L'ARTE DELLA COMUNICAZIONE: QUALITA' IMPRESCINDIBILE ANCHE PER UN ALLENATORE DILETTANTE
E
non ci riferiamo certo alla volontà di ipnotizzare intervistatori e
telespettatori che emerge dalle
dichiarazioni di Capello e Lippi od alla simpatica, distorta dialettica del Trap,
né ai silenzi espressivi di Zeman od alle esplosioni incontenibili e spesso non
correttamente interpretate di Mazzone.
Puntiamo
invece la nostra attenzione, sulle mille discussioni, sui programmati incontri e
gli inattesi scontri che un Allenatore dilettante si trova ad affrontare nel
corso di un anno.
E
sono molti, molti di più di quanto uno si possa immaginare, tanto che la
capacità di rapportarsi con gli altri può sicuramente annoverarsi tra le più
importanti doti che un Allenatore a qualunque livello deve avere.
E
vediamo un po’ più nel dettaglio con chi dovremo continuamente confrontarci
nel corso della stagione.
La
rosa dei Giocatori
Delicato,
spinosissimo argomento; sia che si tratti di ragazzetti che di giocatori adulti,
sarà difficilissimo mantenere la rotta immaginata a bocce ferme. Due sono le
principali correnti di pensiero: chi governa il gruppo imponendo la propria autorità,
snellendo molto le procedure di socializzazione e puntando sulla chiarezza delle
regole e chi invece, sempre motivando le proprie scelte a costo di “perdere”
del tempo, cerca di accrescere il coinvolgimento
generale nel progetto che man mano va edificando.
Nel primo caso effettivamente l’Allenatore risparmia un sacco di fiato, semplifica il lavoro e potrebbe anche raggiungere, nell’immediato, migliori risultati. Arriva, valuta il gruppo, sceglie gli elementi interessanti (ed eventualmente chiederà alla dirigenza la modifica della rosa, incrementandola con elementi validi in ruoli-cardine per il tipo di gioco che vorrà interpretare, o purtroppo talvolta chiedendo l’allontanamento di individui caratterialmente problematici o semplicemente poco utilizzabili per i più svariati motivi), detta le sue regole disciplinari ed una volta impostata la squadra ha terminato il grosso del lavoro. Chi sta alle regole e chi mantiene un alto rendimento in campo rimane, fuori invece chi sgarra o si rende protagonista di prestazioni insufficienti. Questo allenatore sarà strettamente vincolato ai risultati: se vincerà sarà un genio, i giocatori importanti saranno con lui e gli emarginati saranno costretti a trattenere il loro risentimento. In caso contrario sarà giudicato un incompetente ed i mugugni, prima soffocati, esploderanno in maniera incontrollabile.
Se
questo stile di allenare, a suo modo equilibrato, semplice ed infallibile, può
funzionare, o sia addirittura raccomandato tra i Professionisti, non credo si
possa dire altrettanto quando il gruppo da condurre è composto da Dilettanti.
Se
giochi a pallone, che tu sia un promettente trequartista negli Allievi Regionali
od un panciuto terzino da torneo aziendale, tu vuoi essere negli undici titolari
nelle partite che contano, vuoi divertirti e magari faticare poco durante gli
allenamenti, e possibilmente vincere tanto, subendo poche sostituzioni e
calciando i rigori e le punizioni.
L’allenatore
del secondo tipo è conscio di ciò e
deve mantenersi in equilibrio per cercare di raggiungere gli obiettivi
prefissati (che non equivale sempre alla vittoria di un campionato, ma può
essere la valorizzazione di alcuni elementi o semplicemente la creazione di un
gruppo su cui lavorare negli anni a seguire), senza calpestare gli interessi dei
singoli.
Si
troverà così a parlare molto più spesso con chi siede accanto a lui in
panchina, con chi salta gli allenamenti, con chi non rispetta i compagni o
l’arbitro. Paradossalmente conoscerà meglio i comprimari trascurando un po’
i titolari e non saranno sempre discussioni facili. Sarebbe molto più semplice
dialogare con il tuo libero, che è anche il capitano, che fai giocare anche con
qualche linea di febbre e che sostituisci solo quando sei sopra di tre gol e
manca meno di quattro minuti alla fine, ma ti troverai invece sempre a motivare
le tue scelte a chi gioca soltanto qualche spezzone, a chi non si diverte più e
vuole smettere, a chi è convinto che tu lo metti fuori perché ti è antipatico
o perché non è raccomandato.
Per
non vacillare bisogna essere limpidamente onesti e dopo aver a lungo riflettuto
e valutato ogni aspetto, scegliere sempre nell’interesse
collettivo. Ma se hai lavorato correttamente sei in pace con la tua
coscienza e puoi reggere qualsiasi confronto. E’ importante non raccontare
balle, non fare promesse che non puoi mantenere, non indorare la pillola; così
facendo sprecherai energie, ti attirerai delle critiche perché non ci sono
teorie calcistiche infallibili e qualunque tua decisione avrà almeno un lato
attaccabile e criticabile, ma, forse, ti verrà riconosciuta quell’integrità
morale necessaria per essere un vero leader
(e che ti piaccia o no questo deve essere un allenatore, un leader energico
ed onesto).
In
panchina, oltre ai giocatori di riserva, si va in quattro: allenatore, dirigente
accompagnatore, massaggiatore e guardalinee. In pratica oltre a te possono
venire in campo altre tre persone, normalmente sempre le stesse, che collaborano
con te per tutto quello che riguarda l’aspetto organizzativo. Talvolta ti
aiutano anche durante gli allenamenti infrasettimanali o almeno si fanno vedere
per fare il punto della situazione. Sono importanti per il trasporto dei
ragazzi, per la distribuzione e la raccolta delle maglie, per il tè ed i
medicinali, per la prima assistenza in caso di infortunio, per redigere la
distinta da consegnare all’arbitro e nei mille altri imprevisti che accadono
durante un anno.
In
definitiva sono degli appassionati come te che si divertono a passare il loro
tempo libero tra campi non sempre verdi e spogliatoi a volte maleodoranti.
Addirittura a volte sono persone alle quali il calcio neanche interessa, ma che
sono spinte dal loro senso civico a fare qualcosa di utile per un gruppo di
fanciulli o per la squadretta del borgo.
Va
dato a loro grande rispetto per la grossa mano che ti danno. Li devi ascoltare
perché anche loro hanno visto centinaia di partite e, a volte, conoscono i
ragazzi meglio di te o da più tempo. Senza urtare la loro sensibilità deve
essere però chiara la suddivisione dei ruoli, e la gestione della squadra
rimane un tuo esclusivo compito.
Con
loro il confronto dovrebbe essere sereno, ma ti può capitare di dover
trascorrere un intero anno senza trovare un punto in comune, un accenno di
feeling.
Bisogna
fare comunque appello a tutte le proprie risorse di diplomazia per non far
sfociare le incomprensioni in liti che si ripercuoterebbero inevitabilmente
sulla squadra.
Discorso
a parte merita “l’allenatore in seconda”, raramente presente nelle squadre
dilettantistiche. Se c’è, è un giovane alle prime armi che accumula
esperienza per poi svolgere il ruolo in prima persona. Dovremo cercare di
trasmettergli le nostre conoscenze senza tanti misteri e potremo affidargli
parte del programma d’allenamento in modo da ottimizzare le nostre potenzialità.
Potremo confrontarci con lui prima e dopo una gara od un allenamento, anche se
sarà bene che durante la partita parli soltanto uno (l’allenatore) per non
creare confusione nei ragazzi. Si potrà addirittura svolgere programmi
d’allenamento differenziato o di recupero per chi rientra da piccoli
infortuni, od addirittura far visionare gli avversari, ma non dimentichiamoci
mai che, l’allenatore in seconda ed i dirigenti non sono nostri dipendenti e
che, in parte, siamo responsabili anche del loro divertimento.
Se abbiamo una squadra da gestire è perché qualcuno ce l’ha affidata. Dobbiamo quindi rispondere della fiducia accordataci; nelle società dilettantistiche le strutture spesso sono diverse. Ci saranno club dove il Direttore Tecnico svolge pienamente le sue mansioni e coordina tutte le squadre e le attività ed altri dove questa figura non esiste nemmeno, sostituito dal Presidente che si occupa della campagna acquisti ma anche di lavare le maglie.
In
qualsiasi situazione ci si venga a trovare avremo comunque dei referenti, delle
persone che ci hanno voluto investire di una responsabilità, a
cui rispondere del nostro operato.
Con
loro dovremo concordare un programma iniziale, stabilendo insieme quali sono i
nostri obbiettivi a breve e lungo termine; fisseremo periodicamente delle
riunioni, più o meno formali, in cui valuteremo l’andamento della squadra, i
suoi progressi ed i suoi problemi. Credo sia bene stabilire con queste persone
un rapporto il più franco possibile, in modo da poter dialogare liberamente.
E’ vero che loro, proprio per il ruolo che rivestono dovranno spesso
giudicarci, ma dovrebbero essere le persone più indicate a farlo. Perciò
proprio con loro dovremo confrontarci, sul modulo di gioco, sul valore dei
giocatori, sugli avversari, sui metodi di allenamento, su ogni aspetto.
Se
poi ci accorgeremo che non vediamo il calcio allo stesso modo, che hanno
programmi differenti dai nostri, se addirittura scopriremo che non sono corretti
nei nostri confronti vorrà dire che non è il posto che fa per noi e, a fine
stagione, li saluteremo.
Un
grosso serbatoio di crescita professionale è a nostra disposizione se
riusciremo a stabilire un buon rapporto con i nostri colleghi che seguono le
altre categorie della nostra società. Sarà importante collaborare per la
distribuzione dei campi durante gli allenamenti e con le categorie attigue alla
nostra per i “prestiti” dei giocatori (durante la stagione capiterà spesso
che qualche Giovanissimo debba scendere in campo con gli Allievi e che due o tre
Juniores la Domenica rafforzino la Prima Squadra, anzi credo sia auspicabile),
ma anche per ampliare i propri orizzonti sui ragazzi promettenti, sulle squadre
più forti.
Insomma
chi più indicato di loro, dato che condividiamo la stessa passione, per fare
due chiacchiere ? Non bisogna essere “gelosi” dei propri giocatori, dei
materiali o della propria scienza calcistica e questa è spesso una delle cose
più difficili. Ma scopriremo che collaborare ci arricchirà umanamente e
professionalmente.
Avversari
e loro Allenatore
Apparentemente sembrerebbe difficile, ma devo dire che, prendendo come esempio il rugby, si può, anzi si deve stabilire un buon rapporto con molti dei nostri avversari (con tutti non si può…). Oltretutto i nostri avversari di oggi potremmo trovarci ad allenarli tra qualche anno. Trovo che Dominguez, Troncon e compagnia impersonino veramente lo spirito sportivo e si vede nei loro sguardi e gesti a fine partita che con gli avversari condividono la gioia per la faticaccia fatta, già pregustando la doccia e la bevuta seguente (il famoso terzo tempo). Senza arrivare a tanto credo che nel calcio si debba molto migliorare sotto questo aspetto: basta con le liti trascinate all’uscita, con gli avvertimenti e le minacce, senza parlare di porte degli spogliatoi sfondate e di macchine rigate. Attenzione, chi scrive non è purtroppo molto abile nel porgere l’altra guancia e c’è effettivamente qualche individuo nell’ambiente calcistico che non ha capito nulla di cosa vuol dire fare sport e lo considera lo spunto per una Crociata personale contro tutti. Ma quanti sono? In un anno, facendo 40-50 partite quanti ne incontreremo? Cinque? Dieci?
Dopo un po’ che giri per gli stessi campi cominci a conoscere tanta gente, ed è bello scambiare quattro parole, calcistiche e non. Scambiare due opinioni anche con i ragazzi avversari può essere utile per valutare la loro maturità, mentre le qualità tecniche le puoi testare in campo, ed inoltre contribuisce a diffondere uno spirito positivo di cui c’è sempre più bisogno. A maggior ragione il dialogo con il mister avversario è quasi obbligato. Anche qui troveremo qualche individuo ombroso, sempre nervoso ed indisponente. Ma pochi, la maggioranza è disponibile a mettere in comune le proprie esperienze. Potremo scambiarci opinioni sulle avversarie del girone, conoscere il metodo di lavoro e l’atmosfera che si vive in altre società, aggiornarci sugli elementi emergenti o anche semplicemente informarci sulla strada più breve per raggiungere il loro paese quando giocheremo la gara di ritorno, invitarli al nostro torneo. O semplicemente ci consoleremo a vicenda, perché qualunque mister, a sentire i commenti in tribuna, è quasi sempre un’incompetente…
Quasi
ogni anno ci troviamo almeno un genitore che ci “ama” a tal punto da
suggerirci spesso, “per il nostro bene” s’intende, cosa farebbe al posto
nostro. E puntualmente arriviamo ad un chiarimento. E’ quasi fisiologico, c’è
chi vede il figlio impiegato in un ruolo non suo, oppure lo vede giocare troppo
poco, o non gli piace il gioco della squadra, il modulo, gli allenamenti sono
troppo duri o troppo blandi e via discorrendo. Più o meno le stesse critiche
che toccano anche agli allenatori professionisti. Ma il punto non è la
sensatezza dei “consigli”, quanto l’argomento su cui discutere.
Nella
maniera più serena ed accomodante possibile si deve cercare di far capire ai
genitori in questione che la loro preoccupazione deve volgersi solamente
all’aspetto educativo, sociale, etico, al limite medico dell’attività che
il loro beneamato, e spesso sopravvalutato, pargolo svolge.
Devono,
ed è giusto che lo facciano, documentarsi sull’ambiente che frequenta, quali
attrezzature sono a disposizione, il grado di professionalità che i tecnici
hanno.
Una
volta rassicurati sul fatto che l’ambiente è pulito, educato, in una parola
“sano”, si devono fermare lì. Non ci interessa sapere quanto era bravo suo
figlio due anni fa, i gol che ha fatto, gli osservatori che l’hanno seguito,
quante partite ha deciso; non siamo una squadra di vecchie glorie, dobbiamo
essere bravi adesso e non gioca chi è più sponsorizzato ma chi è più utile,
più bravo, più continuo e determinato.
Ma
il nostro numero di telefono è sempre a loro disposizione, il nostro
spogliatoio sempre aperto. Perché dobbiamo “lavorare” insieme.
Fortunatamente
si incontrano molti genitori che condividono questo pensiero. Abbiamo la stessa
meta, quella di veder crescere un uomo ed un
giocatore equilibrato, leale, affidabile, sereno, capace di confrontarsi con gli
altri. In una parola: forte.
Gioia e dolore, diavolo ed acquasanta; ma anche loro innamorati di questo sport.
Bisogna
partire da una considerazione non più marginale: gli arbitri sono numericamente
insufficienti. Bisogna contribuire quindi ad elevarne il numero ed a migliorarne
la qualità. E questo non lo si fa mettendoli continuamente in croce. Anche se
è invidiabile la flemma di Eriksson e Zoff, anzi credo che il loro
comportamento dovrebbe essere preso d’esempio da noi “aspiranti stregoni”,
spesso a molti di noi scappa qualche accidente alla giacchetta nera di turno.
Credo
si debba però cercare sempre, indipendentemente dall’esito della partita,
mentre si ritirano i documenti di gara o ci si saluta, di discutere con lui gli
aspetti regolamentari degli episodi accaduti in campo (tra regole, casistiche,
interpretazioni e direttive italiane o globali non è così facile come può
sembrare), di riportare il dialogo su di un piano paritetico e non più
contrapposto.
Gli
arbitri sono ragazzi che arrivano al campo la Domenica mattina presto, fa freddo
e c’è nebbia. Hanno anche loro alle spalle una settimana dura ed un Sabato
notte dove hanno dormito poco. Con la differenza che noi siamo in venti a
parlarci, a farci coraggio. Loro si cambiano da soli, corrono da soli e dagli
spalti non arriva mai un applauso od un apprezzamento. Solo insulti.
Avere
un atteggiamento costruttivo con loro servirà al direttore di gara per
togliersi di dosso un po’ di agitazione che ne peggiora il rendimento. Ed a
noi per essere più sinceri quando spieghiamo alla squadra che l’arbitro non
ha nessun interesse personale da difendere, che un giudice è necessario in
qualsiasi tipo di gara, che arbitrare non è facile, che spesso il cattivo
arbitraggio è solo un alibi di chi perde.
Ultima
nota: anche gli arbitri, come i giocatori e gli
altri allenatori li rincontriamo spesso. Solo che loro hanno più memoria
…
Si
può anche obbiettare che questa è solo teoria, che non ci si può forzare a
trovare tutti simpatici, che il nostro rimane un hobby e che per farlo non si
deve obbligatoriamente possedere la laurea in Psicologia.
Se
però è vero che, così come il cane tende a prendere le movenze ed il
carattere del proprio padrone anche il gruppo è portato ad emulare il proprio
leader, allora abbiamo una responsabilità in più.
Senza
entrare nei particolari mi sembra infatti indiscutibile che il calcio a tutti i
livelli sia in un periodo di involuzione, di regresso: economico, tecnico, anche
quantitativo se è vero che i giovani calciatori sono inferiori numericamente e
con meno motivazioni.
Ma
il problema più evidente è l’imbarbarimento dei costumi. Trasmissioni
televisive cosiddette sportive dove tutti urlano frasi inconsulte senza dare un
benché minimo contributo alla comprensione di una partita, tribune dove tutti
si permettono di urlare di tutto giustificati solo dal pagamento del biglietto,
piccole società dove tutto è sacrificato per ottenere i “risultati” (?).
Ecco,
solo se le migliaia di persone che
frequentano i campi di calcio quasi silenziosamente per non confondersi con
urlatori di professione e meretrici in cerca di un piccolo ingaggio, troveranno
di nuovo il fiato e cominceranno di nuovo a seminare
concetti calcistici positivi si potrà uscire dal tunnel imboccato.
E
per far questo, oltre a sapere cosa dire ed insegnare, sarà molto importante
farlo con franchezza, fermezza ed ironia.
Mauro Andreasi
fonte
www.allenatore.net