Non riuscivo più a scrivere. Ormai era troppo
tempo.
Avevo una specie di ansia da prestazione ed il mio editore mi chiamava oramai
tutti i giorni.
- E’ quasi pronto - lo rassicuravo.
Mi ero chiuso in casa da tempo. Con me solo bottiglie di vino, rosso, a farmi
compagnia. Seguivo lo stile dei dannati nella speranza di farmi venire qualche
dannata idea. Ero disperato pur di scrivere qualcosa.
Cosí mi sbronzavo e durante i miei deliri componevo qualche frase, qualche
pagina. Ma poi la mattina, di fronte a quei fogli ingialliti e macchiati
dall’animo alcolico, mi rendevo conto che ciò che scrivevo non aveva alcun senso
preciso. Erano deliri senza futuro e senza senso.
E anche la mia vita non aveva un senso.
Quella sera ordinai una pizza a domicilio.
Non mangiavo da ore, da giorni.
Le scorte in casa erano esaurite da tempo. Mi ero gettato nel pieno alcolismo
per la disperazione.
Non vorrei che mi si fraintendesse perché io tenevo davvero al mio mestiere e
bevevo solo nel tentativo di salvarlo. Di salvarmi.
Ma avevo la sensazione che non ci sarei piú riuscito.
Certe volte non riuscivo neanche a credere di aver scritto un libro. Dio mio,
pensavo, un libro vero e proprio, come quelli che compro in libreria o al
supermercato. Io ho scritto un libro.
Non so come ci riuscii ma era successo. A pensarci era come pensare ad un film,
ad una storia raccontata ma non vissuta, come qualcosa che non mi riguardasse
personalmente. ‘Dovevo essere posseduto da qualcosa’ riflettei.
I tempi peró erano cambiati. Io stesso ero cambiato. Così mi versai un altro
bicchierino per non pensarci.
Ormai non sentivo neanche piú i sapori di ci che bevevo e proprio mentre ero
intento a darmi una grattatina all’interno coscia suonò il campanello.
‘Ecco la pizza’ pensai alzandomi dal letto.
Ma quando aprii la porta coperto solo da una maglietta e da un paio di
pantaloncini smunti e ingialliti non mi trovai di fronte il porta pizze ma bensí
quella strafica della vicina. Non ricordavo neanche il nome ma di vista me la
ricordavo eccome. Bionda, tutta curve al punto giusto, veramente tosta. Aveva
abbandonato l’abito lavorativo da donna in carriera con la quale la vedevo
entrando in casa, per far posto ad un piú appropriato abbigliamento casalingo,
il tipico delle serate un pó speciali: una bella vestaglia semi trasparente. Era
veramente sexy. Potevo immaginarmi tutto.
- Scusami Rogo ma sono proprio una sbadata stasera, non è che avresti un po’ di
sale da prestarmi?
Tutto arrapato com’ero non mi feci certo sfuggire quella magnifica occasione per
non provare ad abbordarla. Non avevo mai avuto vere occasioni per provare
neanche un approccio e questa sembrava l’occasione di una vita. Tanto piú che
nell’espressione di lei mi sembrò di notare un pizzico di malizia.
Le dissi che lo avrei dovuto cercare un attimo dato che non lo usavo molto - non
ho molto tempo per cucinare - dissi. Fu una bugia stupida ma quanto bastava per
invitarla ad accomodarsi un attimo.
Solo quando tornai dalla cucina col barattolo del sale mi resi conto che il mio
appartamento non era presentabile agli occhi di una ragazza. C’erano vestiti
usati e sparsi ovunque, bottiglie vuote, libri e riviste sparse qua e la e
polvere dappertutto. La casa era un cesso e non doveva neanche avere un buon
odore. Lo capii soprattutto dall’espressione di lei, un espressione tra lo
stupito, lo schifato e di colei che si impegna a non dimostrarlo giusto per una
forma gentilezza nei confronti dell’ospite.
Comunque mi ringrazió molto gentilmente, prese il sale e fuggí letteralmente
via.
Peccato, pensai versandomi un bicchiere di vino rosso.
Scostai qualche bottiglia vuota e mi sedetti nel divano. Non riuscivo proprio a
togliermi dalla testa quelle gambe perfettamente allineate, quel seno
prosperoso, quei capelli lunghi e morbidi. La mia mente divagava ormai su tutto
quel suo corpo, si insinuava tra le pieghe della vestaglia e annusava la sua
pelle fresca. Era una tipa niente male.
Chissà, forse quella del sale era una scusa, in fondo non è da tutte presentarsi
la sera con una vestaglia del genere, soprattutto nella casa di un single.
Quella vestaglia era una vera e propria arma e non poteva che essere usata per
determinati scopi.
Quindi voleva me! La voglia mi salí improvvisa come un vulcano in piena. La
desideravo, ora, subito. Volevo stapparle quella vestaglia di dosso, morderle
tutte quelle curve perfette. Avrei solo dovuto recuperare la situazione che mi
ero lasciato sfuggire, trovare una scusa per le condizioni dell’appartamento,
dire ,che so, che ero stato via un pó per un viaggio di affari in Polinesia. Poi
mi ricordai che era la mia vicina di pianerottolo, non avrebbe funzionato.
‘Qualcosa inventeró’ pensai.
Ormai ero giá proiettato da lei. In fondo avrebbe capito, lei mi voleva.
Indossai un paio di jeans presentabili e cioè quelli meno sporchi che avevo e
che non mettevo da anni. Erano vistosamente vecchi e fuori moda. Ma, forse
aiutato dall’effetto dell’alcool, mi sentivo sicuro tanto da sentirmi molto
casual con qualsiasi cosa.
Non cambiai neppure la maglietta, sarebbe sembrato troppo spudorato.
Non mi restava che trovare un buon motivo per presentarmi da lei. Le avrei detto
la veritá, che la amavo sin da quando mi ero trasferito in quel palazzo. No no
troppo banale, e poi vivevo li ormai da piú di sei anni.
Poi trovai la giusta via: potevo richiederle il sale, semplice. Potevo dirle che
avevo ospiti a cena, cosa che faceva anche un pó chic. Ma in questa maniera mi
sarei bruciato qualsiasi possibilitá di un eventuale “dopo” in quanto occupato
con i miei fantomatici ospiti.
Optai per non prepararmi nessuna scusa, avrei lasciato fare alla mia fedele
improvvisazione che in tante altre situazioni mi aveva sempre aiutato piú che
bene.
Perciò senza stare troppo a ragionarci presi la bottiglia di vino piú preziosa
che avevo e mi avviai verso il suo appartamento pochi metri piú in lá.
Mentre mi avvicinavo una leggera musica soave avvolgeva l’aria. Proveniva dal
suo appartamento, una musica soft da serata intima, l’ideale per una serata da
passare in casa in compagnia. E lei ne aveva tanto bisogno in quel momento. - Ci
sono qui io baby - mi dissi a voce alta come per incitarmi.
Quando fui davanti alla sua porta bussai con la gentilezza di un gentiluomo.
Lei mi aprí pochi istanti dopo. Lei in tutta quella vestaglia, con tutto quel
ben di dio a malapena coperto. Vedendomi sembró un pó stupita. ‘Bingo’ pensai.
Esordii con la calma e lo sguardo di un vecchio e navigato playboy - Ciao, avevo
pensato ad un aperitivo in compagnia -.
Sembrava molto imbarazzata. Da dietro di lei la musica era un richiamo
irresistibile. Non aspettavo altro che di entrare e lei non poteva non notarlo
ne dirmi di no.
Ma non disse niente. Sembrava completamente spiazzata da quella situazione.
L’avevo sempre saputo, alle donne piace l’uomo deciso e adesso ne avevo una
prova in piú, l’avevo colpita e affondata. Era ko. Era mia. Il mio sguardo era
piú sicuro e figo quello di George Clooney nella famosa pubblicitá. Ero
irresistibile, lo sapevo, e lei non poteva resistermi.
- Veramente io non potrei…- sussurrò lei, la timidona.
Poi d’improvviso la musica alle sue spalle sparí via di colpo e sinceramente la
cosa spiazzó me stavolta. Una voce subentrò nella scena, una voce da uomo,
inaspettata e profonda. Un ragazzo ben piazzato spuntò dietro di lei. Diciamo
che era più che ben piazzato. Circa uno e novanta, spalle larghe, muscoli
ovunque anche in punti dove pensavo non esistessero, o almeno sul mio corpo non
li avevo mai visti. Era palestrato a piú non posso. Il classico tamarro
italiano.
- C’è qualche problema Clara?.
Ecco, finalmente sapevo il suo nome:Clara!. Ero a cavallo adesso.
- No caro, niente, non preoccuparti - rispose lei cercando di nascondermi, come
se avesse paura per una sua reazione vedendomi. Forse aveva paura che lui,
l’energumeno, si ammoscasse dell’effetto che le provocavo. Ma non sei piú sola
adesso baby.
Ma il tipo non si ammoscò di niente ma anzi, capí tutto benissimo. Sposto Clara
con un braccio e si posizionò immediatamente nel mezzo tra me e Clara. Mi
superava in altezza di almeno quindici centimetri e mi creó una zona d’ombra da
far impallidire anche l’eclissi lunare.
Io provai a dire qualcosa ma la situazione ormai era piú che evidente, con la
bottiglia di vino tra le mie mani, il mio iniziale sguardo da Gorge Clooney
diventato poi uno sguardo spaurito ed insicuro, ne erano una prova
inconfutabile. Eravamo avversari ora
- Che vuoi? - pronunció lui in tono minaccioso.
- E tu chi sei? - me ne uscii imprudentemente io. Sapevo di non avere speranze
contro di lui ma non volevo neanche passare da vigliacco o da uno che se la fa
sotto alle prime difficoltà. Non potevo uscire di scena cosí.
- Sono quello che ti spacca la faccia se non te ne vai - fece lui dandomi uno
spintone che a momenti mi sbatteva per terra.
- Ehi ehi Johnny metti giú le mani, come cazzo ti permetti cavernicolo d’un
tamarro! - urlai io. La situazione aveva preso una pessima piega ed io non stavo
facendo niente per raddrizzarla anzi, probabilmente quella fu la mia condanna a
morte.
A quel punto lui non sentí piú storie e non doveva neanche essere uno abituato
alle favole. Mi si fece incontro pronto a massacrarmi. D’istinto impugnai la
bottiglia di vino per il collo a mó di bastone sfolla gente deciso a
spaccargliela in testa non appena fosse a tiro.
E cosí feci, lo presi a fatica in piena testa, proprio sopra la fronte dove
pensavo risiedesse il centro del suo microscopico cervello, ma lui non parve
neanche accorgersene e mi travolse come una bufera di dolore misto a vino che mi
scaraventó a terra tramortito.
- Stupida checca, vedi di non farti piú rivedere qui - disse lui prima di
chiudere la porta dietro di sé e davanti alla meravigliosa vestaglia.
Avrei voluto rispondergli, lo giuro, ma il mio corpo era un grosso ed immenso
ematoma e la mia bocca pareva bloccata come se fossi sott’acqua e stessi
affogando. Sputai e ne venne fuori sangue, fiotti di sangue piú qualche dente.
Mi aveva fracassato come un vecchio mobile. Ero ricoperto di sangue di vino e di
vetri frantumati. Inoltre dovevo avere qualche costola rotta e una spalla
lussata.
‘Brutta troia’ pensai cercando di immaginare quella di quei due come la classica
storia della bella ragazza che sta col macho grande grosso e coglione.
Mi alzai solo grazie all’istinto di sopravvivenza e mi avviai verso la mia tana
con la metaforica coda tra le gambe.
- Chi apprezza piú i vecchi romantici oggi giorno - mi convincevo.
Non era stata affatto una buona uscita quella, niente affatto.
Quando fui davanti alla porta mi misi a cercare con il braccio buono la chiave.
Un dolore lancinante dalle costole mi faceva tremare.
Proprio in quell’istante dall’ascensore uscì il ragazzo delle pizze. Ormai dopo
chili e chili di pizza aveva imparato a riconoscermi ma nel vedermi in quelle
condizioni fece un pó di fatica.
Dopo un iniziale titubanza mi venne incontro per aiutarmi, non prima di avere
appoggiato a terra la pizza.
- Cristo ma cosa le è successo? - mi domanda lui.
- Niente niente, i soliti problemi condominiali, normale routine, vieni
accompagnami in ospedale.
- Alla faccia! - fece lui prendendomi sotto braccio - e meno male che io vivo in
un terra tetto.
Addio pizza.