Il Movimento del 77
GLI INIZI
Con la circolare
del 3 dicembre che vieta agli studenti di fare più esami nella stessa
materia smantellando di fatto la liberalizzazione dei piani di studio, il ministro
della pubblica istruzione Malfatti vuole saggiare il terreno in vista di più ambiziosi
progetti di controriforma. Non a caso il senato accademico di Palermo, dominato
da baronie propriamente mafiose, è il primo (e lunico) a decidere
di applicarla subito, scontrandosi però con lopposizione degli
studenti che occupano lettere il 24 gennaio e le altre facoltà nei giorni
successivi. Intanto comincia a filtrare dagli
uffici del ministero il progetto di «riforma» Malfatti. I giornali,
intorno al 23 dicembre ne pubblicano qualche stralcio, quanto basta per capire
di che si tratta. Questi i punti più significativi: introduzione di tre livelli di laurea;
suddivisione dei docenti in due ruoli distinti (ordinari e associati);
creazione di una gerarchia piramidale di organi di gestione, dove ai
professori ordinari è garantita la maggioranza;
controllo rigido sui piani di studio da parte dei cattedratici;
aggruppamento degli esami in due sessioni (estiva e autunnale), con conseguente
abolizione degli appelli mensili;
aumento delle tasse di frequenza, mentre rimane inalterato il fondo per
gli assegni di studio (è da tenere presente che, oltre a questi disincentivi
materiali, la riforma della scuola secondaria, contemporaneamente in discussione,
abolisce la liberalizzazione degli accessi alle facoltà).
Secondo
le stime sindacali, i docenti, precari e non, erano 54.085.
Con la «riforma» ne sarebbero stati espulsi perlomeno 13.627 perché
i posti, assegnati automaticamente o messi a concorso, sarebbero stati solo 40.458 (si
sarebbero aggiunti 5.000 posti agli 8.500 già esistenti nella fascia degli
ordinari, mentre la fascia degli associati avrebbe disposto di un organico di
circa 26.958 posti). Era ragionevole prevedere che la falcidia avrebbe colpito
soprattutto i 26.286 precari (incaricati, contrattisti, assegnisti, esercitatori).
Contro questa prospettiva di disoccupazione certa i precari si mobilitarono in
tutta Italia: insieme al posto di lavoro si tratta di difendere la prospettiva
di ununiversità di massa, contro un progetto che punta a scoraggiare
la frequenza anche attraverso la riduzione del personale docente. A Napoli,
dove il problema è particolarmente sentito, il 17 gennaio diverse centinaia
di studenti e una delegazione di disoccupati laureati e diplomati partecipano
ad unassemblea organizzata dai precari contro la «riforma» Malfatti e la disoccupazione intellettuale. Lassemblea
decide di occupare per una settimana le facoltà in agitazione (lettere,
economia e commercio, listituto orientale). Per fare un primo bilancio
di questa settimana di lotta il 24 gennaio più di mille persone, tra
personale precario, docenti e studenti, si riunirono nuovamente in assemblea:
la mozione del sindacato scuola, che voleva ricondurre il movimento sui binari
della vertenza sindacale, venne battuta a stragrande maggioranza, mentre
prevalse
la posizione del comitato dagitazione dei precari, che rifiutava di subordinarsi
alla logica dei sacrifici e del taglio della spesa pubblica per listruzione,
e chiedeva limmissione in ruolo di tutto il personale precario, nel quadro
di un rilancio della ricerca finalizzata a corrispondere ai bisogni sociali.
Inoltre il personale docente avrebbe dovuto essere inquadrato in un unico ruolo,
con stato giuridico unitario e impegno a tempo pieno per tutti, e la titolarità
della cattedra avrebbe dovuto essere abolita. Lesempio di Napoli fu seguito da
Salerno dove tra il 19 e il 26 gennaio si sviluppò una settimana
dagitazione con un indirizzo politico coincidente con quello dei precari
napoletani.