UN CALCIATORE ATIPICO

«Cretino lo sono già stato» dice di sé. Così disdegna veline e futilità. L'uomo più ambito del calciomercato mostra di essere il nuovo Paolo Rossi. E non è un caso, perché Alberto è nato il 5 luglio ‘82 mentre «Pablito» rifilava tre gol al Brasile.

L'uomo dell'estate è un calciatore atipico.
Con un diploma da ragioniere preso in tempi normali, un padre dirigente d'azienda (Gillet), una ragazza che non fa la velina ma si sta laureando in economia e lo ha conosciuto una quarantina di gol fa, quando ancora non era nessuno.
Alberto Gilardino sembra il sogno borghese di ogni madre con figlia da maritare, il bravo ragazzo italiano, posato e miliardario, che sta facendo innamorare una nuova generazione di ragazze per bene, tutte chiesa e luci da stadio. Gilardino è un lineare dal destino contorto. Era scritto da tempo che andasse al Milan.

Poche squadre al mondo potevano acquistarlo (costa intorno ai 30 milioni di euro) e quelle poche si sono presto messe d'accordo per non disturbarsi. Non c'è stata un'asta, il Milan sempre in fuga fin dal primo chilometro. Il destino rispettava anche la scelta di Gilardino, che è un tifoso della Juventus, ma accettava di cuore la casa milanista per ricchezza e organizzazione. Gilardino merita destinazione e prezzo. È dai tempi di Paolo Rossi che l'Italia non ha un centravanti di questa forza e queste caratteristiche. Gilardino ha più energie di Rossi e qualche architettura in meno.

Rossi era ondeggiante, muoveva prima se stesso che il pallone. Gilardino è un trattore agile, sguscia in silenzio di fianco agli avversari ma in realtà li sposta con il talento e la forza. E ha una cosa che Paolo Rossi non aveva: gioca spalle alla porta come nessuno. I difensori lo controllano e vedendolo girato sono convinti di tenerlo in pugno. Ma Gilardino gioca da dietro come avesse la porta in faccia. Ha movimenti rapidi, un gioco isterico, anticipa l'idea, vede l'azione e il gol con tre attimi di fretta in più. Spalle alla porta è quasi immarcabile, dicono i suoi avversari e i suoi allenatori. Cesare Prandelli, che lo ha inventato, allenato e oggi è il tecnico della Fiorentina, va molto oltre Rossi. Dice che Gilardino è il migliore degli ultimi trent'anni, si attacca direttamente a Gigi Riva, l'uomo dello scudetto impossibile al Cagliari, l'ultimo della generazione nata durante la guerra e il primo di un'Italia diversa, finalmente piena di vitamine a tavola. Riva era potenza pura, un sinistro «che apriva il mare», come raccontavano i poeti sportivi dell'epoca. Burgnich, terzino della grande Inter di Helenio Herrera, suo avversario naturale e tutt'altro che tenero, diceva che quando Riva partiva sembrava «la migrazione di un popolo», sentivi che potevi rimanerne travolto. Gilardino non ha quella potenza, è più scaltro, più moderno, ha meno cose di Riva quindi deve pensare di più. Ma il risultato è lo stesso.

Nessuno alla sua età ha mai segnato come questo ragazzo del Biellese, nato in un paese che a sua volta è il nome di un buon centravanti attuale: Cossato. Nel calcio si dice che Gilardino sia un predestinato. È nato il 5 luglio 1982, il giorno in cui allo stadio Sarrià di Barcellona l'Italia di Enzo Bearzot e Rossi batté il Brasile 3 a 2 e si qualificò per le semifinali del campionato del mondo. Un giorno che ha fatto la storia del nostro calcio e la leggenda di Rossi che segnò tre gol ed eliminò da solo il Brasile di Falcão e Socrates. Si può avere nel venire al mondo una scelta di tempo così straordinaria e permettere sia tutto inutile? Non si può. Per questo Gilardino, fin da quando fu chiaro che sapeva di calcio, è sempre stato visto come qualcosa di magico. Un'avventura con il finale già scritto. La storia è breve ma intensa. Il Piacenza lo prende quando ha 15 anni.
A 17 anni debutta in serie A, poche partite, qualche gol, il tempo di confermare che c'è aria di fenomeno.
Poi succede qualcosa, rallentamenti, lavori in corso, la scoperta che crescere è sempre una fatica e non sempre i maestri hanno pazienza. Nel calcio aspettare è un lusso, conta sempre il presente.
Se il futuro è tuo, tocca a te aspettarlo. Quasi sempre da solo. Così, se chiedete oggi a Gilardino se riuscirà a tenere la testa sulle spalle, vi dirà senz'altro di sì perché, ripete spesso, «cretino lo sono già stato».

Successe quando aveva 19 anni, nella sua stagione a Verona. Era andato là convinto di giocare. L'allenatore era Alberto Malesani che non lo vedeva molto. «Colpa certamente mia» dice oggi Gilardino, che in realtà stimava Malesani ma non riusciva a farsi capire. Aveva una Golf Gt, un po' di buoni soldi in tasca, una piccola banda di amici con la voglia di vivere. Perché non assecondare il tempo? Così si perse. Non molto, solo un po'. Ma un fenomeno non può permettersi nemmeno quello. Il destino glielo ricordò di colpo una notte. Guidava lui, correva, ridevano, erano felici, quattro amici.
Poi un'auto dall'altra parte della carreggiata forse non vista, forse non capita. Gilardino sterza, sbanda, urta, cappotta. L'auto finisce fuori strada, s'immerge nel Sile, il fiume che scorre parallelo alla carreggiata.
C'è una ragazza nell'auto, senza conoscenza, è immobile e pallida, sanguina. Gilardino guarda i suoi, li vede in piedi, doloranti ma in piedi, e si butta nel Sile.
Il ragazzo «cretino» resta nel fiume. Quello nuovo porta lentamente a galla la ragazza dell'auto.
E comincia a pregare che si salvi. La ragazza si salverà. Mesi e mesi con fratture dovunque, ma si salva e diventa amica e tifosa di Alberto. Gilardino capisce che è ormai tempo di assecondare il destino senza altri indugi. E comincia a volerlo a Parma è Prandelli, tre anni fa.
Arrigo Sacchi non era convinto. Era un grande Parma, aveva Adriano e Mutu, il ragazzo sembrava starci un po' largo. Ma Prandelli disse che questo era un grande centravanti. Convinse Sacchi a tenerlo. Gilardino diventa titolare il 9 novembre 2003, quando Adriano si procura un serio strappo muscolare. Viene confermato due mesi dopo, quando Adriano è venduto all'Inter per 25 milioni di euro. Il resto è cronaca: 23 gol il primo campionato al Parma, 24 il secondo. Poi arriva la cosa a cui tiene di più: Alice, 24 anni, due esami e una tesi per una laurea in economia. Alice è bella, semplice, innamorata e con un privilegio che la rende solare. Ha conosciuto Alberto la notte dell'ultimo dell'anno di due anni fa, una festa a Cortina. Gilardino aveva appena cominciato a essere titolare nel Parma, era ancora un ragazzo qualunque. Alice nemmeno sapeva avesse un mestiere. S'innamorarono e basta. Scoprirono dopo che il futuro era già arrivato. Alice è di Cremona, lui viveva fino a ieri a Parma. Adesso andranno a vivere insieme a Milano.

L'accordo con il Milan è di fine febbraio. Ne parlarono con il suo procuratore, fu quasi spontaneo. Gilardino è un perfezionista. Il suo giocatore di riferimento è Batistuta perché gli ha sentito dire che ogni sera rimaneva ad allenarsi ancora un po'. A provare punizioni, a inventare soluzioni d'esterno o di collo, ad andare in alto nei calci d'angolo con i pesi legati sui fianchi per trovare sempre più forza. Il Milan gli dà questa garanzia di perfezione professionale, di metodo, di tempo scandito senza buttare via niente.
E il Milan è curioso di scoprire cosa sarà con Gilardino. Ha già per attaccante un pallone d'oro, Shevcenko. Dovessero andare d'accordo sul campo resterebbe spazio per gli altri? Per la prima volta fanno coppia due attaccanti che hanno già dimostrato di saper segnare 24 gol ciascuno. Una coppia da 50 reti.
Mai esistita. C'è però un suo dubbio antico. Gilardino teme di non essere adatto a giocare in coppia con qualcuno. Il suo ideale è essere solo nel cuore degli avversari e avere Morfeo alle spalle. Morfeo che conosce i suoi pensieri e i suoi spostamenti. Morfeo che per lui (e molti altri), non avesse avuto acciacchi, sarebbe stato meglio di Totti e Del Piero. Cambiarono insieme, lui e Morfeo, due anni fa, dopo che Prandelli li mise a un banco insieme a uno psicologo. Non doveva curarli, doveva tirare fuori la grande isola di talento che avevano. Gilardino diventò un fenomeno, Morfeo finalmente un leader. Ora avrà Shevcenko di fianco e Kakà alle spalle, riuscirà a rimanere se stesso?

Lo ha chiesto a Prandelli, che gli ha detto: sì, tranquillo. Puoi giocare con chi vuoi. Gilardino ormai si è abituato alla responsabilità di essere un fuoriclasse.
Di avere una storia da scrivere. Di essere il nuovo amico degli italiani. Di non raccontare il suo tenue entusiasmo di ragazzo di sinistra in una repubblica come quella del calcio, ricca e conservatrice.
In una società, il Milan, che per definizione cavalca su altre direzioni.
E intanto finisce di costruire la prima villa della sua vita, a Cossato, accanto a quella dei suoi genitori, lungo la salita che porta al Santuario di Oropa, proprio davanti alla curva dove un giorno Marco Pantani scattando ruppe la catena, scese, raccomodò la sua bicicletta, si rimise in sella e andò a vincere la corsa e il Giro da solo.