Le recensioni di Carlo Oliva
da Radio Popolare
gialloWeb


Kinky Friedman, A New York si muore cantando (A Case of Lone Star, 1986), tr. it. di Franco Vitaliano, "Universale economica" - Feltrinelli, 181 pagine, £ 12.000

Il sistema editoriale italiano, evidentemente, perde il pelo ma non il vizio. Anzi, i vizi, visto che sono parecchi. E tra tutti, non sarà forse il più grave, ma è certo uno dei più fastidiosi la mania di intervenire sui titoli della narrativa tradotta, specialmente quella di genere, nella presunzione - suppongo - che i lettori nazionali acquistino questo genere di prodotti solo se attratti da epigrafi particolarmente vistose e che siano, in ogni caso, incapaci, di cogliere i riferimenti degli originali. Questa pessima usanza ha caratterizzato per decenni la Mondadori, con il risultato che i capolavori del giallo classico sono noti in Italia con degli pseudonimi sui quali, per carità di patria, è meglio sorvolare, ma non ha lasciato indenni le altre case editrici. E così, in pieno anno 2000, una casa seria come la Feltrinelli ha il coraggio di presentarci A Case of Lone Star di Kinky Friedman con un titolo, A New York si muore cantando, che basterebbe da solo a tener lontano qualsiasi acquirente serio.

Peccato, eh, perché A Case of Lone Star (permettetemi di continuare a chiamarlo così) è un vecchio, ma piacevole mystery newyorkese, che ci introduce con un certo garbo d'altri tempi, nell'atmosfera frenetica del Greenwich Village degli anni '80. L'autore, Richard Friedman, detto Kinky, in effetti è stato uno dei protagonisti di quegli anni: cantante country, stella fissa per un certo tempo a quel Lone Star Café cui si allude nel titolo originale, autore di non poche canzoni dai versi satirici e provocatori che hanno attirato l'attenzione di non pochi, illustri colleghi, si è scavato la sua nicchia nella storia della musica pop, prima di passare, per nostra soddisfazione, alla narrativa di genere. I suoi gialli, fino ad oggi non troppo conosciuti nel nostro paese, anche se la Feltrinelli ne deve aver già pubblicato uno o due, sono tutti ambientati nel mondo della musica country e hanno l'autore stesso come protagonista: un io narrante, quindi, che non nasce esclusivamente dalla fantasia, ma che convoglia, pur trasfigurandole narrativamente, un certo numero di esperienze autentiche, il che, ammetterete, è abbastanza una novità. Ma Friedman, che, come vi dicevo, è un cantautore abbastanza allergico al sentimentalismo esasperato della tradizione country, e piuttosto portato a vedere il mondo in cui si muove nei suoi aspetti più anomali e demenziali, non fa certo pesare questa sua qualità di autentico testimone dal vivo, con soddisfazione di quanti lettori trovano (come me) che non ci sia nulla di più palloso delle riflessioni autobiografiche dei divi della musica pop.

In A Case of Lone Star si racconta la triste storia di come, nel famoso locale del West Village, un serial killer decisamente fuori di testa riesca a eliminare tre cantanti di fila ispirandosi ad altrettante canzoni del grande Hank Williams, facendone prima recapitare il testo alle future vittime a mo' di memento. La trama, a dire il vero, è abbastanza tradizionale, nel senso che la polizia non capisce un cavolo e il protagonista, Kinky, appunto, si limita per quasi tutto il romanzo a una serie di commenti sarcastici sull'incapacità altrui, salvo tirar fuori alla fine il classico coniglio dal cappello, e poco importa se invece del cappello a cilindro dei maghi si tratta, per l'occasione, di un autentico (?) sombrero del vecchio West. Quanto all'identità del colpevole, be', non è esattamente la cosa più difficile da capire. Ma non è la trama, né tanto meno l'enigma, quello che in questa operetta conta di più: è il tono al tempo stesso brillante e svagato, la rievocazione affettuosa di un mondo un po' folle, la capacità di raccontare con distacco e ironia di cose che, pure, all'autore devono stare piuttosto a cuore. Per cui, quello che a prima vista potrebbe sembrare soltanto una blanda parodia dell'hard boyled classico finisce con il rivelarsi per un romanzo leggibilissimo, forse non trascendentale, ma di indubbia e piacevolissima originalità. Oh dio, magari ci sarebbe qualcosa da ridire sulla traduzione, accurata dal punto di vista linguistico, ma un po' carente quanto a conoscenza della tipografia del Village e delle specialità bibitorie servite nei suoi locali (come si fa a scrivere, santiddio, che un personaggio beve "una pinta di amaro"?), ma non starò a sottilizzare. E speriamo, naturalmente, che il prossimo romanzo di Friedman che comparirà in Italia porti un titolo un po' più potabile.

22 Maggio 2000


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