La presenza nelle sale cinematografiche dell'ultima fatica di Dario Argento
mi ha convinto a dedicare qualche riga a quello che può essere considerato a
pieno titolo il precursore di un genere, il "giallo all'italiana", di cui
poi lo stesso Argento sarebbe stato uno degli esponenti più attivi ed
ispirati: il film è "La ragazza che sapeva troppo", diretto nel 1962 da Mario
Bava, e sebbene non sia cronologicamente il primo film "giallo" diretto in
Italia è sicuramente quello in cui sono presenti, più o meno "in nuce", gli
elementi che poi caratterizzeranno e distingueranno la produzione
cinematografica "thrilling" nostrana da quella del resto del mondo.
La trama è abbastanza semplice: Nora Davis, una ventenne americana in
vacanza a Roma (interpretata dall'attrice Leticia Roman), dopo aver
assistito involontariamente ad un omicidio, si trova coinvolta in una serie
di delitti che paiono rifarsi a quelli di un maniaco che terrorizzava la
città dieci anni prima uccidendo giovani donne secondo l'ordine alfabetico.
La ragazza, aiutata dal giovane medico Marcello Bassi (l'attore John Saxon)
e dall'inquietante giornalista Landini (Dante De Paolo), cercherà di far
luce sul misterioso delitto a cui è convinta di aver assistito e a cui
nessuno pare credere, mentre l'assassino farà il possibile per eliminare lei
e tutti quelli che si stanno avvicinando troppo all'agghiacciante verità.
Girato in un glaciale b/n, il film di Bava si avvale di un ottima fotografia
e di un sapiente uso delle inquadrature, capaci di rendere Roma tanto solare
e tranquilla di giorno quanto tetra ed inquietante di notte. L'uso dei primi
piani e di alcune carrellate, unito all'accompagnamento con temi musicali
d'atmosfera, contribuisce poi a creare una suspense davvero palpabile e
genuina, capace di far restare lo spettatore con il fiato sospeso anche in
quest'epoca di effetti speciali ultramoderni. Il film, però, purtroppo non è
esente da difetti: se da un lato le capacità di Bava come regista horror
riescono a rendere macabra anche Piazza di Spagna, i frequenti intermezzi
rosa che caratterizzano il rapporto tra la giovane Nora ed il dottor Bassi
spezzano un pò troppo la tensione e risultano alla fine un pò disomogenei
rispetto al tutto.
Il merito de "La ragazza che sapeva troppo", comunque, non è quello di essere
un buon film "giallo" (cosa che, ad ogni modo, gli riesce), ma quella di
aver aperto letteralmente la strada -insieme al notevole "Sei donne per
l'assassino", diretto sempre da Bava tre anni dopo- al filone dello
"spaghetti thriller", che vedrà la sua nascita ufficiale nel 1969 con
"L'uccello dalle piume di cristallo" e la sua definitiva consacrazione nel
1975 con "Profondo rosso": nel film di Bava sono infatti già presenti alcuni
elementi che diverranno poi dei veri e propri marchi di fabbrica dei film
argentiani, come per esempio l'uso dei primi piani, le lunghe carrellate, i
punti di vista "impossibili", l'idea dell'assassino non come freddo
calcolatore ma come maniaco spinto al delitto dalla sua follia, il
protagonista come testimone di qualcosa che non riesce bene ad inquadrare...
tutto questo si ritroverà nei film di Argento e in moltissimi altri,
soprattutto nel già citato "Profondo rosso", che a "La ragazza che sapeva troppo" è debitore di un paio di ispirazioni.
In conclusione, "La ragazza che sapeva troppo" è un film decisamente godibile,
ingiustamente trascurato e certamente meritevole di una riscoperta in questi
tempi "insonni", magari grazie al bellissimo DVD americano prodotto dalla
Image Entertainment, che presenta il film nel suo formato originale e con
una chiarissima traccia audio in italiano.
Chiudo definitivamente con una curiosità: in un'intervista Mario Bava ebbe a
dire che all'epoca non se la sentiva di dirigere il film e che come
"giallo-rosa" gli pareva assurdo, concludendo con un "magari avessi avuto
Kim Novak e James Stewart...". Già, magari...
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