Le recensioni di Carlo Oliva
da Radio Popolare
gialloWeb


Michael Connelly, Debito di sangue (Blood Work, 1998), tr. it. di Gianni Montanari, "Piemme Pocket", nuova serie - Piemme, 528 pagine, £ 7.900

Mi permetterò, per questa settimana, di consigliarvi, al posto della solita novità, un romanzo che circola in Italia già da un paio d'anni. Ma nel 1998, quando apparve Debito di sangue, di Michael Connolly, l'autore non era ancora quella specie di mostro sacro che, grazie anche a un'accorta campagna promozionale, è diventato in seguito: era soltanto uno scrittore bravo ma non troppo conosciuto, le cui opere, dopo essere state respinte con commuovente unanimità dai principali editori nazionali, erano apparse soltanto in una collana abbastanza invisibile, ancorché molto pregevole, la "Giallo&nero" della Hobby & Work, diretta, allora, dalla Tecla Dozio. Poi Connolly, per sua fortuna, è passato a una casa editrice aggressiva come la Piemme, che gli ha finalmente dato il rilievo che si meritava e il resto è storia. Ma questo Debito di sangue all'epoca potreste esservelo benissimo perduto, da un lato perché non apparteneva alla serie principale dell'autore, quella dell'agente Hieronymus "Harry" Bosch, e dall'altro perché era uscito in una collana rilegata ad alto prezzo e di non maneggevolissimo formato. Adesso, invece, la Piemme lo ha scelto per inaugurare la nuova serie dei suoi Pocket: un'iniziativa editoriale di cui non si può dire altro che bene e a cui, nel desolato panorama delle edizioni economiche o sedicenti tali del nostro paese, non si può che augurare ogni fortuna. Mi affretto dunque a risegnalarvelo: so che nel caso che lo conosceste già non me ne vorrete più che tanto, perché di autori come Connelly non si parla mai abbastanza.

Debito di sangue, a prima vista, è un classico procedural losangeleno, che ricorda molto, per ambientazione e struttura, i romanzi di Harry Bosch. Il fatto che il protagonista, l'ex agente federale Terry McCaleb, non sia un investigatore in servizio attivo, ma un ancor giovane pensionato per motivi di salute, non sembra particolarmente importante. McCaleb non è un ribelle come Bosch, ma è comunque estraneo al sistema delle investigazioni ufficiali, ed è questo quello che sembra contare. Certo, c'è una forte componente emotiva nel fatto che il poveraccio abbia subito un trapianto cardiaco e che gli si chieda di indagare proprio sull'assassinio della donna che si scoprirà essere la donatrice del cuore che gli è stato impiantato (una combinazione, è inutile sottolinearlo, altamente improbabile), ma si tratta, a prima vista, soltanto di un quid in più, di un classico elemento patetico che non aggiunge né toglie nulla di sostanziale all'impianto del romanzo, basato, come da venerabile tradizione, sul contrasto tra un outsider generoso e ostinato e un sistema burocratizzato e meccanicamente ottuso. McCaleb, in sostanza, deve riaprire, con le sue sole forze, un caso che la polizia di Los Angeles e l'FBI danno concordemente per chiuso e naturalmente, quando ci sarà riuscito, dovrà lottare per non esserne estromesso: una situazione affatto classica, ancorché trattata con inventiva e originalità di scrittura. Ma Connelly è un autore altamente imprevedibile: man mano che la trama va avanti, il lettore si accorge che il tema del trapianto cardiaco, del "debito di sangue" che lega l'investigatore alla vittima, non è affatto secondario, ma è, anzi, il cardine essenziale del plot. Un plot, scoprirete alla fine, di un'originalità sconcertante, fondato su un'intuizione poetica che fa di quello che avrebbe potuto essere un thriller qualsiasi uno dei grandi gialli dell'ultimo decennio. Non posso dirvi molto di più, naturalmente, ma mi sembra di essermi compromesso abbastanza e vedrete che mi darete ragione.

20 Marz 2000


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