Le recensioni di Carlo Oliva
da Radio Popolare
gialloWeb


Michael Dibdin, Laguna morta (Dead Lagoon), tr. di Chiara Gabutti e Luca Merlini, Passigli, 413 pagine, £ 30.000

Sappiamo tutti che l'Italia, dal punto di vista del giallo non è più la terra incognita di qualche anno fa, anzi, è piuttosto difficile, là dove si affollano gli acculturati, gettare un sasso senza accoppare un giallista, ma non è un paese in cui gli autori stranieri di un certo peso amino ambientare le loro storie. Sarà perché temono di essere sopraffatti dal colore locale, o, più probabilmente, perché sanno che quando ci si provano gli editori italiani si dimostrano estremamente riluttanti verso quei loro prodotti: devo avervi già ricordato più volte che è restato inedito nel nostro paese persino un thriller italiano del grande Eric Ambler. Comunque, di solito, per leggere una bella storia criminale ambientata tra di noi dobbiamo ricorrere agli autori nazionali. Non ce ne lamentiamo, naturalmente, ma un po' di curiosità sul come, giallisticamente parlando, ci vedono gli altri, ci resta.

Tra le poche eccezioni atte a soddisfare questa curiosità, vanno annoverate le opere di Michael Dibdin. Inglese, anche se da un po' si è americanizzato, giornalista, Dibdin ha vissuto a lungo dalle nostre parti come inviato e corrispondente e si è lasciato tentare dalle nostre miserie pubbliche, scrivendo una serie di romanzi che prendevano spunto dal terrorismo, dalla violenza politica, dalla pubblica corruzione e da altre piacevolezze per sviluppare delle notevoli trame gialle: all'inizio degli anni '90 il Giallo Mondadori ne ha pubblicato qualcuno. Avevano al centro una credibile figura di funzionario della nostra polizia di stato, tale Aurelio Zen (il nome potrà sembrarvi strano, ma è quello di un'antica famiglia veneziana) abbastanza addentro nelle segrete cose per essere incaricato dei casi più spinosi, ma non abbastanza ammanicato in alto loco per cavarsela senza un graffio. Poi di Michael Dibdin, come di tanti altri bravi autori, non si è più sentito parlare. Nel '91 la Libreria del Giallo ha pubblicato un suo pastiche sherlockiano, The Sherlock Holmes Last Story (L'ultimo caso di S.H.), che gli appassionati del genere potranno ancora trovare presso la sede di via Peschiera (e solo lì) e il resto è stato silenzio. Sono cose che nell'editoria italiana succedono fin troppo spesso.

Ma tutto è bene quel che finisce bene e oggi Michael Dibdin e Aurelio Zen sono stati recuperati dall'editore Passigli, che pubblica un loro romanzo del '94, Laguna morta. Vi ci si narra di come il vicecommissario Zen torni alla sua città di origine, che ovviamente è Venezia, per indagare sotto copertura a proposito della sparizione di un milionario americano e si lasci coinvolgere in un doppio intrigo in cui hanno parte i ricordi della sua fanciullezza e i cadaveri conservati negli armadi della sua stessa famiglia. E siccome siamo nel '94, in pieno entusiasmo popolare per Mani Pulite e in pieno fervore leghista, al centro della storia c'è un leader ultra-autonomista che, approfittando dello sdegno popolare contro Roma ladrona crede davvero di poter restaurare la Repubblica Veneta. Ma Dibdin dev'essere un giornalista di naso fino, perché già allora si rendeva conto, a differenza dei suoi omologhi italiani, che tutti quegli entusiasmi non avrebbero condotto a un gran che e faceva sì che se ne accorgesse, a proprie spese, anche il suo malinconico e fin troppo sensibile personaggio.

Un bel romanzo, nel complesso, ambientato in una Venezia invernale abbastanza inedita, in quei quartieri malandati di Cannaregio in cui i visitatori non mettono piede neanche d'estate, e popolato da personaggi credibili e ben strutturati. E una storia malinconica, che ben esprime quel senso di mancanza di prospettive che chiunque non sia anestetizzato dai rituali del turismo avverte quando mette piede in laguna. Leggerlo sarebbe un vero piacere, se i traduttori non avessero deciso, chissà per quale perverso motivo, di ricorrere a un basic italian che si modella rigidamente sulla sintassi e sul vocabolario inglesi, per cui un agente di polizia è sempre un "ufficiale" (che suppongo sia un fraintendimento di officer) e qualsiasi verbo al passato è un perfetto. Forse la vera Lega di cui avremmo bisogno in Italia è quella per la difesa del trapassato prossimo e remoto.

Per ora, per leggere in italiano l'ultima storia dell'ispettore Zen, bisogna soffrire. Per questa volta, passi, ma speriamo sia l'ultima.

29 Novembre 1999


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