Il cinema francese degli Anni Settanta |
Il cinema francese degli anni settanta è prevalentemente apolitico, quasi a voler dimenticare i turbamenti causati dal 68. Amore e avventura si alternano sullo schermo per un pubblico che desidera soprattutto svagarsi. Borsalino (Borsalino) di Jacques Deray è il film che incassa di più in Francia nel 1970. Interpretato da Jean-Paul Belmondo e Alain Delon, di gusto un pò retrò, è un film poliziesco ambientato a Marsiglia neI 1930, protagonisti due simpatiche canaglie e un motivo orecchiabile. S’ispira al romanzo di Eugene Soccomare, "Bandits à Marseille" ma Deray lo riscrive insieme a Jean Claude Carrière, Claude Sautet e Jean Cau e ne risulta un canovaccio ideale per i due attori. Il decennio che segue è caratterizzato da operazioni analoghe. Il cinema francese degli Anni Settanta, infatti, sembra mettere nel dimenticatoio il cinema politico. Inizia un lungo periodo di restaurazione scosso appena dalla crisi energetica del 1973. E il cinema è il riflesso di questi anni di gioie consumistiche e di vacanze programmate. I maggiori incassi del decennio sono costituiti da film d’evasione: 1971, un giallo di Henri Verneuil interpretato da Belmondo: Gli scassinatori (Le casse); 1972, un curioso pamphlet satirico sulla televisione diretto da Jean Yanne: Questo nostro simpatico mondo di pazzi (Tout le monde il est beau: tout le monde il est gentil); 1973, lazzi e sberleffi di Louis De Funès diretto da Gerard Oury: Le folli avventure di Rabbi Jacob (Les aventures de Rabbi Jacob); 1974, un classico della letteratura erotica: Emmanuelle (Emmanuelle); portato sugli schermi da Just Jaeckin, che costituisce il più alto incasso degli Anni Settanta; 1975, un altro poliziesco dell’accoppiata Verneuil-Belmondo: Il poliziotto della brigata criminale (Peur sur la ville); 1976, le diavolerie gastronomiche di Louis De Funès in edizione Claude Zidi: L’ala o la coscia (L’aile ou la cuisse); 1977, ragazze al liceo in versione ‘Graffiti’ dell'esordiente Diane Kurys: Gazzosa alla menta (Diabolo menthe); 1978, le disattenzioni di Pierre Richard in un mare di quiproquo per la regia di Gérard Oury: La svignata (La carapate); 1979. il commissario Jean-Paul Belmondo diretto da Georges Lautner: Poliziotto o canaglia (Flic ou voyou). Film polizieschi e comici, dunque, ma soprattutto film d’attori e d’intrattenimento. Jean-Paul Belmondo è in testa alla classifica degli incassi seguito da Louis De Funès e Yves Montand, Pierre Richard, Alain Delon e Lino Ventura. E il successo del cinema commerciale francese porta alla stabilizzazione del mercato. Dopo aver perso circa il cinquanta per cento degli spettatori nei dodici anni che precedono il 1970, nel decennio seguente il cinema francese passa senza forti oscillazioni dai 177 milioni di spettatori del 1971 ai 176 milioni del 1979 segnando una forte concentrazione nei centri urbani. A Parigi, infatti, nel 1979 vengono distribuiti 720 film contro i 465 del 1971. Da notare, inoltre, il balzo in avanti della produzione di film totalmente francesi che passano dai 67 del 1971 ai 126 del 1979. Accanto alla grande macchina del cinema commerciale il decennio tiene a battesimo alcuni talenti originali: Yannick Bellon, Gérard Blain, Bertrand Tavernier, André Téchiné, Michel Mitrani, Ariane Mnouchkine, per citarne alcuni, ma sono ancora i maestri della nouvelle vague a tener banco. Francois Truffaut s’ispira di nuovo a un romanzo di Roché per Le due inglesi (Les deux anglaises e le continent, 1971) che mette in scena una situazione che sembra il risvolto di quella di Jules e Jim (Jules et Jim, 1962): la storia di un giovane alle prese con due ragazze. Regolare e laborioso, Truffaut realizza nove film prediligendo la commedia, l’amore, l’amicizia e illustrando, come egli stesso dichiara,"il conflitto tra sentimenti definitivi e sentimenti provvisori mediante una descrizione dolce di emozioni violente". Due film, Adele H., una storia d’amore (L'histoire d’Adèle H., 1975), cronaca d’un amore impossibile, e La camera verde (La chambre verte, 1978), sublime evocazione della morte, fanno eccezione nel panorama gioioso della sua opera. Louis Malle realizza soltanto cinque film. Due successi commerciali: Soffio al cuore (Le souffle au coeur, 1971) e Pretty Baby (Pretty Baby, 1978) e tre opere originali: Cognome e nome: Lacombe Lucien (Lacombe Lucien, 1974), quadro spoglio e commovente della provincia francese sotto il nazismo; Luna nera (Black Moon, 1975) e Atlantic City, USA (Atlantic City, USA, 1980). Jean Luc Godard in collaborazione col militante JeanPierre Gorin stempera le sue istanze rivoluzionarie in film quali Vladimir et Rosa (1971) o Crepa padrone, tutto va bene (Tous va bien, 1972). In seguito si occupa di programmi televisivi. Con meno assiduità gira film di riflessione socio-politica in collaborazione con Anne-Marie Miéville: Comment ca va, 1978; Sauve qui peut (la vie) del 1980, un film caustico e provocatorio, Prix de l’Age d’Or a Bruxelles. Il regista più prolifico della nouvelle vague resta comunque Claude Chabrol che gira una dozzina di film oltre a una serie di ‘histoires insolites’ per la televisione. Si tratta di film di finzione, per lo più gialli, interpretati da attori famosi, e vanno citati almeno L’amico di famiglia (Les noces rouges, 1973) e l'inconsueto Violette Noziére (Violette Nozière, 1978). Meno commerciale il cinema di Eric Rohmer che, concluso il ciclo dei racconti morali, adatta per gli schermi un paio di testi classici: La marchesa von... (La marquise d’O, 1976) e Perceval le Gallois (1978) e inizia con La femme de l’aviateur (1981) la serie di ‘Comédies et proverbes. Jacques Rivette, quasi un omaggio al feuilleton, gira, tra gli altri: Céline e Julie vont en bateau (1974) e Duelle (1977). Dal feuilleton si passa al romanzo rosa e al racconto intimista. Claude Sautet, agli esordi autore di film polizieschi, inaugura gli Anni Settanta adattando per gli schermi L’amante, ovvero la vita e la morte da un romanzo di PauI Guimard. I suoi affreschi di una borghesia francese spesso marginale denotano attenzione e affetto nella descrizione di problemi sentimentali, e a volte economici, di personaggi interpretati dai più noti attori francesi, Yves Montand e Michel Piccoli. Da Il commissario Pelissier (Max et les ferrailleurs, 1971) a Una donna semplice (Une histoire simpIe, 1978), il cinema di Sautet, ex studente di Belle Arti, impronta di sè un decennio nel quale le storie di cuore e gli intrighi polizieschi si contendono le platee. E tra melodramma psicologico e film poliziesco opera anche Claude Lelouch, autore nel 1969 di un film intitolato La vita, l’amore, la morte (La vie, l’amour, la mort). Assiduo della cinepresa quasi quanto Chabrol, Lelouch realizza dieci film passando con disinvoltura dall’avventura alla commedia, dal giallo al dramma. Nella barca del cinema commerciale c’è posto anche per Una donna alla finestra (Une femme à sa fenètre, 1976) dramma intimista di Pierre Granier-Deferre. Le attrici di maggior richiamo sono Romy Schneider, Simone Signoret, Catherine Deneuve, Annie Girardot. La fila al botteghino si fa anche per i comici. Vanno a ruba le farse di Claude Zidi e Gerard Oury, e hanno successo i tentativi di Yves Robert di rifare la commedia all’italiana: Certi piccolissimi peccati, Andremo tutti in paradiso (Nous irons tous au paradis, 1977). La risonanza internazionale del cinema francese è dovuta in parte anche alla presenza di cineasti stranieri. Lo spagnolo Fernando Arrabal, che affronta il tema dell’oppressione e della libertà: Viva la muerte (Viva la muerte, 1971), Andrò come un cavallo pazzo (J’irai comme un cheval fou. 1973), L’albero di Guernica (L’arbre de Guernica, 1975); il greco Constantin Costa-Gavras, che analizza i meccanismi delle dittature: L’amerikano - Stato d’assedio (Etat de Siège, 1973), L’affare della Sezione Speciale (Section spéciale, 1975), pur concedendosi un momento intimista con Chiaro di donna (Clair de femme, 1979); l’italiano Marco Ferreri con la ferocia di un pamphlet anarchico illustrante un suicidio mediante indigestione: La grande abbuffata (La grande bouffe, 1973); il polacco Roman Polanski: L’inquilino del 3° piano (Le locataire, 1976), Tess (Tess, 1979); ma soprattutto un maestro quale Luis Bunuel, regista fedele alle teoriche del Surrealismo che gli permettono di criticare l’involuzione del comportamento sociale mediante rappresentazioni apparentemente fantastiche e decisamente ironiche: Il fascino discreto della borghesia (Le charme discret de la bourgeoisie, 1972), Il fantasma della libertà (Le fantòme de la libertè, 1974), Quell’oscuro oggetto del desiderio (Cet obscur objet du désir, 1977). Dei maestri francesi, Robert Bresson realizza nel 1974 un sapiente affresco di vita medievale: Lancillotto e Ginevra (Lancelot do Lac) nel quale descrive in maniera moderna i rovelli sentimentali della corte di re Artù ispirandosi, tra l’altro, a Piero Della Francesca. Nel 1977 con Il diavolo probabilmente... (Le diable, probablement...), si ispira alla cronaca narrando di un giovane prigioniero del mondo di oggi. Alain Resnais gira nel 1974 Stavisky (Stavisky) e, nel 1977, con Providence (Providence), mette a punto una profonda riflessione sulla creazione artistica che è anche uno dei suoi film migliori. Alain RobbeGrillet continua i suoi raffinati esercizi di contenuto ludico e erotico con tre film: Oltre l’Eden (L’Eden et aprés, 1970), Spostamenti progressivi del piacere (Glissements progressifs du plaisir, 1974), Giochi di fuoco (Le jeu avec le feu, 1975), quindi si ferma per preparare una sorta di viaggio visivo attraverso la pittura di René Magritte. Un altro transfuga nel ‘nouveau roman’, Marguerite Duras, intensifica in questi anni l’attività cinematografica. Realizza dieci film nei quali analizza problemi dell’età adulta quali lo svuotarsi delle passioni, la perdita d’entusiasmo, l’impiego del tempo quando si esce dal mondo del lavoro. E citiamo a caso: Nathalie Grangier (1972), India Song (1975), Son nom de Venise dans Calcutta désert (1976), Navire Night (1979). La femme da Gange (1973) ha registrato in Francia soltanto settecento presenze: il cinema innovatore di Marguerite Duras, dunque, simile a quello di molti giovani registi, non ha un pubblico. Pubblico difficile e a volte disorientato è anche quello di Jean Eustache, regista solitario, morto suicida nel 1981, il quale aveva esordito nel 1973 con un lunghissimo film, La maman et la putain nel quale descriveva l’angoscia del vivere quotidiano. Per Maurice Pialat, invece, la realizzazione di Loulou (Loulou, 1980) interpretato da Gérard Depardieu deve aver fatto breccia in un pubblico che non ha mai mostrato in vent’anni di cinema dell’autore di apprezzarne i personaggi emarginati. Più complesso, e geniale, Paul Vecchiali, produttore e regista sovversivo e affettuoso che illustra una realtà spesso intimista con un cinema che tiene d’occhio e riesce ad amalgamare in uno stile personale le lezioni dei grandi maestri degli Anni Trenta e Quaranta: dopo Femmes, femmes (1974), Change pas de main (1975) e La machine (1977), finalmente Corpo a cuore (Corps à ca~ur) del 1979 ha richiamato su di lui l’attenzione del grande pubblico. Da non dimenticare alcune opere singolari: il cartone animato di Renè Laloux in collaborazione con Roland Topor, Il pianeta selvaggio (Le planète sauvage, 1973), nel quale si descrive in maniera poetica la rivolta di esseri umani tenuti in cattività; Moi, Pierre Rivière (1976), rievocazione di un cruento fatto storico messo in scena da René Allio, pittore e uomo di teatro; L’orologiaio di Saint-Paul (L’horloger de Saint-Paul, 1973) rigoroso film d’esordio di Bertrand Tavernier seguito nel 1975 da Che la festa cominci (Que la fète commence); Molière (Molière, 1978), splendido affresco di Ariane Mnouchkine sulla vita del celebre autore-attore e sulla sua epoca, e per concludere citiamo i nomi di alcune cineaste affermatesi in questi anni: Yannick Bellon, Coline Serrau. Christine Pascal, Liliane De Kermadec e la belga Chantal Akerman. |
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