IL CASTELLO NEL TEMPO

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Attorno all’anno Mille due grandi calamità si abbatterono sull’Italia: l’invasione degli Ungari e le scorrerie saracene lungo la costa. In questo clima di panico e di terrore, sorgono un po’ ovunque delle torri di difesa e di avvistamento. Probabilmente in questa circostanza dovette sorgere sul colle del Piagnaro, soprastante il borgo di Pontremoli, una torre isolata di questo tipo, costruita dai signori del luogo, gli Adalberti, vassali dei marchesi di Toscana ed imparentati con gli Obertenghi signori di Massa e Corsica. L'incastellamento di questa località, dominante la confluenza dei due fiumi, il Magra e il Verde, punto di passaggio obbligatorio della "strada di monte Bardone" per la Toscana e per l’Emilia, avrebbe costituito nei secoli la "chiave" capace di chiudere o di aprire gli eserciti, ai pellegrini e ai commercianti il transito dall’Italia continentale a quella peninsulare e viceversa. Per questa ragione il suo possesso fu conteso, ambito, patteggiato, conquistato. La prima distruzione che si conosca di questo castello risale al 1110 quando Pontremoli volle opporsi all’imperatore Enrico V che, con un grosso esercito, scendeva dalla Lombardia verso la Toscana. L’intera difesa di Pontremoli fu sopraffatta nonostante la strenua difesa degli abitanti. I grandi guasti vennero ben presto riparati se, una cinquantina di anni dopo, nel 1167, riuscì a sbarrare il passo all’esercito deltorre.jpg (28743 bytes) Barbarossa di ritorno dall'infelice impresa romana e diretto in Lombardia: Federico, infatti, fu costretto ad evitare Pontremoli e valicare l'Appennino per via disagevole. Ancora nel 1242 le difese di Pontremoli vennero smantellate da Federico II al quale il borgo si era inutilmente opposto. Sei anni dopo la città fu nuovamente espugnata, questa volta dai fuoriusciti pontremolesi i quali, con il sostegno economico e militare della guelfa Piacenza, riuscirono a cacciare i ghibellini. Il marchese del Carretto che era alla testa delle truppe imperiali di stanza in città si asserragliò nelle varie fortezze della città. Possiamo dire che il castello fu un po', in tutti i tempi, il costante elemento di riferimento di Pontremoli: come ultima, estrema difesa del borgo, della sua libertà e come vero simbolo dell'intera comunità. Nel 1329 la stessa popolazione, questa volta concordemente unita, al disopra delle fazioni, lo assaltò e lo diroccò, scaricando su quelle mura l'odio delle città contro l'esoso vicario imperiale lasciato da Ludovico il Bavaro. In questo scorcio di tempo, nella furibonda ed alterna lotta tra Guelfi e Ghibellini (divisi fisicamente, in città, dall'emblematica cortina "Caciaguerra") questi ultimi ebbero la meglio; a loro e alla intraprendenza di Manfredo Filippi, sostenuto dai Rossi di Parma, si deve il riassetto e la sistemazione del castello. L'astro del libero Comune, l'unico dell'alta Val di Magra, stava rapidamente tramontando. La sua autonomia fu insidiata e distrutta dai grandi centri del Nord e del centro Italia che vedevano nel suo possesso l'elemento e mezzo indispensabile alla loro espansione e al loro dominio terrritoriale. Così le influenze e le dlominazioni straniere si alternarono per periodi talvolta brevissimi portando il prevalere di una o dell'altra fazione. Genova con i Fieschi (1313-1321), Lucca con Castruccio degli Antelminelli (1321-1328), poi ancora i Rossi di Parma (1329-1336), scacciati aloro volta dagli Scaligeri (1336-1341), poi, ancora una volta i Fieschi che sarebbero rimasti a Pontremoli dal 1404 al 1430. L'interesse che Genova pose nel possesso di questa estrema area marginale, l'ultimo lembo settentrionale della Toscana, è documentato dalle rilevanti opere di fortificazione eseguite nel castello del Piagnaro. Ci è rimasta la documentazione soltanto della torre che costituisce una possente difesa nella parte più alta e più settentrionale dell' intero complesso fortificato, ma è presumibile che imponenti, analoghe opere fossero state eseguite anche nelle altre parti. Pertanto quella torre semicircolare, fatta dalle stesse maestranze, "i ministri da murare", cha avevano costruito l'analoga torre di Varese Ligure, è la parte più antica dell'intero castello. Essa ha fatto scomparire quanto vi erapiagne.jpg (40961 bytes) precedentemente: dalla probabile torre adalbertina alle successive ricostruzioni, inglobate nei vari tormentati rifacimenti. Qualche vecchia cortina di questo primo periodo è rimasta al di sotto della "batteria", durante gli attuali lavori di restauro. Nel 1431, ancora nella fase viscontea, la guarnigione del castello era costituita da venticinque uomini tra balestrieri e portatori di scudi. E' difficile seguire le lunghe e alterne fortune di questo castello e della storia di Pontremoli, perchè i mutamenti si sono alternati spesso con la rapidità delle stagioni, degli anni e dei lustri. Dal 1441 al 1499 tornano gli Sforza ma in questo periodo (1495) accade l'avvenimento più drammatico di Pontremoli: in occasione del passaggio dell'esercito di Carlo VIII, diretto in Toscana, i Pontremolesi si azzuffarono con i reparti svizzeri dell'esercito che formavano la retroguardia. Al ritorno la città si trovò quasi sguarnita per la fuga della guarnigione sforzesca ed i pontremolesi, fidando in alcune assicurazioni avute in nome dello stesso re, aprirono le porte ai reparti in transito. Fu la fine perchè i Lanzichenecchi vollero vendicarsi dei commilitoni uccisi l'anno precedente e misero a sacco e a fuoco la città. Irreparabile fu il danno recato con la distruzione degli edifici, degli archivi, delle opere d'arte e con la morte di tanti cittadini che non erano riusciti a fuggire in tempo. Nel visitare il castello si rimane sorpresi vedendo tante sale, stanze e stanzette che poca attinenza sembrano avere con la struttura fortificata. S tratta, infatti, di una tipica costruzione fatta in più tempi per uso delle truppe, dei capitani e dei vari servizi richiesti per uomini d'arme di alto grado. I rapidi cambiamenti alternatisi nel corso dei secoli, hanno portato ai rifacimenti, alle "personalizzazioni" degli alloggi fatti secondo i criteri e i gusti dei nuovi venuti. Si pensi soltanto alla presenza degli Sforza (1491-1499), dei Francesi che rivendicavano l'eredità dei Visconti (1499-1522) e che vi tennero in loro rappresentanza Gherardo Pallavicini (1504-1520) e Pier Francesco Noceti (1520-1522). Poi vi furono ancora gli Sforza (1522-1526), i Fieschi per la terza volta (1528-1547), di nuovo ancora le truppe di Carlo V (1547-1556). Spesso i capitani, dotati di mezzi e di maestranze capaci, lasciarono il segno dei loro interventi nelle facciate e nei portali rinascimentali del castello. Dopo altre parentesi milanesi (1556-1647) e genovesi (1647-1650) Pontremoli e il castello ebbero un lungo periodo di tranquillità sotto il dominio fiorentino; per la sua lontananza dalla capitale granducale ebbe una grande autonomia che contribuì ad un certo benessere economico. Il castello, nonostante la sua posizione del tutto inadatta all'uso delle artiglierie, ebbe una batteria dotata di un buon volume di bocche da fuoco. Tuttavia, alla fine del '700, l'intera batteria era ridotta ad un solo cannone che poi fu donato dal Granduca alla città di Pontremoli per utilizzarne il bronzo nella fusione di una nuova campana. Ridotto a caserma, il castello subì ancora ristrutturazioni e rifacimenti sotto il regno di Carlo III, finchè, tra le due guerre mondiali divenne scuola elementare.

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