Analisi ambientale della sintesi del rosa-ossido: studi LCA & EATOS - Tesi di diploma IUSS di Ravelli Davide
Presentazione dello studio
Negli ultimi tempi, con la nascita della chimica verde, accanto ai classici parametri di valutazione di una reazione, che prendono in considerazione le performance chimiche (ad esempio: resa, purezza, eventuali stereoselettività, ...), si stanno facendo strada nuovi indicatori di carattere ambientale, come risultato di una presa di coscienza da parte della comunità scientifica e, in termini più generali, della società dell’importanza del rispetto dell’ambiente.
Parallelamente alla comparsa di questo nuovo approccio, si è verificato un
analogo sviluppo a livello degli strumenti necessari per effettuare questo
genere di valutazione, molti dei quali nascono da
contesti differenti, ma che presentano come aspetto comune la determinazione di
valori numerici (e, quindi, oggettivi), volti alla
quantificazione di quello che è il danno che un prodotto e/o un processo causano
nei confronti del mondo esterno. La raffinatezza di tali metodi di calcolo va di
pari passo con la loro complessità e, in questo senso, uno degli approcci
più completi ed esaurienti è quello previsto da LCA (Life Cycle Assessment):
tale metodo prevede la valutazione di tutti gli input e
gli output coinvolti in un certo sistema. Sebbene gli aspetti chimici sottesi a
questo tipo di valutazione siano numerosissimi, LCA ha
trovato scarsa applicazione in questo campo.
La chimica pura ha comunque trovato delle valide alternative in questo senso,
basandosi su metodi di calcolo semplificati (e decisamente meno esigenti dal
punto di vista delle informazioni richieste), come EATOS. Sebbene questo
programma tenga in considerazione informazioni importanti, come quelle legate
alle frasi di Rischio e di Sicurezza (R- & S-Phrases), alla tossicità, ecc.
delle sostanze, esso trascura completamente gli apporti energetici dei processi,
nonché tutte le fasi preliminari e successive all’oggetto dello studio. Il fatto
di trascurare tutti gli aspetti appena chiamati in causa limita ovviamente le
possibilità di confronto, soprattutto in quei casi nei quali si effettuano
reazioni simili (al limite, uguali), modificando solo alcuni aspetti relativi
alle condizioni sperimentali.
In ambito chimico, un tema molto spesso dibattuto consiste nell’indicare
determinate famiglie di reazioni come “intrinsecamente green”, intendendo con
questa espressione il fatto che tali processi siano caratterizzati da un
limitato impatto ambientale. In questo senso, la fotochimica, attraverso
l’utilizzo della radiazione luminosa, viene spesso indicata come un approccio di
tipo sostenibile.
L’impiego del fotone, un reagente cosiddetto “pulito”, permette, infatti, di
introdurre un’elevata quantità di energia nel sistema e di evitare quindi il
ricorso a reattivi aggressivi e/o a condizioni di reazione particolarmente
drastiche. D’altro canto, tuttavia, secondo un approccio più esaustivo
(come quello previsto da LCA), sarebbe necessario valutare il “costo da pagare”
per introdurre la radiazione luminosa all’interno dell’ambiente di reazione:
solo in questo modo, infatti, sarebbe possibile avere la certezza del reale
vantaggio (o svantaggio?) offerto dal ricorso alla fotochimica.
Per tentare di dare una risposta a questo interrogativo, è stata presa in
considerazione una classica reazione, come quella di conversione del
citronellolo in rosa-ossido (cfr. Figura 1), un importante intermedio nella
sintesi di svariati profumi, della quale esistono diverse varianti sia
fotochimiche, che termiche. Tale processo, inoltre, è noto e impiegato (caso
molto raro) nella sua variante fotochimica anche in ambito industriale e si
trova spesso al centro di numerosi lavori di carattere accademico; esistono,
poi, svariati brevetti che prendono in considerazione tale conversione.
Figura 1 - La conversione da β-citronellolo a rosa-ossido,
adottata come oggetto dello studio.
Lo scopo di questo lavoro, quindi, è quello di effettuare un confronto tra sei
differenti processi sintetici, tre fotochimici e tre termici, per cercare di
capire quali sono i punti di forza e gli svantaggi di ciascuna delle alternative
analizzate. In questo modo, sarà così possibile valutare gli aspetti
maggiormente impattanti delle sintesi in esame e trarre qualche indizio per
cercare di capire se la fotochimica può effettivamente rappresentare una
metodologia intrinsecamente green per realizzare reazioni chimiche.
Quattro delle alternative in esame prevedono tre fasi
successive: nella prima si ha l’ossidazione del substrato ad una miscela di due
idroperossidi tramite l’impiego di ossigeno singoletto, nella seconda si procede
quindi alla riduzione dei prodotti ad una miscela di glicol ricorrendo a solfito
di sodio e, per finire, si adotta una ciclizzazione acida, che permette di
ottenere il prodotto finale. Le quattro vie differiscono per le modalità di
generazione dell’ossigeno singoletto; le prime tre adottano una
sensibilizzazione fotochimica dell’ossigeno tripletto attraverso un opportuno
sensibilizzatore (rosa bengala o un complesso di rutenio), mentre l’ultima
ricorre ad una reazione termica, che adotta acqua ossigenata come agente
ossidante e un catalizzatore a base di Molibdeno per la generazione
dell’ossigeno singoletto. Le ultime due varianti, al contrario, prevedono un
singolo passaggio e fanno ricorso, rispettivamente, ad un processo catalizzato
da CuCl (in cui l’agente ossidante è il tert-BuOOH) e ad una metodica che
ricorre a tetrossido di Pb come ossidante.Presentazione dello studio Negli
ultimi tempi, con la nascita della chimica verde, accanto ai classici parametri
di valutazione di una reazione, che prendono in considerazione le performance
chimiche (ad esempio: resa, purezza, eventuali stereoselettività, ...), si
stanno facendo strada nuovi indicatori di carattere ambientale, come risultato
di una presa di coscienza da parte della comunità scientifica e, in termini più
generali, della società dell’importanza del rispetto dell’ambiente.
Per maggiori dettagli: Sintesi dello studio (PDF)