Le recensioni di Carlo Oliva da Radio Popolare |
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Goffredo Buccini, Canone a tre voci, Frassinelli, 319 pagine, £ 24.000
Allora, siamo in un futuro così prossimo che potrebbe essere già diventato presente, in una grande e innominata città meridionale: una città, comunque, non difficilissima da individuare, visto che, sotto il velame del pittoresco, mescola il degrado antico a quello contemporaneo e in cui il potere è accuratissimamente lottizzato, tranne, s'intende, quello della Santachianca, una pervasiva organizzazione dai tratti accentuatamente mafiosi. Della Santachianca si è occupato a lungo tale Fedele Bissi, un giornalista, o meglio, un cazzillo qualsiasi che lavora in nero nel principale quotidiano locale, senza riuscire mai a farsi assumere perché prima di lui bisognava sistemare due pupilli della regione, uno del comune, uno del partito e via andare. E se ne è occupato tanto bene che una sera lo hanno aspettato sotto casa e gli hanno cacciato undici proiettili in testa attraverso il finestrino della Cinquecento. Di moventi, capirete, ce ne sono quanti si vuole, ma le possibilità di arrivare a identificare il colpevole sembrano lo stesso scarsine. Così, mentre i fetentoni che al giornale non hanno mai cagato il defunto neanche di striscio si affrettano a farne un martire della libertà d'informazione e a farsi riprendere in TV accanto alla sua scrivania, nel cui cassetto è stato surrettiziamente infilato un contratto d'assunzione retrodatato, delle indagini cominciano a occuparsi, oltre che il capitano dell'Anticrimine Vitalizio Ronsisvalle e il chiarificatore penale Augusto Carmignani (sì, lo so, non sapete cos'è un chiarificatore penale, ma capirete), che erano poi quelli che passavano al defunto le notizie scottanti, anche il suo amico Roberto Monteforte, che adesso fa l'archivista al giornale, ma non è proprio il tipo dell'archivista classico, e la sua amica avvocatessa Mariliana Delgaldo. Bei personaggi tutti e quattro, e stretti tra loro in una serie di relazioni complicate: Roberto con Fedele ha fatto, come si dice, il '68, o meglio il post '68, i peggiori anni '70; Mariliana non ha avuto con lui la storia che avrebbe potuto avere, ma forse questo ha reso il loro rapporto più stretto; Vitalizio ha sempre dimostrato uno strano interesse per la non carriera del morto, ed è, diciamo, in vivace competitività con Carmignani, con il quale, peraltro sembra avere in comune più di quanto appaia a prima vista... Insomma, un bel casino, anche perché oltre alle classiche attività della Santachianca nelle indagini si mescolano inopinatamente le altrettanto classiche attività della Casasac, che è un centro occupato, o, meglio, un centro sociale di quelli tosti, e con chi devono schierarsi quelli dei centri sociali: con la Santachianca certo no, ma proprio con l'Anticrimine? Insomma, come avrete capito, questo romanzo di esordio di Goffredo Buccini, che si definisce napoletano di sangue, ma lavora a Milano, come giornalista al "Corriere" e anzi adesso l'hanno mandato a fare l'inviato negli Stati Uniti, è un'opera straordinariamente densa, ricchissima di motivi e risvolti piuttosto inconsueti anche per un panorama vivace come quello del nuovo noir italiano. Ma è anche, per fortuna, un libro di immediata e sicura leggibilità, grazie alla vivacità con cui tratteggia quei suoi strani personaggi, alla capacità di fare arditissimi slalom tra il patetico e il grottesco e a una lussureggiante inventiva linguistica che mescola, in una vera e propria polifonia narrativa (e non solo nel senso che almeno tre sono le voci narranti) il basic italian dei giornali e i più imprevedibili inserti dialettali e gergali. Una lieta sorpresa, da accogliere con gratitudine e con la speranza che l'autore non si innamori troppo degli Stati Uniti e si rimetta a scrivere noir. 26 Marzo 2000 |
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