MILANO, 19
marzo 2005 - L’obiettivo di Alberto Gilardino è figlio della curiosità:
vuole vedere con i suoi occhi quello che già conosce attraverso i racconti di
papà e mamma. Il 5 luglio 1982, mentre lui veniva al mondo all’ospedale di
Biella, l’Italia di Pablito Rossi batteva 3-2 il Brasile al Mundial di Spagna e
chi non si ricorda quello che accadde nelle strade e nelle piazze del nostro
Paese? Lui non lo sa, però, e adesso che è diventato il centravanti della
Nazionale dice: "Il sogno è quello di far impazzire di gioia i nostri tifosi: è
per questo motivo che vogliamo guadagnarci al più presto la qualificazione per
il Mondiale 2006 e poi cercheremo di dare l’anima per vincere quel trofeo che ci
manca dal 1982, proprio da quando sono nato io".
— Che aria si respira, adesso, in azzurro?
"Io sono arrivato nel gruppo dopo l’Europeo e devo ammettere che mi aspettavo di
trovare un ambiente diverso. Invece sono tutti disponibili, c’è armonia tra
giovani e vecchi, e questo è merito di Lippi: è un allenatore vincente, sa come
si forma un gruppo, vuole che la Nazionale abbia lo stesso spirito di un club. E
io mi trovo benissimo".
— All’inizio della stagione lei è stato criticato perché non segnava,
ricorda?
"Alcuni giudizi sono stati troppo affrettati. Io venivo da una stagione intensa,
avevo giocato tante partite con il Parma, con l’Under 21 e poi ero andato
all’Olimpiade e non avevo potuto svolgere una regolare preparazione
pre-campionato. Quando sono tornato a Parma, c’era un nuovo allenatore (Silvio
Baldini, ndr), nuovi schemi da imparare e i risultati non arrivavano. Logico
beccarsi delle critiche in quella situazione".
— Poi è venuto il gol contro l’Inter a San Siro alla quarta giornata.
"Lì mi sono sbloccato. Ma sono cambiate molte cose, per me, nell’ultimo periodo.
Come uomo no, per fortuna; come giocatore, invece, avverto più responsabilità.
In campo gli avversari mi aspettano, mi temono e mi tengono. E’ normale".
— Dicono che lei sia un simulatore.
"Balle. La verità è che, a fine partita, io mi ritrovo graffi e botte su tutto
il corpo".
— Rileggiamo la carriera: è partito da Piacenza proprio come Pippo Inzaghi.
"Dovevo andare alla Fiorentina, ero contento perché in quel periodo il mio idolo
era Batistuta, ma poi d’accordo con i genitori ho scelto Piacenza perché ero più
vicino a casa. E con la maglia del Piacenza ho esordito in A, il 6 gennaio 2000,
contro il Milan. Poi sono andato a Verona e lì sono cresciuto tantissimo anche
perché ho dovuto affrontare momenti difficili".
— Li può raccontare?
"Ero partito bene, i tifosi del Verona mi vedevano come il nuovo Inzaghi e si
aspettavano tantissimo da me. Io ho avuto un calo, logico a quell’età, e poi ho
fatto un incidente stradale: terribile, mi sono salvato per miracolo. Esperienze
che ti fanno maturare".
— Chi l’ha aiutata a crescere?
"A parte i genitori, mia nonna Giovanna. E penso anche ad Andrea Tagliaferri, un
ragazzo che giocava con me nel Piacenza ed è morto in un incidente pochi mesi
fa: ero sempre a casa sua, una persona straordinaria. E’ grazie a loro se sono
diventato Alberto Gilardino".
— A quale allenatore si sente più legato?
"Prandelli mi ha sicuramente cambiato: come tattica e come comportamento sul
campo. Ma ho imparato tantissimo anche da Novellino e da Malesani. E poi da
Carmignani che a Parma, per noi, è come un papà".
— Le piace di più giocare da punta unica o con un compagno al fianco?
"Il mio schema ideale è con un trequartista alle spalle e con due ali ai
fianchi. Se ho segnato tanti gol nelle ultime stagioni, grandi meriti hanno
Marchionni, Bresciano e Morfeo che io considero un genio del calcio,
paragonabile a Totti per le qualità tecniche".
— Domenica arriva al Tardini il Palermo: sfida tra lei e Toni.
"Luca lo conosco bene, è migliorato tantissimo ed è un punto di riferimento per
i compagni. Ma noi dobbiamo vincere assolutamente per respirare un po’ di aria
buona. E io voglio segnare".
— Il Parma è in vendita, faccia uno spot per convincere i possibili
acquirenti.
"Dico che Parma è una città tranquilla e vivibile e che si può fare calcio
perché ci sono persone serie e grandi strutture. E pure giocatori e tecnici
bravi".
— Forse non ci sarà più Gilardino, l’anno prossimo.
"Non lo so, se dovessi andare via da Parma vorrei farlo lasciando un bel
ricordo. E comunque, per muovermi dall’Emilia, dovrebbe esserci la richiesta di
un grandissimo club".
— La scorsa estate si pensava che lei fosse destinato alla Juve. Ci è rimasto
male per il mancato acquisto?
"Sinceramente pensavo che la Juve facesse qualcosa di più per comprarmi, ma alla
fine sono contento così. Il mio futuro lo vedo ancora in Italia, perché non
vorrei perdere la Nazionale. Più avanti non mi dispiacerebbe un’esperienza in
Spagna".
— Lei ha giocato con Adriano, Mutu e Cassano. Che tipi sono?
"Un po’ bizzarri, ma grandissimi calciatori. Io ho cominciato a segnare quando
Adriano si è fatto male e Prandelli mi ha dato fiducia. Poi lui è stato ceduto e
io sono diventato titolare. Cassano, l’ultima volta che l’ho visto in nazionale,
mi ha detto: "Ti ricordi quando eravamo assieme nell’Under 15 e stavamo tutt’e
due in panchina?". E’ un personaggio estroso, Cassano: quando ha la testa e la
voglia ti fa vincere qualsiasi partita. Bisogna saperlo prendere per il verso
giusto".
— Ci sarà Milan-Inter in Champions League: per chi fa il tifo?
"Per adesso non tengo per nessuno. Più avanti, vedremo".
— Che le raccomandano ancora i suoi genitori?
"Di giocare per divertirmi, come ho sempre fatto. E di essere umile, disponibile
e corretto. Spero di riuscirci".
— A quale portiere segna più volentieri?
"Lo ammetto: fare gol a Buffon, che è anche mio amico, mi ha dato una grande
soddisfazione".