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essere testimoni di carità oggi

OBIETTIVO GENERALE : Riscoprire gli ideali fondamentali del volontariato vincenziano e attualizzarli nel nostro tempo.

PRESENTAZIONE:

Cari giovani volontari vincenziani, il punto fondante del programma formativo di quest’anno è in quella parolina che trovate nel sottotitolo: oggi.
Le parole di padre Menichelli mi sono apparse le più adatte ad introdurre questo tema: l’oggi non è nostro, ma è solo nell’oggi che si misura il nostro amore, non in quello che saremo capaci di dare domani, né in quello che ci ricordiamo di aver già dato.
Oggi siamo chiamati ad amare, oggi siamo volontari vincenziani.
Ma dalle parole di padre Menichelli sembra venire una sollecitazione ancora più forte: chi vive il tempo come dono di Dio, impara a riconoscere “i propri tempi”. E chi riconosce i propri tempi porta frutto. Ma come si porta frutto? In un sol modo: morendo per l’oggi, come il seme di cui ci ha parlato Gesù.
Essere testimoni di carità oggi significa dunque essere pronti a dare la vita per l’oggi.
Cosa diversa dall’ essere i kamikaze della carità, del tipo: non conta ciò che facciamo, l’importante è che facciamo molte cose e che ci stanchiamo!
Bisogna saper riconoscere il nostro oggi ed intervenire con il carisma che ci appartiene.
Ma in un mondo così veloce, dove il domani si confonde con l’oggi e ieri è già l’altro ieri; in un mondo così globalizzato dove il proprio vicino di casa è uno sconosciuto a confronto con il Presidente degli Stati Uniti d’America; in un mondo così complesso che per fare carità bisogna imparare anche a scrivere i bilanci sociali e capirne di Terzo Settore Economico... in un mondo così, essere vincenziani sempreverdi, attenti a tutti i piccoli come lo fu San Vincenzo, non è proprio facilissimo.
Eppure è questo il tempo che Dio ci ha regalato, è qui che è stato tracciato il nostro personale cammino di salvezza. E allora dovremo morire per l’oggi. Così come il seme entra in un terreno fino ad essere un sol corpo, per poi germogliare; così noi: per germogliare dobbiamo entrare nel corpo del presente e tirare fuori il bello, che pure ce n’è, e in abbondanza.
Senza pregiudizi di sorta, dobbiamo entrare nelle situazioni presenti, che dì fatto esistono: complessità, velocità, globalizzazione, terzo settore, e tirare fuori un Vincenzo Evergreen!
Non è vero il detto, nato dalla sfiducia nel mondo: le parole lasciano il tempo che trovano, perché ci sono parole che sono proprie di un tempo, che lo incarnano, e ci sono azioni giuste che ne fanno seguito.
Cristo parlava di seminatori, campi, gioghi, talenti, padroni, servi, pubblicani, dottori e farisei perché era incarnato nel suo oggi, così come le sue parole. Sarebbe assurdo se noi, duemila anni dopo, nelle nostre riunioni parlassimo ancora di seminatori, gioghi, campi, padroni, servi... dobbiamo parlare di imprenditori, lavoratori dipendenti, lavoratori a nero, industrie, istituzioni pubbliche, multinazionali, raccomandazioni, ingiustizie sociali, extracomunitari, sfruttamento delle donne, sessualità intesa come gioco, internet...

E’ qui che, dobbiamo cercare il bello! Buona ricerca!

Angelo Moretti

INTRO: LETTERA A FILEMONE

lettura della lettera di S. Paolo a Filemone (fm)

Commento a cura di P. Riccardo Tonelli
È, questo, un ultimo e commovente biglietto che Paolo, ormai «vecchio e prigioniero», indirizza a Filemone, un amico ricco e generoso, un collaboratore nell’annunzio del vangelo, nella cui casa ­ come si dice nell’indirizzo e nel saluto iniziale ­ si radunava una comunità di cristiani, anche se ignota è la città. È da notare che Archippo citato in apertura e i nomi dei fedeli elencati nella conclusione dello scritto sono menzionati anche nella lettera ai Colossesi (4,10-12.14.17): si è, così, ipotizzato che Filemone fosse un cristiano della città di Colosse, nell’Asia Minore. A lui l’apostolo chiede un favore abbastanza sorprendente.

Durante la sua carcerazione ­ forse erano gli arresti domiciliari a Roma agli inizi degli anni 60 (Atti 28,30-31) ­ Paolo aveva incontrato e «generato» alla fede cristiana uno schiavo di nome Onèsimo. Costui era fuggito proprio dalla casa di Filemone e, secondo il diritto romano, doveva essere restituito al padrone, che ne avrebbe deciso la sorte. La proposta di Paolo è differente rispetto ai consigli rivolti agli schiavi nelle altre lettere (1Corinzi 7,21-24; Colossesi 3,22-25; Efesini 6,5-9; Tito 2,9-10) ed esprime la nuova visione che il cristianesimo stava introducendo nelle relazioni sociali. Infatti lo schiavo, che pure ha mancato nei confronti del suo signore, deve essere accolto come «fratello nel Signore», oltre che come uomo.

Sono interessanti anche gli argomenti addotti dall’apostolo. Egli fa leva sulla fede comune: non dà ordini come pastore e maestro. Sottolinea, poi, il fatto che lo schiavo è divenuto un cristiano e, come tale, non è più un estraneo o un dipendente, ma un fratello. Infine si fa appello al legame di riconoscenza che Filemone ha nei confronti di Paolo: con la conversione alla fede egli è debitore all’apostolo dell’intera vita. Proprio per queste ragioni Onèsimo diventa una presenza preziosa per il suo padrone: nel versetto 11 si fa un curioso gioco di parole sul valore greco del nome Onèsimo, che letteralmente significa «utile»; naturalmente è un’“utilità” ben più importante di quella materiale.

Tutto questo breve scritto è attraversato dal calore dell’affetto, non solo per l’amico Filemone ma anche per Onèsimo, definito come «il mio cuore», anzi, alla lettera, “le mie viscere”, cioè una persona “carissima” (versetto 12). C’è persino una punta di umorismo quando Paolo parla del conto aperto con Filemone sul quale fa mettere anche questo piacere, che ora sta chiedendogli, e aggiunge l’impegno autografo di soddisfare in futuro il debito (versetto 19). Paolo esce di scena storicamente con questo delizioso biglietto, simbolo di amicizia e di libertà. C’è nel saluto finale un bagliore di speranza, quando l’apostolo chiede di tenergli preparato un alloggio, nella speranza di essere restituito alla comunità cristiana (versetto 22). Chissà se il desiderio si realizzò ­ ma è improbabile ­ prima della sua morte sotto Nerone imperatore.

SCHEDA BLU: LA VITA E' ADESSO

Obiettivo: prendere coscienza di alcune caratteristiche della realtà in cui viviamo

Idee di fondo:

“Bisogna ammetterlo: noi siamo sempre tentati di mancare al nostro presente sia perché ne diamo, di fatto, un’immagine idealizzata, ricalcata più o meno in base ai compiti del nostro ambiente affettivo; sia che ci ripieghiamo su un passato, in base al quale denigriamo il nostro oggi; sia che ci proiettiamo verso un avvenire, che dovrebbe evitarci il duro affrontare il presente” ( p. Giuseppe Menichelli).

Questa scheda non si propone di risolvere le ambiguità del presente, ma di offrire strumenti per comprenderlo. Troppo spesso infatti lo giudichiamo senza la giusta conoscenza dei fatti e delle situazioni che lo caratterizzano.

E’ il nostro oggi quello che il Signore ci ha chiamati a riempire della nostra gioia di figli, è questo il tempo che ci è dato per essere testimoni del suo amore. Se non l’amiamo difficilmente porteremo in esso Cristo, se non lo conosciamo a fondo nelle sue molteplici dimensioni, d’altra parte, rischiamo di lanciare dei messaggi che restano sospesi in aria, perché non attenti alla realtà del nostro oggi.

SCHEDA VERDE: VINCENZO EVERGREEN

Obiettivo: Rileggere il pensiero di San Vincenzo nei suoi tratti più "rivoluzionari" e la sua attuazione nelle esperienze della Famiglia Vincenziana.

Idee di fondo:

 “S.Vincenzo non era solo un riformatore: era un innovatore ed anche un creatore.Quale arditezza nella creazione delle Figlie della Carità mandate senza velo in mezzo ai malati e perfino tra i soldati! Quale arditezza nella creazione dei preti della Missione i quali non sono religiosi pur pronunziando i tre voti di religione! Quale arditezza nelle sue imprese di carità: i trovatelli, le province rovinate, l’ospedale generale… Opere immense che richiedevano risorse incalcolabili e grande concorso di persone disinteressate!” (da: P.Coste “Il Signor Vincenzo” Vol.III pag.311)

Siamo noi persone disinteressate in grado di attualizzare oggi, nella nostra società, l’esempio del nostro Santo?

La storia ci mostra numerosi esempi di uomini e donne che ci sono riusciti, valorizzando e reinterpretando con la propria vita l’esempio di S.Vincenzo.

Rileggiamo le loro esperienze accogliendole come sfide per diventare veri operatori di carità.

SCHEDA ROSSA: CARITA’ & CO.

Obiettivo: Orientarsi tra gli strumenti e le strutture che intervengono sul disagio sociale oggi

Premessa:

Può apparire strano, dedicare una scheda specifica del programma formativo di quest’anno sociale alla carità, (secondo l’accezione datane nel sottotitolo) come se questa tematica non fosse di per sè, l’elemento costitutivo delle nostre riunioni, il sale del nostro agire, il fine ultimo della ns. esistenza terrena e ultraterrena; inoltre, come c’insegna S. Paolo nell’inno alla carità (1Cor.13,1-13) essa è una dimensione interiore che caratterizza tutto il ns. essere, prima ancora che il ns. operare di gruppo, ma…(c’è sempre un ma nelle cose importanti!) noi l’abbiamo fatto. Il perché è presto spiegato.

Si può parlare concettualmente di carità e dintorni, possiamo cimentarci nell’operare secondo carità, si può discutere come ci si perfeziona nella carità, ma il punto essenziale è che essa va vissuta in tutte le sue forme e secondo lo spirito dei tempi.

Ciò è scontato e chiunque vive già, o s’accosta ad un gruppo di volontariato di ispirazione cristiana come il nostro, sa di fare i conti con la carità. Ma verificare la nostra concezione, la nostra realizzazione di carità è utile, perché è la riprova necessaria di un autentico cristianesimo incarnato, oggi come ieri, domani come oggi ( anche se oggi si preferisce parlare di solidarietà più che di carità).

La presente scheda c’è d’ausilio per verificare la nostra carità personale e di gruppo.

In questi tempi in cui anche muoversi nella solidarietà organizzata non è facile, è la carità a fare la differenza tra il gratuito ed il non gratuito: ci consente di capire se dietro al non profit c’è il magnamagna camuffato o se dietro al terzo settore economico c’è la nuova dimensione odierna della carità concreta. E la carità che ci scuote, ci interroga invitandoci a prendere posizione o solamente coscienza della realtà odierna: vogliamo restare volontari arroccati sulle nostre posizioni, volontaricchi, o diventare gruppi-cooperative-imprese perchè purtroppo il settore sociale va così?

Per i vincenziani e per ogni cristiano è la carità che ci accomuna e ci distingue dal resto degli operatori sociali!

Ma una domanda potrebbe sorgere, allora perché tante differenziazioni caritative anche nella Chiesa? Lasciando la spiegazione teologica agli esperti, ci limitiamo a fare un paragone: la carità è come un bosco. Il colore verde è la costante per indicare un bosco rigoglioso, ma a ben guardare al suo interno ci sono diversità di alberi che tutti insieme ne formano l’unità. In altre parole, il fatto che ci siano faggi o abeti o piante di diverso fusto, non incrina l’unità del bosco, anzi è proprio il capire la diversità di cui è composto che ci fa arrivare ad una conclusione sconcertante: quanto è grande la natura! Parafrasando: quanto è grande Dio! Infatti, la Sua grandezza la si coglie più facilmente nel comprendere le tante meravigliose opere di carità che da Lui prendono vita, che a Lui rendono gloria! Ecco, capire la carità non equivale a capire un concetto, un bel discorso o un giro di parole e nemmeno è fare un’analisi scientifica da biologi: capire la carità significa cogliere l’origine di ciò rende verde l’intero bosco, anche con sfumature diverse!

Con questa scheda si faremo una carrellata quasi scientifica della carità e dei segni di carità presenti nel mondo dell’impegno sociale, senza pretendere di dare una visione onnicomprensiva di tutto ciò che si muove in quest’ambito, bensì fornendo gli strumenti affinchè ogni gruppo, locale e non, guardi il bosco e si chieda: “ma noi che albero siamo?”

Tali suggerimenti perseguono anche un’altra finalità: portare ciascun gruppo a domandarsi: “ma vuoi vedere che diventiamo noi i precursori di nuove aree da reinboschire?”

Saranno boschi urbani, di montagna, di periferia, ma di sicuro in un mondo inquinato come il nostro, in cui respiriamo male, siamo chiamati a questa impresa! Fuor di metafora, siamo chiamati, in un mondo in cui l’anidride carbonica delle povertà aumenta, a impiantare nuovi e vigorosi alberi che producano l’ossigeno della carita!

Così come dal congresso nazionale di Napoli (aprile 2002) venivamo invitati a scrivere “nuove lettere a Filemone”, per dare senso concreto e profetico al nostro agire di tutti i giorni, questa scheda s’inserisce nel programma dell’anno sociale 2002-2003 per stimolare tutti noi a prendere coscienza:

1)      della carità come valore fondante del nostro agire sociale,

2)       dei soggetti vecchi e nuovi che operano nel variegato mondo della carità-solidarietà,

3)       dell’attualizzazione dei vincenziani come operatori di carità,

4)       della vocazione alla carità cui ogni uomo è chiamato, secondo il proprio progetto di vita!

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