Testi critici di Luciano Caprile e Silvia Campese
GIACOMO LUSSO: VIAGGIO COME SCOPERTA DI SÉ
di Luciano Caprile
L’opera d’arte del nostro tempo si risolve sovente nel riflesso di un’indagine interiore. D’altronde la critica della realtà trova le prime risposte nell’intimo di ciascuno. “Viaggio dentro” è pertanto un titolo doppiamente indicativo dell’iter di Giacomo Lusso poiché riguarda il personale percorso di ricerca e la sua esplicazione in un fare che chiama direttamente in causa la pittura, la ceramica e alcune manifestazioni di carattere performativo tali da coinvolgere attivamente il pubblico.
Lusso si avvale di una chiave calligrafica che va a intingere straordinarie affinità nei crittogrammi delle tavolette di Ebla o in certe espressioni magiche ereditate dalla notte dei millenni.
D’altronde il “viaggio” deve iniziare dalle radici più profonde per poter offrire ricchezze di percorsi e occasioni di riflessione.
Nel primo capitolo, intitolato “I giardini dell’anima”, si incontrano quei dipinti che esibiscono la fioritura di contrastanti emozioni. Se la grande tecnica mista che acquisisce il nome della mostra diffonde intorno a sé un puzzle di pirotecniche magie eruttive ( su cui galleggiano “segni” di luminosa evidenza ), se Garden tree offre solchi in cui seminare speranze, Primavera a Bagdad è di contro una colatura di sangue trafitta da segni neri ( reliquie di lance o di spade? ) a cui il cono di luce piovuto dall’alto non porta sollievo. È questo dunque il ricorrente pensiero coltivabile? Se fosse così allora le letture cambierebbero e Giardino sospeso demanderebbe al blu del suo sfondo il profilo incerto di una New York castigata dagli attentati del fatidico 11 settembre 2001. Il fatto è che l’inconscio talora tende a portare a galla i momenti del terrore ammantandoli di una certa piacevolezza percettiva per farceli sopportare a ogni sobbalzo di reminiscenza. Così anche le Presenze nel giardino si dibattono nel dubbio e nel contrasto tra la sezione notturna formicolante di indecifrabili presenze e l’altra in apparenza più accogliente per via dei sinuosi frammenti azzurri che galleggiano nel rosso. Occorre pertanto approdare a Racconto Gaudì per incontrare il muro degli inquietanti responsi, privi di ogni palliativo di piacevolezza colorica, se si esclude la macchia vermiglia che scivola in basso. La luce insiste su ectoplasmi vaganti lungo l’arco concluso da un grigiore sordo, estroflesso dalla penombra; la luce determina le forme per poi dissolverle nell’ incompiutezza dei destini. Altri “giardini” ritornano col loro bagaglio di aeree speranze e cercano di attutire il deciso impatto visivo di All’improvviso e de La macchia, presenze non occultabili e non piegabili alla dolcezza del palliativo estetico: i segni che esibiscono hanno il sapore ultimativo di un imprimatur.
E veniamo alla sezione che ospita i “Racconti dentro” ovvero le stesse emozioni pittoriche trasmesse ai riti compositivi e narrativi della ceramica. Il significato tangibile di interiorità ci viene intanto magnificato da Racconto dentro, una composizione a forma di scatola che sa di reperto di scavo dal momento che non solo esprime indecifrabili grafie sulla sua superficie ma le ripropone e le rinnova, in una maniera ancor più misteriosa, nei rotoli che traspaiono al suo interno. Invece i Racconti verticali, dal profilo di tronco d’albero, hanno di conseguenza un andamento totemico se li si raggruppa per potervi indovinare la storia sconosciuta, perché intima e mai svelata, di ogni persona e di ogni tempo. E il significato di un ritrovamento occasionale si accresce nella piastra sbrecciata di Racconto arcaico dalle escrescenze dorate o in Racconto sacro dal distillato ritmo narrativo. Con Scultopignattaracconto si celebra il valore alto della contaminazione dove l’oggetto d’uso comune entra in felice, armonica simbiosi con l’atto più puramente creativo diventandone il fulcro provocatorio; in tal modo l’accadimento casuale assume il ruolo non sempre facilmente percepibile del destino. Infine Dove nascono le pietre di tuono esalta compiutamente il gesto che si rivolge a una storia sempre ripetibile e sempre nuova dove il rito e il mito si incontrano, si confrontano e si dispiegano in occasioni di conoscenza.
Tale comportamento introduce lo spazio destinato alle “Installazioni”. Procedendo in ordine di tempo incontriamo Il mio biancoblu, inaugurato nel 2005 con un allestimento di vasi impilati e con le loro rotture da parte dell’artista secondo un cerimoniale di sacrificio e di esaltazione liberatoria. Costruire e rompere diventa in tale contesto la stessa cosa o, meglio, rappresentano due aspetti dello stesso tragitto creativo e purificatore; il medesimo processo si svolge in natura col fertile rapporto che lega in modo indissolubile la morte alla vita.
I Racconti al vento del 2007 si riconoscono invece nell’ostensione di tante formelle di ceramica azzurra legate l’una all’altra in una sequenza ascensionale come fossero bandiere di messaggi da leggersi per contiguità, per assonanza dispositiva e formale, per un istintivo rapporto tra graffito e graffito, tra gesto e segno, come se i comportamenti di ciascuno potessero determinare il senso mai definitivo dell’opera, dal momento che il suo divenire è demandato all’eco rinnovabile e trasmissibile dal vento.
Approdiamo ora al Grande racconto centofiori esposto in estate al Priamar di Savona.
Le cento ciotole allineate sono i tasselli che permettono a Giacomo Lusso di colloquiare con gli altri artisti che sono intervenuti nell’azione, con se stesso e con tutti coloro che, partecipando all’evento, sono riusciti a trovare una chiave interpretativa utile a ri-conoscersi, nel senso di conoscersi una seconda volta e di scoprire nuovi aspetti della propria interiorità alla fine del percorso esplorativo ricco di spunti riflessivi, di attrazioni visive, di scambi percettivi.
A questo punto il “Viaggio dentro”, lungi dall’essere esaurito, è invece solo all’inizio poiché la conoscenza è un girare intorno alle cose per capirle sempre meglio e per capirsi.
Pertanto con Giacomo Lusso occorre, a questo punto, ricominciare daccapo.
ATTESE DI LUCE
di Silvia Campese
La lettura dell’opera artistica di
Giacomo Lusso
coincide con un viaggio profondo nei meandri della mente umana. Un
percorso che
sembra ripercorrere la genesi della storia dell’uomo attraverso
simboli, epifanie,
ombre e colori, sempre alla ricerca della Conoscenza.
Il viaggio può prendere il via
accostando l’occhio
ai pertugi nella ceramica lacerata della serie “I
racconti dentro” che permettono di spiare, al di là
dell’involucro esterno, un complesso mondo interiore. La
sensazione è quella
d’entrare in una grotta, un microcosmo, governato da sistemi,
ritmi, linguaggi
autonomi.
Ogni minima piega che la ceramica assume
nel ventre
dell’opera ha un proprio significato che l’occhio esterno
fatica comprendere. La
luce penetra dal pertugio ma l’ombra avvolge le sagome, i segni,
i contenuti
del “Racconto”. Ě l’origine della Conoscenza, del
percorso individuale
dell’artista verso la ricerca dell’infinito, del mistero.
Una ricerca che coincide
con l’anelito naturale dell’essere umano verso la
comprensione. La storia
personale si intreccia con quella universale per divenire foriera di
messaggio.
Un’opera dal significato
profondamente filosofico quella
di Giacomo Lusso, che concettualmente può essere accostata al
pensiero di uno
dei maggiori maestri del mondo classico: Platone. Nel “Mito della
Caverna”,
all’interno della “Repubblica”, Platone descrive i
gradi della conoscenza
dell’uomo. “Considera degli uomini chiusi in una
specie di dimora
sotterranea a mo’ di caverna, avente l’ingresso alla luce e
lungo per tutta la
lunghezza dell’antro…e che la luce di un fuoco arda dietro
di loro, in alto e
lontano” (traduzione Francesco
Gabrielli).
L’uomo, che per lungo tempo ha avuto
la possibilità
di vedere solo ombre riflesse, una volta libero sarà in grado di
osservare il
mondo reale solo attraverso diversi passaggi.
“Egli vedrebbe
più facilmente i
corpi celesti e il cielo stesso di notte, guardando la luce delle
stelle e
della luna…e per ultimo il sole”(Platone, “
Così avviene nell’opera di
Lusso. Dai “Racconti dentro” il passaggio
si ha
con “I racconti verticali”, opere in
ceramica, simili a totem, dove il contenuto che prima era rinchiuso
all’interno
dell’opera è ora narrato in senso verticale. I colori si
fanno più accesi e le
incisioni si alternano a cocci applicati, che ripetono tre segni,
simili a
lettere dell’alfabeto greco capovolte.
Nell’opera pittorica la ricerca
della luce e della
Conoscenza diviene elemento esplicito. Ě una luce epifanica quella che
pervade
le tele dell’artista. Il passaggio dal buio al chiarore è
profondamente
travagliato e lo dimostra una serie di quadri caratterizzati da un
fondo nero
ruvido, lavorato con varie tecniche, tra cui la spatola, con
l’inserimento di
polveri e sabbia.
Nell’opera dal titolo “All’improvviso
Situazione simile si crea in “Racconto
di ricordi” dove la costruzione del quadro avviene intorno
all’incontro di due assi perpendicolari che formano una croce. Al
centro
dell’incrocio una forma circolare raccoglie elementi segnici e
punti di
bagliore; in alto a sinistra muovono figure nere, simili a fiammelle,
mentre in
basso l’opera termina con tratti di macchie rosse che completano
la base della
croce.
Più criptica la lettura di “Racconto nero”, dove la tela è
interamente pervasa da uno sfondo nero
su cui s’accendono diversi fulcri di luminosità. In basso
a destra un solo punto
rosso che ricorda la non soluzione del dramma esistenziale.
Il percorso artistico sembra trovare una
nuova via nella
“Notte nel giardino”, dove il fondo
nero permane solo ai lati, mentre la tela è occupata da elementi
variopinti
ripetuti all’infinito.
Nel “Giardino
dei segni trascendenti” i colori si fanno più accesi
in una stesura
pittorica a vortice che traduce un forte senso di dinamismo. Diversi
punti di
luce si accendono sulla tela ma uno, in particolare, spunta
dall’alto.
Quale la fonte, l’origine? Ancora un
richiamo all’opera
di Platone e al “Mito di Er”, sempre all’interno
della “Repubblica”. Er è un
soldato che, morto in battaglia, si risveglia dal sonno eterno e
ricorda il
cammino delle anime alla fine della vita. Er parla ancora di una luce: “donde
vedevano dall’alto distesa per tutto il cielo e la terra una luce
diritta come
una colonna, similissima all’arcobaleno, ma più fulgida e
pura”.
Ne “Il
giardino dell’anima” Giacomo Lusso sembra superare il
dramma esistenziale
per entrare in una dimensione di luce trascendente, simile a quella
descritta
nel mito di Paltone, dove la stessa materia pittorica si stratifica per
narrare
con maggior concretezza la leggerezza dell’anima. Sino alla
completa
trascendenza raggiunta in “Garden
sospeso” dove si alternano densità e rarefazione in
un gioco di sfumature e
in una esplosione della materia verso una danza universale. In questo
trionfo
di vita, Lusso non ci dà una risposta al dramma esistenziale, ma
ci apre la via
ad una riflessione e ad uno stato d’attesa immanente, immersi
nella luce.