Le recensioni di Carlo Oliva da Radio Popolare |
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Dennis Lehane, Pioggia Nera (Prayers for Rain), tr. it. di Dario Fonti, Edizioni Piemme, 460 pagine, £ 34.000
Di questo Dennis Lehane, trentatreenne di Boston, si dicono, in patria, cose mirabolanti. Anche a prescindere dagli "strilli" in quarta di copertina, per i quali è, immancabilmente, "l'erede dei grandi maestri del thriller", nonché "una bomba ... pronta a esplodere" (ma si tratta, come sappiamo, di apprezzamenti di cui è sempre buona norma diffidare un pochino, anche se sono accompagnati dalle firme più prestigiose), le notizie che si hanno sul suo conto sono comunque piuttosto allettanti: sappiamo, per esempio, che il suo primo romanzo, A Drink Before the War, di otto anni fa, oltre a godere di un grande successo di pubblico, ha vinto il premio Shamus, che per un esordiente non è un'impresa da poco. Per cui, visto che, in effetti, i "grandi maestri del thriller" sono un po' giù di cartolina, nel senso che Ellroy e Mosley si sono un po' spenti, Parker e Crumley tacciono da lunga pezza e della Paretsky non si hanno notizie, per cui l'unico che meriti la definizione e sia ancora in attività resta Michael Connelly, e anche lui ha una certa tendenza a ripetersi, il lettore professionale è indotto a salutare con gioia la comparsa, per i tipi della Piemme, di questo Pioggia nera, con cui Lehane viene presentato ai lettori italiani. Come sappiamo tutti, il thriller gode di ottima salute editoriale, il genere noir non è mai stato tanto apprezzato e popolare come di questi tempi, ma è da un paio di decenni che macina le stesse tematiche, per cui se non si decidono a saltar fuori dei nuovi, giovani autori originali il rischio di un crollo è appena dietro l'angolo. Ahimè. Non sarà Dennis Lehane ad allontanare questo pericolo. Per giovane è giovane, autore lo è sicuramente, ma quanto a originalità il ragazzo latita alquanto. Scrive bene, eh, con autorevolezza e competenza; i suoi personaggi sono definiti con quel tocco di raffinatezza che distingue i professionisti seri; la trama regge; l'ambientazione bostoniana è impeccabile, ma, che volte che vi dica, la prima impressione che si ha leggendo questo massiccio volume è quella di deja vu. La figura di Patrick Kenzie, ex poliziotto ridottosi al rango di investigatore privato per avere rotto l'omertà interna al Dipartimento, che dispone di un aiutante molto naive ma di un'efficienza assoluta e di una fidanzata alquanto gelosa della propria autonomia, ma sempre disposta a dare una mano, non ci ricorda nessuno di preciso (salvo che per quella specie di ménage à trois, ma forse a Boston per gli investigatori privati è obbligatorio), ma qualcosa ci ricorda senz'altro. E la storia della bella Karen, ragazza bene se mai ve ne fu una, che si rivolge a lui perché è perseguitata da un brutto tipo che frequenta la sua palestra e che, nonostante il pronto intervento del nostro eroe, finisce suicida dopo essere passata per gli abissi della prostituzione e della droga, è senz'altro originale, ma non al punto da farci scattare in piedi nell'entusiasmo di aver trovato qualcosa di decisamente nuovo. Se ne deve essere accorto anche l'autore, perché ricorre a un espediente cui gli scrittori ricorrono spesso quando sono in angustie: carica progressivamente le tinte, sovrappone turpitudine a turpitudine e orrore a orrore, così che alla fine, invece che a un normale "cattivo" da giallo, ci troviamo di fronte a un mostro così mostruoso che non lo vorrebbero neanche in un fumetto splatter. Tutto ciò, naturalmente, non significa che Pioggia nera non meriti di essere letto, soprattutto da chi non è allergico alle tinte un po' forti. È un onesto esempio di thriller contemporaneo, magari un po' di maniera, ma ce ne fossero tanti così. Solo che il vostro critico si è lasciato un po' prendere dalla delusione di fronte alle mirabolanti promesse della quarta di copertina. Vedete, non ci si deve mai azzardare a presentare un bravo artigiano come l'erede dei grandi maestri: qualcuno ci potrebbe credere, con l'inevitabile effetto di restarci poi male. Ma queste sono cose che gli editori, evidentemente, non capiscono. Peccato. 08 Maggio 2000 |
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