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La cottura

La legna era di quercia, castagno e cerro: quattro tronchetti di un metro di lunghezza formavano un "recinto" che veniva riempito con legna più minuta e d’estate era acceso all’aperto. D’inverno la cottura avveniva nel seccatoio per le castagne. Per la cottura della base se ne poneva sulla legna ardente una già cotta, che veniva cosparsa di calcite macinata e sulla quale si adagiava quella da cuocere. Quando il testo raggiungeva metà cottura (accertata bucando la terra con una lesina da calzolaio) lo si portava a diretto contatto del fuoco e vi si lasciava sino a quando diventava rovente.Per la cottura del coperchio si usava lo stesso procedimento, mettendo a contatto con le fiamme un coperchio già cotto a rovescio, con il manico tra le braci: il coperchio da cuocere era appoggiato sul primo, col manico rivolto all’esterno. A metà cottura era il nuovo manufatto a scendere fra le braci e a fare da supporto ad un altro testo crudo.

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La commercializzazione

Uomini e donne di Castagnetoli frequentavano i mercati di Bagnone e Pontremoli e le fiere principali della vallata: i testi erano trasportati a piedi: gli uomini portavano a spalla 7-8 testi, le donne ne portavano in testa 3-4. Per tacita convenzione tutti i produttori entravano nelle piazze alle undici del mattino e qui richiamavano l’attenzione dei compratori lanciando in aria i testi e decantandone la resistenza. Quando la concorrenza dei testi di ghisa, prodotti su ordinazione di commercianti locali nelle fonderie di Fossano (TO) e Piacenza si fece massiccia , il richiamo dei produttori di Castagnetoli pose inutilmente l’accento sulla salubrità della terra come materiale da cottura: "nel ferro fa male, nella terra è naturale". In alcuni casi i produttori di Castagnetoli barattavano i testi con prodotti agricoli: garantendo ai contadini la fornitura di due o tre testi ricevevano in cambio due quartari (32Kg) di grano o un quartaro (16Kg) di castagne secche. In un’economia agricola povera anche l’acquisto di un testo poteva creare difficoltà e quando capitava di romperne uno si aspettava l’arrivo di artigiani girovaghi (loc. karkabarbel) che lo riparavano con filo di ferro. Se i frammenti erano troppo piccoli per consentire il recupero del testo essi venivano conservati con cura per curare i dolori reumatici e polmoniti: si scaldavano e si appoggiavanosulle parti malate per lenire il dolore.

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