia
stata abbattuta dalla borghesia e le cui condizioni di esistenza siano
deperite e si siano estinte nella società borghese moderna. La
piccola borghesia medievale e l'ordine dei piccoli contadini furono i
precursori della borghesia moderna. Questa classe continua ancora a
vegetare accanto alla sorgente borghesia nei paesi meno sviluppati
industrialmente e commercialmente.
Nei paesi dove s'è sviluppata la civiltà moderna, si è formata una
nuova piccola borghesia, sospesa fra il proletariato e la borghesia,
che torna sempre a formarsi da capo, in quanto è parte integrante
della società borghese; ma i suoi membri vengono costantemente
precipitati nel proletariato dalla concorrenza, anzi, con lo sviluppo
della grande industria vedono addirittura avvicinarsi un momento nel
quale scompariranno totalmente come parte indipendente della società
moderna, e verranno sostituiti da sorveglianti e domestici nel
commercio, nella manifattura, nell'agricoltura.
In paesi come la Francia, dove la classe dei contadini costituisce
molto più della metà della popolazione, era naturale che alcuni
scrittori i quali scendevano in campo per il proletariato contro la
borghesia usassero la scala del piccolo borghese e del piccolo
contadino per la loro critica del regime borghese e che prendessero
partito per gli operai dal punto di vista della piccola borghesia.
Così s'è formato il socialismo piccolo-borghese. [...]
c) Il socialismo tedesco ossia
il vero socialismo. La letteratura socialista e comunista francese,
ch'è sorta sotto la pressione d'una borghesia dominante ed è
l'espressione letteraria della lotta contro questo dominio, venne
introdotta in Germania proprio mentre la borghesia stava cominciando
la sua lotta contro l'assolutismo feudale.
Filosofi, semifilosofi e begli spiriti tedeschi s'impadronirono
avidamente di quella letteratura, dimenticando solo una piccola cosa:
che le condizioni d'esistenza francesi non erano immigrate in Germania
insieme a quegli scritti che venivano dalla Francia. Nei confronti
delle condizioni tedesche, la letteratura francese perdette ogni
significato pratico immediato e assunse un aspetto puramente
letterario. Non poteva non apparire un'oziosa speculazione sulla vera
società, sulla realizzazione dell'essere umano. Allo stesso modo le
rivendicazioni della prima rivoluzione francese avevano avuto per i
filosofi tedeschi del secolo XVIII soltanto il senso di essere
rivendicazioni della "ragion pratica" in generale, e le
manifestazioni di volontà della borghesia francese rivoluzionaria
avevano significato ai loro occhi di leggi di pura volontà, della
volontà come deve essere, della volontà veramente umana.
Il lavoro dei letterati tedeschi consistette unicamente nel concordare
le nuove idee francesi con la loro vecchia coscienza filosofica, o,
anzi, nell'appropriarsi delle idee francesi dal loro punto di vista
filosofico.
Questa appropriazione avvenne nella stessa maniera che si usa in
genere per appropriarsi una lingua straniera: mediante la traduzione.
È noto come i monaci ricoprissero di insipide storie di santi
cattolici i manoscritti che contenevano le opere classiche
dell'antichità pagana. Con la letteratura francese profana i
letterati tedeschi usarono il procedimento inverso; scrissero le loro
sciocchezze filosofiche sotto l'originale francese. Per esempio, sotto
la critica francese dei rapporti patrimoniali essi scrissero
"alienazione dell'essere umano", sotto la critica francese
dello stato borghese scrissero "superamento del dominio
dell'universale in astratto", e così via.
Battezzarono questa insinuazione del loro frasario filosofico negli
svolgimenti francesi con i nomi di "filosofia dell'azione",
"vero socialismo", "scienza tedesca del
socialismo", "motivazione filosofica del socialismo" e
così via.
Così la letteratura francese socialista e comunista fu letteralmente
evirata. E poiché essa nelle mani dei tedeschi aveva smesso di
esprimere la lotta d'una classe contro l'altra, il tedesco era
consapevole d'aver superato l'unilateralità francese, d'essersi fatto
rappresentante non di veri bisogni, ma anzi del bisogno della verità,
non degli interessi del proletariato, ma anzi degli interessi
dell'essere umano, dell'uomo in genere; dell'uomo che non appartiene a
nessuna classe, anzi neppure alla realtà, e appartiene soltanto al
cielo nebuloso della fantasia filosofica.
Questo socialismo tedesco, che prendeva così solennemente sul serio
le sue goffe esercitazioni scolastiche, e tanto ciarlatanescamente le
strombazzava, perdette tuttavia, a poco a poco, la sua pedantesca
innocenza.
La lotta della borghesia tedesca, specialmente di quella prussiana,
contro i feudali e contro la monarchia assoluta, in una parola, il
movimento liberale, divenne più serio.
Così al vero socialismo si offrì l'auspicata occasione di
contrapporre le rivendicazioni socialiste al movimento politico, di
lanciare i tradizionali anatemi contro il liberalismo, contro lo Stato
rappresentativo, contro la concorrenza borghese, contro la libertà di
stampa borghese, il diritto borghese, la libertà e l'eguaglianza
borghesi; e di predicare alla massa popolare come essa non avesse
niente da guadagnare, anzi tutto da perdere con quel movimento
borghese. Il socialismo tedesco dimenticava in tempo che la critica
francese della quale esso era l'insulsa eco, presuppone la società
borghese moderna con le corrispondenti condizioni materiali
d'esistenza e l'adeguata costituzione politica: tutti presupposti che
in Germania si trattava appena di conquistare.
Il vero socialismo servì ai governi assoluti tedeschi, col loro
seguito di preti, di maestrucoli, di nobilucci rurali e di burocrati,
come gradito spauracchio contro la borghesia che avanzava minacciosa.
Costituì il dolciastro complemento delle acri sferzate e delle
pallottole di fucile con le quali quei governi rispondevano alle
insurrezioni operaie. [...]
2. IL
SOCIALISMO CONSERVATORE O BORGHESE
Una parte della borghesia desidera di portar rimedio agli
inconvenienti sociali, per garantire l'esistenza della società
borghese.
Rientrano in questa categoria economisti, filantropi, umanitari,
miglioratori della situazione delle classi lavoratrici, organizzatori
di beneficenze, protettori degli animali, fondatori di società di
temperanza e tutta una variopinta genìa di oscuri riformatori. E in
interi sistemi è stato elaborato questo socialismo borghese.
Come esempio citeremo la Philosophie de la misère del Proudhon.
I borghesi socialisti vogliono le condizioni di vita della società
moderna senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne derivano.
[...]
Una seconda forma di socialismo meno sistematica e più pratica
cercava di far passare alla classe operaia la voglia di qualsiasi
movimento rivoluzionario, argomentando che le potrebbe essere utile
non l'uno o l'altro cambiamento politico, ma soltanto un cambiamento
delle condizioni materiali della esistenza, cioè dei rapporti
economici. Ma questo socialismo non intende affatto, con il termine di
cambiamento delle condizioni materiali dell'esistenza, l'abolizione
dei rapporti borghesi di produzione, possibile solo in via
rivoluzionaria, ma miglioramenti amministrativi svolgentisi sul
terreno di quei rapporti di produzione, che dunque non cambiano nulla
al rapporto fra capitale e lavoro salariato, ma che, nel migliore dei
casi, diminuiscono le spese che la borghesia deve sostenere per il suo
dominio e semplificano il suo bilancio statale.
[...]
Libero commercio! nell'interesse della classe operaia; dazi
protettivi! nell'interesse della classe operaia; carcere cellulare!
nell'interesse della classe operaia. Questa è l'ultima parola,
l'unica detta seriamente, del socialismo borghese. Il loro socialismo
consiste appunto nell'affermazione che i borghesi sono borghesi -
nell'interesse della classe operaia
3. IL
SOCIALISMO E COMUNISMO CRITICO-UTOPISTICO
Qui non parleremo della letteratura che ha espresso le rivendicazioni
del proletariato in tutte le grandi rivoluzioni moderne (scritti di
Babeuf e così via).
I primi tentativi del proletariato di far valere direttamente il suo
proprio interesse di classe in un'età di generale effervescenza, nel
periodo del rovesciamento della società feudale, non potevano non
fallire per la forma poco sviluppata del proletariato stesso, come
anche per la mancanza delle condizioni materiali della sua
emancipazione, che sono appunto solo il prodotto dell'età borghese.
La letteratura rivoluzionaria che ha accompagnato quei primi movimenti
del proletariato è per forza reazionaria, quanto al contenuto;
insegna un ascetismo generale e un rozzo egualitarismo.
[...]
I sistemi propriamente socialisti e comunisti, i sistemi di
Saint-Simon, di Fourier, di Owen, ecc., emergono nel primo periodo,
non sviluppato, della lotta fra proletariato e borghesia [...] gli
inventori di quei sistemi vedono l'antagonismo delle classi e anche
l'efficacia degli elementi dissolventi nel seno della stessa società
dominante. Ma non vedono nessuna attività storica autonoma dalla
parte del proletariato, non vedono nessun movimento politico proprio e
particolare del proletariato.
Poiché lo sviluppo dell'antagonismo fra le classi va di pari passo
con lo sviluppo dell'industria, essi non trovano neppure le condizioni
materiali per l'emancipazione del proletariato, e vanno in cerca d'una
scienza sociale, di leggi sociali, per creare queste condizioni.
[...]
È vero ch'essi sono coscienti di sostenere nei loro progetti
soprattutto gli interessi della classe operaia, come della classe che
più soffre. Il proletariato esiste per essi soltanto da questo punto
di vista della classe che più soffre. Ma è inerente tanto alla forma
non evoluta della lotta di classe quanto alla loro propria situazione,
ch'essi credano d'essere di gran lunga superiori a quell'antagonismo
di classe. Vogliono migliorare la situazione di tutti i membri della
società, anche dei meglio situati. Quindi fanno continuamente appello
alla società intera, senza distinzione, anzi, di preferenza alla
classe dominante.
Giacché basta soltanto comprendere il loro sistema per riconoscerlo
come il miglior progetto possibile della miglior società possibile.
[...]
Ma gli scritti socialisti e comunisti consistono anche di elementi di
critica. Essi attaccano tutte le fondamenta della società esistente.
Hanno quindi fornito materiale preziosissimo per illuminare gli
operai. Le loro proposizioni positive sulla società futura, per
esempio l'abolizione del contrasto fra città e campagna, della
famiglia, del guadagno privato, del lavoro salariato, l'annuncio
dell'armonia sociale, la trasformazione dello Stato in una semplice
amministrazione della produzione, tutte queste proposizioni esprimono
semplicemente la scomparsa dell'antagonismo fra le classi che allora
comincia appena a svilupparsi, e ch'essi conoscono soltanto nella sua
prima informe indeterminatezza. Perciò queste stesse proposizioni
hanno ancora un senso puramente utopistico.
[...]
A poco per volta essi cadono nella sopra descritta categoria dei
socialisti reazionari o conservatori, e ormai si distinguono da questo
solo per una pedanteria più sistematica, e per la fede fanatica e
superstiziosa nell'efficacia miracolosa della loro scienza sociale.
Quindi si oppongono aspramente ad ogni movimento politico degli
operai, poiché esso non potrebbe procedere che da cieca mancanza di
fede nel nuovo vangelo.
IV -
POSIZIONE DEI COMUNISTI DI FRONTE AI DIVERSI
PARTITI DI OPPOSIZIONE
Da quanto s'è detto nel secondo capitolo appare ovvio quale sia il
rapporto dei comunisti coi partiti operai già costituiti, cioè il
loro rapporto coi cartisti in Inghilterra e coi riformatori
nell'America del Nord.
I comunisti lottano per raggiungere i fini e gli interessi immediati
della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari
tempo l'avvenire del movimento. In Francia i comunisti si alleano al
partito socialista-democratico contro la borghesia conservatrice e
radicale, senza per questo rinunciare al diritto d'un contegno critico
verso le frasi e le illusioni provenienti dalla tradizione
rivoluzionaria.
In Svizzera essi appoggiano i radicali, senza disconoscere che questo
partito è costituito da elementi contraddittori, in parte da
socialisti democratici in senso francese, in parte da borghesi
radicali.
Fra i polacchi, i comunisti appoggiano il partito che fa d'una
rivoluzione agraria la condizione della liberazione nazionale. Lo
stesso partito che promosse l'insurrezione di Cracovia del 1846.
In Germania il partito comunista combatte insieme alla borghesia
contro la monarchia assoluta, contro la proprietà fondiaria feudale e
il piccolo borghesume, appena la borghesia prende una posizione
rivoluzionaria.
Però il partito comunista non cessa nemmeno un istante di preparare e
sviluppare fra gli operai una coscienza quanto più chiara è
possibile dell'antagonismo ostile fra borghesia e proletariato,
affinché i lavoratori tedeschi possano subito rivolgere, come
altrettante armi contro la borghesia, le condizioni sociali e
politiche che la borghesia deve creare con il suo dominio, affinché
subito dopo la caduta delle classi reazionarie in Germania, cominci la
lotta contro la borghesia stessa.
I comunisti rivolgono la loro attenzione soprattutto alla Germania,
perché la Germania è alla vigilia d'una rivoluzione borghese, e
perché essa compie questo rivolgimento in condizioni di civiltà
generale europea più progredite, e con un proletariato molto più
evoluto che non l'Inghilterra nel decimosettimo e la Francia nel
decimottavo secolo; perché dunque la rivoluzione borghese tedesca può
essere soltanto l'immediato preludio d'una rivoluzione proletaria.
In una parola: i comunisti appoggiano dappertutto ogni movimento
rivoluzionario diretto contro le situazioni sociali e politiche
attuali.
Entro tutti questi movimenti essi mettono in rilievo, come problema
fondamentale del movimento, il problema della proprietà, qualsiasi
forma, più o meno sviluppata, esso possa avere assunto.
Infine, i comunisti lavorano dappertutto al collegamento e all'intesa
dei partiti democratici di tutti i paesi.