GIANNI
GALASSI
E X T R A L I
G H T
Fotografie 2002 –
2006 Roma,
Museo
Nazionale di Palazzo
Venezia
31 gennaio – 25 febbraio 2007
A cura di
Miriam
Castelnuovo
Soprintendenza Speciale
per il Polo Museale Romano Soprintendente
CLAUDIO STRINATI Ufficio Mostre
MARIO DI BARTOLOMEO Allestimento
SILVANO CICCOCELLI
Col patrocinio del Comune di Roma
Assessorato alle Politiche Culturali
Giovedì 1 Febbraio 2007 Gianni
Galassi,
la luce come un pennello
ed è “Extralight”
Extralight. Il gioco di
parole del titolo, che sembra assegnare alla luce un abito da
gigante,fuori misura, è la chiave più giusta per introdurre questa
mostra, curata da Miriam Castelnuovo, che chiama in scena fino al 25
febbraio nella sala del refettorio di palazzo Venezia, Gianni Galassi, 52
anni, un fotografo, tra i più intriganti della sua generazione, che usa
appunto la luce come un pennello.
Il suo obiettivo non inquadra mai volti o figure umane, quelli della
cronaca in presa diretta e del ritratto sono versanti-spiega- fin troppo
sfruttati, ad allenare il suo sguardo sono piuttosto le soluzioni della
pittura e delle avanguardie. Per questo fotografa solo superfici
apparentemente inerti di complessi industriali, gabbie di ponteggi,
facciate e scorci di palazzi, appostandosi all’alba in cerca della luce
più giusta, che poi osserva e registra in azione, quando scolpisce lo
spazio su cui si posa, ne moltiplica le rifrazioni, la magia, l’infinita
tavolozza da cui di volta in volta sceglie ed evidenzia i colori.
Può essere una scalinata che le proiezioni d’ombra del sole su una
ringhiera trasformano in una pelle di zebra. Un angolo di cantiere dove
l’ombra disegna sull’intonaco ocra graffi e strisce come in una tela
di Burri. O uno scorcio del portico che incornicia il porto di
Civitavecchia: l’architettura brilla quasi emanasse luce propria contro
un cielo cupo e basso, suggerendo lo stesso senso di spasamento ed attesa
di certi quadri metafisici. O il campionario di oggetti di un mercatino,
che occupa surreale l’inquadratura, come in una tela di Carrà. Danilo Maestosi
Venerdì
9 Febbraio 2007 La
mostra Immagini metafisiche, reinventate: acciaierie, depositi, mobili
cambiano anima Galassi,
le forme leggere A
Palazzo Venezia sessanta opere del grande fotografo
Quasi
una metafisica della post-produzione. O viceversa. Aspettare che luci e
ombre si dispongano naturalmente seguendo una precisa «time-line»,
fotogramma dopo fotogramma (ma se fossero immagini in movimento,
probabilmente, sarebbe lo stesso), cercando il momento giusto per
impressionare la pellicola. Si ricompone sulle superfici di una vecchia
fabbrica abbandonata o sui ponteggi di un cantiere, la luce cercata da
Gianni Galassi nelle sue fotografie, e portata in mostra con ExtraLight,
la personale in corso a Palazzo Venezia, curata da Miriam Castelnuovo
(sala del Refettorio, via del Plebiscito 118. Ingresso libero, 10-19;
lunedì chiuso. Fino al 25 febbraio).
Che siano le acciaierie di Terni o un qualsiasi deposito edile di Formello,
magari i serbatoi targati Montedison di un complesso industriale a
Maccarese o, perché no, i comodini di un antiquario di Nizza, l'iter d'
osservazione è sempre lo stesso: perdersi in un piano metafisico,
appunto, dell' oggetto fotografato, per poi rintracciarne la reale
funzionalità. Così le sessanta immagini a colori e in bianco e nero,
firmate da Galassi, raccontano di fili e centrali elettriche, di legni
abbandonati che acquistano un nuovo significato manipolati solo dall'
immaterialità dei fasci di luce. E lo fanno richiamando la tecnica della
costruzione video cine-televisiva, ma soprattutto il registro espressivo
delle avanguardie pittoriche. L' obiettivo fotografico di Galassi insegue
il pennello di Carlo Carrà, De Chirico (sfiora Magritte), calcando sulle
tonalità del rosso o desiderando quella specifica angolazione dell'ombra.
La luce gioca anche con le impalcature, le scalinate e le travi, si
inserisce tra le fessure, rifrange, creando strani rimandi a strane figure
geometriche, tra i quali l'occhio inizialmente si confonde. Il fotografo
alla ricerca di geometrie studia l' inquadratura, attende, e Galassi
decide prima cosa, e dove, andare a osservare. Stringe su un particolare
oppure, ancora, tara l' obiettivo per catturare un intero cantiere. Anche
luoghi a prima vista immobili, silenziosi, più o meno vuoti, dominati dal
cemento e dal metallo, non possono resistere alle luci e ai chiaroscuri e
mutano aspetto. Gianni Galassi è ancora lì, per indagarli e studiarli. Simona
De Santis
INTRODUZIONE
al catalogo
di
Claudio Strinati
Questa mostra presenta un aspetto rilevante
dell’arte di Gianni Galassi, che l’artista stesso tende a considerare
come una vera e propria scoperta di una sorta di “geometricità
preterintenzionale” nello spazio costruito, rintracciabile
dall’osservazione del fotografo capace di strutturare il suo lavoro
riorganizzando le cose esaminate secondo una prospettiva di armonia e di
organicità. Galassi, senza artifici grafici, ritaglia particolari
colossali o piccolissimi da strutture che sembrano contenere già in sé
l’ordine della visione in una sorta di inevitabile potenzialità, per
cui le cose e gli spazi formulati dal mezzo fotografico assumono una
dimensione di paradossale Iperrealismo che si connette naturalmente con la Metafisica.
E’ una via alternativa all’“effetto speciale” perché lo sembra ma
non lo è,e chi osserva le
immagini è indotto a fare un percorso inverso ritornando verso la cosa
reale per ricomporla nella sua mente ma senza perderne quella struttura
segreta che l’artista vi ha estratto.
La verità sembra un artificio, e questo è ottenuto dall’artista per lo
più tarando la macchina con una luce di volta in volta diversa, ad
esempio non attivando, in certe foto cruciali, il bilanciamento del bianco
per cui le luci sembrano dirottate verso una manipolazione assoluta
dell’immagine che è, invece, rappresentata senza forzature. E’
logico, però, come in un’ottica del genere emergano potentemente le
“dominanti” che spiazzano chi osserva e lo trascinano oltre
l’orizzonte di attesa prevedibile.
C’è, così, in Galassi una tendenza a privilegiare una tipologia di
sguardo che, in qualche modo, “raffredda” le immagini spostando tutto
verso una immobilità che sembrerebbe contrastare non poco con la sua
storia di artista viaggiatore, intento a osservare cose e persone
spostandosi e soffermandosi rapidamente per passare sempre oltre. E
tuttavia questi due momenti non sono così distanti e l’impulso di
bloccare energicamente la percezione, esaltando la stasi e l’ingigantimento
della vista è, sostanzialmente, una esperienza di viaggio interiore
attraverso una ben precisa “idea” dell’immagine, che segna un punto
di notevole maturità in questo artista colto e consapevole di sé.