Le recensioni di Carlo Oliva
da Radio Popolare
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Barry Noorman, A luci spente (Death on Sunset), tr. di Marisa Castino Bado, "Obladì Obladà" - Polillo Editore, 314 pagine, £ 29.000

Vi avevo promesso, per questo gennaio, che avrei provato a ripescare qualcuno dei tanti buoni romanzi usciti nei mesi scorsi senza che, per un motivo o per l'altro, fossimo riusciti a occuparcene. Permettetemi di cominciare con quello che mi ha aiutato a superare la crisi da post-vacanze: uno di quei romanzi di cui si parla poco, soprattutto perché non hanno goduto di un lancio editoriale particolarmente strepitoso e non seguono nessuna delle mode correnti, come a dire perché scontano la struttura perversa di un mercato come il nostro, sempre alla futile ricerca di raffinati capolavori o di bestseller o presunti tali . Un romanzo di quelli che non suscitano la simpatia dei critici, che com'è noto amano soltanto le opere che trascendono, secondo loro, le definizioni di genere, che non aspirano a una raffinatezza particolare, che non nascondono, insomma, il loro carattere di opere di consumo, ma fanno egregiamente il loro dovere, intrattenendo i lettori con una buona storia ben raccontata e dei personaggi credibili. Uno di quei tipici prodotti di mainstream, come si diceva una volta, che pochissimi editori, chissà perché, oggi hanno il coraggio di presentarci.

Tra questi pochissimi benemeriti, un posto di rilievo spetta alla Polillo Editore, nella cui collana principale (che si chiama "Obladì Obladà", il che fa pensare che l'editore in persona non sia stato indifferente alla cultura degli anni '70) è uscito, lo scorso novembre, questo A luci spente. Dell'autore, Barry Noorman, inglese, esperto di cinema e creatore di un'intera serie imperniata sul personaggio di Bobby Lennox, vi avevo segnalato, qualche mese fa, Un affare indecente, uscito sempre nella stessa collana.

Questo Bobby Lennox non è un investigatore classico. È un ex pugile londinese che, pur avendo fatto fortuna, si trova, per motivi di famiglia, a intrattenere dei rapporti abbastanza stretti con un boss del sottobosco locale, non proprio un gangster ma qualcosa di molto simile, e in seguito a questi rapporti si caccia inevitabilmente nei guai. Ma sono guai che riesce a gestire con disinvoltura, perché non gli fanno difetto né l'intelligenza né quel tipo di esperienza che permette di distinguere truffatori, bidonisti e parassiti vari a tutti i livelli, compreso il più alto. Diciamo, anzi, che conquista la simpatia dei lettori proprio perché non nasconde le sue origini proletarie, ma riesce lo stesso a mettere nel sacco i più altezzosi rappresentanti di un establishment inevitabilmente corrotto. In Un affare indecente si muoveva nel mondo dei media e della politica. Questa volta, per tener d'occhio gli interessi del suo socio, finisce a Hollywood, dove lo nominano sui due piedi produttore associato di un qualche capolavoro in lavorazione e cercano, naturalmente, di farlo su, imbastendogli sotto il naso uno di quei complicati intrighi che, a quanto parte, caratterizzano da sempre il mondo della celluloide. Ma, come vi dicevo, farlo su è meno facile di quanto sembri a prima vista.

Che devo dirvi? Le situazioni, forse, saranno un po' scontate e i personaggi sono abbastanza di maniera (la superdiva quasi in declino, i suoi gigolo, attori, produttori e registi di varia stazza e livello, malavitosi e poliziotti made in California e via dicendo) ma la storia fila che è un piacere (è persino ben tradotta, che con i tempi che corrono non è poco) e io mi ci sono divertito. Che è poi, nonostante tutto, la cosa che importa di più. Per cui provateci anche voi e sappiatemi dire.

17 Gennaio 2000


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