Femminismo e lotte sociali

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Il biennio della protesta studentesca e operaia costituisce una cesura storica. Da quelle lotte ebbe inizio un radicale processo di ripensamento dei rapporti sociali e di potere. L’esperienza di quegli anni coinvolse infatti un’intera generazione, che per la prima volta sperimentò direttamente l’azione politica. Nulla sarebbe più stato come prima: la politica diventò un elemento quotidiano, un aspetto rilevante della vita. Fu un fatto importantissimo, che avrebbe caratterizzato la società italiana per quasi tutti gli anni settanta, fino a una nuova fase di ripiegamento, di allontanamento dei movimenti dalla politica, il riflusso, che aprirà la strada ai "terribili" anni ottanta.

Il senso critico, la creatività, l’insubordinazione del Sessantotto risultarono determinanti nell’ampliare gli orizzonti culturali, nell’accrescere la disponibilità a sperimentare, a mettere in discussione modelli e schemi di omologazione culturale. Non soltanto l’assemblea, lo sciopero, la manifestazione di piazza, con i loro rituali, entrarono a far parte della fenomenologia sociale e della vita collettiva, ma soprattutto l'esperienza sessantottina consentiva la sedimentazione di un bagaglio culturale fatto di pubblica discussione, di confronto, di ragionamento nei termini dell’ideologia e degli interessi politici, che contribuiva a cambiare il modo di percepire l’evoluzione dei rapporti sociali e di valutare il mondo esterno. Era un’esperienza che riguardava direttamente i rapporti e le relazioni interpersonali. Nelle occupazioni universitarie, come nell’incontro tra studenti e operai, si sperimentava e si verificava un clima di grande entusiasmo e di potenzialità trasformatrici, si partecipava e si viveva una dimensione di gruppo ricca di progettualità collettiva. Così, una volta abbandonata la militanza o la politica attiva ed entrati nei mondo del lavoro, coloro che vi avevano partecipato finivano per diffondervi un diverso stile culturale.

Fu un processo ampio, che si accompagnò a una radicalizzazione del conflitto politico segnato dalla reazione stragista e terroristica. L'esplosione della bomba di piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969 e il tentativo di golpe del fascista Junio Valerio Borghese inaugurarono gli anni settanta sotto il segno di una reazione violenta, opera dell’estremismo neofascista, in collusione con pezzi dello stato Dalla fine dei 1969 al 1975 furono 4384 gli atti di violenza contro persone e cose di esplicita matrice di destra. Le province più colpite furono Milano, Torino e Roma, i luoghi dove più forte e organizzata era la protesta sociale e operaia, dove più radicali erano i movimenti politici extraparlamentari e dove da sempre si trovavano le roccaforti sindacali. In questo contesto, la diaspora dell’espenenza sessantottina si orientò in tre direzioni: l’abbandono della militanza e la contemporanea scelta per molti di confermare l’adesione ai partiti storici della sinistra; una scelta di più accentuata sindacalizzazione; la continuità dell’impegno militante con la partecipazione al femminismo o ai movimenti extraparlamentari costituitisi a sinistra del pci.

Intanto, il movimento operaio otteneva notevoli risultati, a partire dall’approvazione dello Statuto dei lavoratori agli inizi del 1970. lI varo della legge sul divorzio nel dicembre dello stesso anno costituì un importante segnale di cambiamento e una conquista sulla strada di una legislazione sociale più laica. L’approvazione della legge venne del resto a cadere proprio mentre anche in Italia cresceva il protagonismo delle donne nell’ambito dei movimenti e delle lotte sociali e si andava diffondendo il movimento femminista. Influenzato in parte dalle esperienze che provenivano dagli Stati Uniti, il movimento italiano di liberazione delle donne faceva proprie le rivendicazioni di autonomia e di eguaglianza, caratterizzandosi soprattutto per la critica di posizioni, ruoli e identità tradizionalmente consolidati e fortemente penalizzanti per la condizione femminile.

Il dibattito interno ai movimenti e ai partiti della sinistra si intrecciò e si sovrappose a una stagione di lotte e di azioni nel campo sociale con al centro la condizione urbana:  dalla lotta per la casa alle occupazioni di fabbrica. Per buona parte degli italiani, infatti, le condizioni abitative continuavano a essere quanto mai precarie e scadenti. A Roma le borgate di costruzione fascista si erano dilatate sotto la spinta dell’abusivismo edilizio, alimentato dalla crescita dell’immigrazione. Al Nord l’aumento demografico, unito all’emigrazione dal Mezzogiorno, aveva creato una situazione di permanente emergenza abitativa. Nel Sud l’abbandono dei centri storici, dove erano ancora aperte le ferite più profonde della guerra, determinava un generale degrado degli edifici e una considerevole carenza di servizi igienico-sanitari.

Il diritto alla casa e a un’abitazione "decente" diventò una delle parole d’ordine di molti movimenti spontanei, collegati a collettivi politici extraparlamentari. Ma anche il pci e i sindacati appoggiarono in molti casi le lotte e le rivendicazioni. Soprattutto a Roma, la lotta per la casa assunse un’ampiezza territoriale e un’articolazione originale, legandosi alle lotte degli operai edili. A Milano e altrove, la forma tipica delle lotte per la casa fu quella delle occupazioni, attorno alle quali si svilupparono movimenti di solidarietà. Egualmente, sotto la spinta delle vittorie sindacali di questi anni, si allargò la consapevolezza dei propri diritti e aumentò, nelle manifestazioni e nelle azioni di protesta e di difesa sindacali, la presenza femminile.

Si trattava di un nuovo protagonismo che tendeva a legare la conquista di migliori condizioni economiche e di vita a una riflessione sui rapporti di potere all’interno delle relazioni uomo-donna nella società in generale e in modo specifico tra il popolo di sinistra. La conseguenza fu il maturare della critica rispetto al modo di fare politica e agli stessi obiettivi dei movimenti. Ma non solo. Mutuato dal movimento femminista americano, si diffuse anche da noi lo slogan "il personale è politico", col quale si intendeva rivendicare un processo di liberazione collettivo che doveva partire dalla dimensione privata, dai rapporti tra persone e in particolare tra uomini e donne, I comportamenti personali, anche nella sfera più intima, assunsero rilevanza politica. Era però vero, per così dire, anche il contrario: la politica perdeva "oggettività" e veniva commisurata all’esperienza, al vissuto, alle pratiche personali. In altre parole, intorno a questo slogan prendeva corpo un diverso modo di percepire la politica. Da un lato, entrava in crisi la tradizionale idea di una militanza totalizzante dove le esigenze personali dovevano essere sacrificate all’impegno e alle esigenze proprie della pratica politica; dall’altro, cresceva l’adesione a obiettivi che investivano direttamente la sfera delle libertà individuali e dei diritti civili. Fu una novità per il nostro paese: dai movimenti per il miglioramento delle condizioni di vita e il riconoscimento dei diritti dei detenuti alla denuncia della violenza negli ospedali psichiatrici e nelle caserme, l’intera società veniva investita da un clima rivendicativo volto a rimuovere situazioni di illegittimità e di sopraffazione.

In questo contesto, un’importanza particolare assumeva la battaglia a favore del divorzio, vinta contro i tentativi della DC, della destra più retriva e della Chiesa di contrastare la crescita civile e laica del paese e di sferrare un colpo decisivo ai movimenti di rivendicazione e a una cultura libertaria che con grande fatica si andava diffondendo nella società italiana con forme e modi diversi.  Il referendum, che cattolici e destra avevano voluto per abrogare la legge del 1970, fu bocciato a grande maggioranza: per questo il 12 maggio 1974 resta nella memoria collettiva della sinistra e della democrazia italiana una vittoria storica che chiude una fase.

 

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