AMORE IMPASSIBILE
Tra una serata e l'altra, una cena con qualche
amico, la vita procedeva indolore.
Sembrava tutto cosí maledettamente perfetto tanto da cominciare a farmi pensare
sul mio probabile futuro, su quello che avrei dovuto fare e su come.
Nessuna ambizione lavorativa e d’altronde nessuna frustrazione di turno. Solo
innamorato della mia ragazza che ormai amavo da anni.
Si poteva ormai definirsi la storia perfetta, quella destinata a finire
sull'altare. Eravamo la coppia che tutti invidiavano, che tutti prendevano come
riferimento. Uno di quei punti fermi in mezzo ad un mare mosso. Mentre tutti i
nostri amici continuavano a prendersi e lasciarsi, noi sembravamo destinati a
mettere su casa, famiglia, fino alla pensione con successiva vecchiaia insieme.
Era proprio a questo che pensavo negli ultimi tempi. Cominciavo a sentire il
bisogno di qualcosa di piú. Qualcosa ancora che ricordasse a tutti che il mio
amore non era finito ma anzi aveva ancora un sacco di carte nascoste da giocare.
Ma cosa mi aspettavo? Cosa poteva turbarmi se non una brusca solitudine?
Come angosciato da questa possibilitá remota, volevo bloccare tutta la mia vita
come era adesso, poter sigillarla e metterla sotto vuoto. Io volevo vivere cosí,
ma sapevo che le cose sono sempre e comunque destinate a cambiare, in un modo o
nell’altro.
Decisi cosí di anticipare un eventuale cambiamento con qualcosa di programmato e
che sarebbe stato sicuramente positivo. Giocare in anticipo.
Ne parlai persino con qualcuno dei miei amici fidati.
Il passo era solo uno: il matrimonio. Lei non aspettava altro da tempo ormai, ma
fino a quel momento io non ne avevo mai voluto sapere.
Furono tutti felici. I miei amici.
Mi fecero un sacco di complimenti, un sacco di feste, cose se avessi vinto
qualcosa.
Quella sera, dopo i festeggiamenti per la mia notizia, tornai a casa dal pub un
pò ubriaco. Ed era tanto che non mi succedeva piú. Tanto tempo.
Quando entrai in casa era buio e accesi la luce dell'ingresso, dove regnava il
classico silenzio.
Poi spensi la luce dell'ingresso ma non prima di essermi memorizzato tutti gli
ostacoli che mi dividevano dalla mia camera, in fondo al corridoio.
E nel buio, camminando a memoria tra il casino che da sempre rappresenta la mia
casa, in quegli attimi mi sono sentito perso. Perso con me, solo.
Dove ero, dove stavo andando. Chi ero.
Un invasione di pensieri mi raccolse al buio e mi inondò impietosamente. In
quella marea di pensieri dimenticai persino gli ostacoli memorizzati e fu solo
il dolore al ginocchio a riportarmi nella realtá.
Realtá che mi si ripresentó nella forma della mia camera, una volta accesa la
luce.
Il mio letto, i due batik appesi sulle pareti. Un armadio spoglio senza ante e
poco di piú.
É questo che sono io?
E come sarebbe con una persona fissa al mio fianco? Come sarebbe se fossi solo,
completamente solo?
Il mio carattere, tutto quello che penso e faccio, da cosa deriva, dalla mia
situazione o io ero sempre stato cosí? Come sarei stato?
Non so come mai, ma capii di essere solo come non mai.
Il mio amore mi aveva avvolto in una busta offuscata piena di antidolorifici.
Perchè non provavo piú nessun altro sapore ormai.
Cosa intendevo fare con quella mossa del matrimonio? Che fosse solo un
palliativo inutile e dannoso?
Mi raccomando fai la divisione dei beni, mi aveva detta un’amica al pub.
Scherzava?
Cosa mi dovevo aspettare?
Andai a letto cercando di scacciare quegli stupidi pensieri e fortunatamente mi
addormentai dopo poco.
Il risveglio fu dolce. Le coperte mi coccolavano in una temperatura ideale, mi
sentivo rilassato e riposato.
Ripensando alla sera prima, a tutto quello che mi era successo mi stupii
trovandomi ancora più convinto di quella mia decisione.
Felice di tutta quella mia inaspettata risoluzione mi alzai e mi feci una bella
doccia calda nonostante fosse primavera.
Poi mi asciugai davanti allo specchio del bagno. Un classico specchio largo
orizzontale.
Mi asciugai prima le gambe, il busto, le spalle. Poi con l’asciugamano mi
tamponai la testa e i capelli.
Nel frattempo mi osservavo. Mi guardavo negli occhi come in attesa di qualcosa.
Anche la mia immagine riflessa mi guardava. Aveva un po’ di borse sotto gli
occhi. Non erano proprio il massimo e toglievano al taglio degli occhi il loro
bell’aspetto.
Poi passai ad osservare i capelli.
Erano sempre meno. Diradati. Alcuni bianchi.
Passavo spesso periodi di crisi a causa dei miei capelli. Periodi che
coincidevano con momenti in cui ero più o meno impegnato. Potevo stare anche
giorni senza guardarmi allo specchio. Ed era proprio in quei momenti li non
pensavo più alla mia stempiatura, alla diradatura. Bastava distrarmi per non
soffrire più di quel problema, semplicemente non osservandolo piú.
Tornava però sempre il giorno in qui il mio sguardo ricadeva pesantemente sulla
mia fronte, sulle mie tempie, ed ogni volta scattava il solito panico.
Anche quella mattina provai una vampata di calore causato dalla vista dei miei
capelli. Sapevo che sarebbero durati ancora per poco. Sapevo che la mia vita
avrebbe subito un cambiamento drastico.
Chissà se lei avrebbe voluto continuare a vedermi. Era questo che mi domandavo
sempre.
Quando sarò pelato cosa succederà? Mi amerá ancora?
Finii di asciugarmi, poi mi pettinai e tornai in camera non prima di aver messo
la macchinetta del caffè sul fuoco.
In camera scelsi i vestiti per andare in ufficio. Una camicia a maniche corte
dato che nonostante l’aria condizionata soffrivo già il caldo di primavera.
Poi una volta messo le scarpe tornai in cucina a bere il caffè che nel frattempo
era uscito.
Accesi la tv e mi sedetti sulla prima sedia libera che trovai.
In televisione c’erano i primi telegiornali. Non capivo bene di cosa parlavano
perché la mia testa era altrove. Me ne accorsi pure, ma non feci niente per
tornare nella realtà. E mentre mangiavo tra un biscotto e l'altro mi si
materializzavano sempre la solita parola.
Matrimonio.
Tutto si sarebbe congelato da quel momento? Il suo amore? I miei capelli?
Ma dopo vedevo solo il buio, come se quello fosse l'ultimo passo che una persona
compie prima di sparire nell'oblio.
Immaginavo tutto questo come una gara di vela. Ecco il matrimonio era la boa da
aggirare, ma non riuscivo ad immaginarmi minimamente un viaggio di ritorno, come
se la barca, una volta raggiunta la boa, avrebbe attraccato li per non muoversi
mai piú.
Mi mancava quella parte e per quello continuavo a vedere il matrimonio come una
boa.
Cosa sarebbe accaduto dopo un bel viaggio di nozze. Tutti avrebbero parlato di
noi due per un po’ ma poi saremmo tornati dalla vacanza. Io sarei tornato in
ufficio dove i miei colleghi mi avrebbero fatto i complimenti e gli auguri. Io
mi sarei riseduto davanti al mio computer e acceso i soliti programmi. E poi?
Poi cosa sarebbe successo? I programmi sarebbero cambiati? Qualcosa sarebbe
stato diverso? I colori delle cose? Il lavoro? Cosa?
Poi mi accorsi di essere in ritardo, presi la giacca ed uscii di corsa.
In ufficio la mia testa non cambiò atteggiamento. Ero spaesato ed inconcludente.
I miei pensieri continuavano sulla stessa linea d’onda della sera prima.
Dopo pranzo la testa mi scoppiava e presi mezza giornata di permesso senza un
motivo ben preciso.
Con la macchina mi avviai verso casa. Ma non avevo voglia di andarci così mi
diressi verso un centro commerciale poco lontano da dove mi trovavo.
Mi sarei distratto un poco. Forse.
Andai al supermercato del centro. Presi un carrello. Non ne avevo mai preso uno
prima d’ora, non ne avevo mai avuto bisogno. Solitamente mi bastavano i cestini
da portare a mano ma quel giorno mi sentivo in vena di comprare un sacco di
cose. Cosa di preciso non lo sapevo ancora.
Poco dopo mi ritrovai a saccheggiare praticamente tutti i reparti. Dopo una dura
battaglia di circa un’ora lasciai illesi solamente il reparto per bambini e
quello del giardinaggio.
Avevo il carrello pieno di tutto e di più.
Dopo una lunga fila alla cassa fu il mio turno. Cominciai ad appoggiare tutta la
mia roba sul trasportatore di cassa. Lo riempii tutto con cibo vario, pile, cd,
libri, cuffie, un phon. Piú riempivo il nastro trasportatore piú mi rendevo
conto che tutta quella roba mi era quasi completamente inutile. Mi sembrava di
svuotare un carrello di qualcun'altro. Dovevo essere entrato in una specie di
trance durante la spesa. Una trance micidiale che mi sarebbe costata cara anche
perché oltre a cose di ordinaria utilità avevo preso oggetti completamente
inutili come uno stereo portatile (ne possedevo già un paio), un telefonino
nuovo ed una serie di film in dvd dai prezzi osceni.
Tornato alla realtà da quel delirio mi ritrovai di fronte alla ragazza della
cassa che passava la mia roba. Una alla volta. Senza pietá.
Bip. 6,50€. Bip. 7,25€. Bip 45,00€. Bip. 13,15€. Bip 64,99€. Bip…
Panico.
Io non volevo quella roba. E non so da dove venne fuori quella voce dalla mia
bocca che parló alla ragazza della cassa. Mi sono dimenticato il caffé, dissi e
tornai all’interno del supermercato.
Dovevo scappare. Arrivare all’uscita senza acquisti senza farmi notare. Certo un
po’ di quella roba mi serviva ma l’avrei acquistata da un’altra parte, magari un
altro giorno quando sarei tornato in me.
Cercando di aggirare la cassa attraversai la zona libri. Lo sguardo mi cadde su
uno dei miliardi di best seller americani ultra pubblicizzati: il matrimonio in
dieci passi.
Quel titolo mi colpì a tale punto che dovetti fermare davanti alle centinaia di
copie.
Il matrimonio, pensai.
Volevo fuggire o era un semplice scappare? Solitamente sentivo la gente che
scappava dal matrimonio, io invece non sapevo ancora che fare. Sposarmi? E se
poi mi sarei pentito? Forse dopo mi sarei ritrovato a scappare anch’io. Chissà
che magari non mi sarebbe preso il panico prima di presentarmi in chiesa,
proprio come mi era appena successo davanti alla cassa.
Certo non era il paragone piú azzeccato, ma oramai la mia confusione aveva
raggiunto il culmine, solo di quello ero sicuro. Ed ero anche sicuro di non
dover dar più retta a tutto ciò che la mia mente tirava fuori in quel momento.
Ma ascoltarla era inevitabile, ed io continuai.
Non riuscivo proprio a capire cosa volessi in quel momento. Perché non potevo
continuare a fare la mia solita vita invece di tormentarmi su cosa avrei o non
avrei dovuto fare? Mi stavo giocando solo un brutto scherzo che però mi stava
facendo perdere la testa.
Cosa desideravo di più dalla mia vita. Io l’amavo ancora, di quello ne ero
sicuro, non avevo bisogno di nessuno dimostrazione perché anche lei lo sapeva.
Ma se ne ero completamente sicuro perché sentivo questi strani bisogni? Il
matrimonio. Cosa sarebbe mai cambiato in fondo, niente. Niente di niente. Era
un’inutilità assurda imposta dalla nostra società, quasi un obbligo
tranquillamente evitabile.
E poi, se un giorno fosse stata lei a decidere di lasciarmi, lo avrebbe fatto
anche se fosse mia moglie. Ormai centinaia di coppie divorziano. Meglio evitare
rischi allora. Meglio non sposarsi proprio.
Presi il libro davanti a me: il matrimonio in 10 passi.
Lo rigirai tra le mie mani e lessi la recensione dietro:
“il matrimonio. Il passo più importante della nostra vita. L’unione del corpo
con la coscienza: l’amore.
Dieci passi per un cammino senza ostacoli descritti dal più grande scrittore
degli ultimi anni…”.
Senza finire di leggere riposai il libro.
Fusione di amore, corpo e mente. Troppe parole per i miei gusti.
Lasciai il reparto libri e mi diressi verso l’uscita. Uscendo feci persino finta
di telefonare col cellulare per cercare di sembrare il più disinvolto possibile.
Una volta fuori andai subito alla macchina, senza neanche stare a guardare gli
altri negozi del centro commerciale.
Oltre a sentirmi inseguito mi sentivo anche un vigliacco per quello che avevo
fatto ma proprio non me la sentivo di spendere tutti quei soldi per cose
inutili.
Decisi che non sarei mai più tornato in quel supermercato.
In macchina chiamai i ragazzi per comunicargli la mia nuova decisione. Dissi di
trovarci al solito pub che avrei dovuto parlargli.
Poi alzai il volume dello stereo e me ne andai dritto a casa a dormire un sonno
profondo.
La sera al pub arrivai un po’ in ritardo. I miei amici erano già tutti li a bere
una birra e ad aspettarmi.
Appena mi presentai loro smisero di chiacchierare e cominciarono ad osservarmi
in attesa.
Non so cosa si aspettavano quella sera da me, forse una conferma alla mia
decisione di ieri, forse una data precisa. Sta di fatto che non dissi nulla e
così furono loro a farmi le prime domande. Mi chiesero quando sarebbe avvenuto
il grande passo, dove lo avrei fatto, se glielo avevo già detto. Come mi
sentivo. Alcuni mi dissero di essere invidiosi, altri mi facevano i complimenti.
Mi riempirono di domande alle quali io non sapevo rispondere. O forse non
volevo.
Cosí a tutte le domande risposi semplicemente che non lo sapevo.
Non lo so, dicevo.
Io non sapevo più niente in effetti.
Ma quando mi chiesero cosa allora li avessi chiamati a fare quella sera mi
accorsi che avrei dovuto comunque dire qualcosa in più. E così feci. Dissi che
non ero più sicuro e che avevo cambiato idea.
Non so bene il perché ma loro non reagirono molto bene. Sembravano realmente
stupiti di quel mio cambio di decisione. Rimasero li in silenzio, come se li
avessi traditi o dato una notizia tragica o qualcosa di simile. Ma cosa volevano
loro da me? Cosa significava quella strana reazione? Alcuni di loro non mi
guardavano neanche più negli occhi.
Un vero mistero. I giovani di oggi sono un mistero anche per loro stessi.
In fondo anche io ero un mistero per me.
Dopo il pub me ne tornai a casa e poi direttamente a letto con gli occhi aperti
nel buio a guardare il niente.
Quando sono solo la mia testa parte per la sua strada senza alcun limite di
velocità. Penso a mille cose e mille cose mi sfuggono al punto che lo sforzo è
doppio nel cercare di ritrovarle.
Poi però quando torno in me mi accorgo che io sono sempre io. Sono sempre uguale
a ciò che ero prima di un qualsiasi viaggio. I pensieri in fondo sono parte di
me, qualcosa che nasce e muore nella mia testa, nella mia anima. Sono i figli
miei che mi inseguono nel tentativo di darmi una scossa alla mia stabile vita.
Ma sono sempre parte di me.
Nel periodo successivo a quella piccola crisi interiore, cercai di stare il più
possibile in compagnia di qualcuno. Se non ero con la mia ragazza cercavo sempre
di essere con qualche mio amico. Non volevo stare solo per non pensare più a
niente affinché tutto sarebbe tornato normale. La mia vita in fondo mi andava
bene così, che scorresse sempre nei suoi soliti binari.
Forse ero io banale. Forse ero più morto che vivo, ma io speravo solo che
nessuno si sarebbe mai lamentato di tutto questo. Di me.
Fine