Dominic Devine
di Luca Conti
gialloWeb
Le recensioni



David Macdonald Devine, noto ai lettori di gialli come Dominic Devine e D.M.Devine, è stato per tutti gli anni Sessanta e i primi anni Settanta uno degli scrittori più significativi tra quanti avevano scelto di agire nell'ambito della detective story di impianto "classico". Totalmente dimenticato al giorno d'oggi, non solo in Italia - dove pure sono stati pubblicati quasi tutti i suoi romanzi - ma anche in Gran Bretagna - dove tutti i suoi lavori sono da tempo irreperibili, e scarsi anche sul mercato dell'usato - Devine ha invece, negli anni Novanta, conquistato una sorprendente ma meritatissima notorietà in Giappone.
In realtà Devine, seppure regolarmente non citato in molte storie del giallo, è una figura fondamentale nel romanzo poliziesco britannico degli anni sessanta, e sembra corretto, a nostro avviso, affermarne la diretta influenza su autori come Colin Dexter e Peter Lovesey, due tra i maggiori giallisti contemporanei. Dexter, in particolare, deve molto a Devine: soprattutto nella tenace volontà di rinnovare dall'interno le strutture del romanzo di detection, proponendo una infinita serie di variazioni sul tema. Si possono far notare, ad esempio, le somiglianze tra "His Own Appointed Day" di Devine [Non c'è ritorno, 1965] e il dexteriano "Last Bus to Woodstock" [L'ultima corsa per Woodstock, 1975], entrambi variazioni sul tema del ragazzo scomparso; oppure tra "Devil at Your Elbow" [Indagine a ritroso, 1966] e "The Silent World of Nicholas Quinn" [Un puzzle per l'ispettore Morse, 1977], che condividono la stessa torbida ambientazione universitaria. Ma Devine, come e forse più di Dexter, punta al rinnovamento della formula grazie ad una straordinaria abilità di depistaggio del lettore, per la quale ci sentiremmo di chiamare in causa un autore del calibro di John Dickson Carr, e grazie all'impiego delle tecniche più disparate.
Ad esempio: romanzi scritti con diversi punti di vista narrativi ("Three Green Bottles", 1972), oppure con la formula della "inverted story" ("Dead Trouble", 1971; addirittura in quest'ultimo romanzo, secondo il critico Charles Shibuk, Devine riesce con disinvoltura ad iniziare con una "inverted story" per proseguire con una "partially inverted story"...ovvero, per rendere (secondo me) l'idea, passare da Richard Austin Freeman a Henry Wade); romanzi scritti in gran parte dal punto di vista dell'assassino ("The Fifth Cord, 1967); romanzi di ambientazione processuale sdoppiati su distinti piani temporali ("The Sleeping Tiger", 1968) e così via.
Si può ragionevolmente sostenere, quindi, che Devine, nella sua purtroppo non lunghissima carriera di giallista, abbia sperimentato con la maggior parte delle situazioni e delle tecniche più tipiche del romanzo giallo classico, adattandole e modificandole secondo una sensibilità più moderna, più contemporanea. In Devine infatti, così come in Colin Dexter, il giallo non è mai un semplice esercizio intellettuale, totalmente distaccato dalla realtà sociale; i suoi personaggi sono sempre estremamente complessi, ben caratterizzati e, soprattutto, rappresentativi della cosiddetta "società civile", ovvero professori universitari, medici, avvocati, casalinghe, insegnanti, funzionari pubblici, giornalisti, scrittori.
Una P.D. James uomo, in sintesi...
Questi eccellenti risultati appariranno ancor più evidenti considerando che Devine non era uno scrittore a tempo pieno. Il suo vero lavoro era, infatti, quello di amministratore dell'Università di St.Andrew; mentre il suo esordio letterario, nel 1961, era avvenuto grazie ad un concorso indetto dalla casa editrice Collins per il miglior giallo scritto da un docente o un assistente universitario. Devine aveva partecipato, ma il suo romanzo ("My Brother's Killer"), sebbene prescelto dalla giuria - e in particolare da Agatha Christie - non era stato proclamato vincitore proprio perché il suo autore lavorava nel settore amministrativo e non in quello didattico.

Devine è decisamente un autore da recuperare all'attenzione dei lettori. Nel vasto e tuttora misconosciuto panorama del giallo britannico del dopoguerra, ancora criticamente molto sottovalutato, persino da un critico del calibro di Julian Symons, quello di Devine è un caso ancora tutto da esaminare.
La caccia è aperta.


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