GRUPPO  FOTOCINE   "CONTROLUCE"  Vercelli

L'AUDIOVISIVO   FOTOGRAFICO    -  A cura di Marco Bosco

10°  Parte


 

Parliamo di MUSICA      (La colonna sonora)

 

Parliamo di musica in club fotografico? Questo potrebbe essere come discutere di giardinaggio al circolo dei canottieri, allora devo spiegarmi meglio.

Il nostro Gruppo ha la grande fortuna di avere al proprio interno le svariate anime che compongono l’universo della fotografia, ovvero i vari aspetti pratici e teorici che conducono i soci dalla semplice dissertazione critica alle molteplici forme espressive legate al mondo delle immagini. Ecco quindi le mostre in bianco e nero o colori, le sperimentazioni, la visione di diapositive, le proiezioni ed i diaporami.

E proprio quest’ultima disciplina, che per semplicità e correttezza chiamerò “audiovisivo fotografico”, sarà l’oggetto delle considerazioni a seguire, rivolte principalmente all’uso della colonna sonora quale elemento trainante per la presentazione di immagini.

In un audiovisivo fotografico, troppo spesso ci si dimentica, o più semplicemente non si dà il dovuto risalto, a questo aspetto fondamentale.

Più volte si è ricordato che fondamentalmente lavori di questo tipo sono composti ed analizzati secondo tre parametri principali: fotografia, colonna sonora e regia. Queste componenti devono rivestire un ruolo di eguale importanza; la mancanza o lo scadimento di uno di questi fattori influenza in maniera determinante tutto il lavoro.

Troppo spesso si sono viste,  bellissime immagini abbinate a musiche inadatte o ottime idee sviluppate su montaggi poco convincenti, e non parlo solo di proiezioni visionate al nostro interno

Vorrei con queste righe focalizzare questa tematica su concetti generali già consolidati tralasciando i gusti personali che possono derivare da esperienze e percorsi culturali differenti, ma che devono necessariamente convergere nel simbolismo collettivo.

Non mi sento assolutamente maestro in questo, ma mi sento quasi in dovere di condividere con voi le mie esperienze  e farvi partecipi del mio percorso quale modesto autore di audiovisivi; è per tale motivo che spesso evidenzierò degli errori da me commessi come esempio di quello che non si dovrebbe fare.

Così come l’immagine fissa deve essere comunicativa a maggior ragione l’audiovisivo fotografico deve rendere partecipi gli spettatori.

Qualunque sia il lavoro che ci accingiamo a realizzare, sia una semplice serie sonorizzata o uno svolgimento più complesso, è indispensabile un intenso sforzo per abbinare le nostre immagini ad un commento sonoro adeguato a ciò che vogliamo trasmettere.

Alcune volte mi è stato richiesto un consiglio su quale musica abbinare ad un determinato tipo di immagini, ma non è possibile dare una risposta precisa perché la scelta, oltre a condizionare lo svolgimento della proiezione, è strettamente legata ad alcuni parametri ben precisi del lavoro da realizzare, come per esempio: l’emozione o il significato che si vuole trasmettere, la velocità di esecuzione, la scelta del tipo di dissolvenza, il tempo che deve coprire, la forza delle immagini, il colore e la dominante delle fotografie, e altre variabili dell’audiovisivo da costruire.

Tralasciamo per il momento, la scelta di vestire con immagini un determinato brano musicale (scelta peraltro tra le più impegnative), e prendiamo in esame il caso più classico; partiti da un’idea ben precisa abbiamo creato la nostra sequenza più o meno definitiva di immagini e dobbiamo ora trovare la veste musicale adatta.

Per prima cosa è opportuno riflettere sull’impostazione da attribuire al nostro lavoro: fantastico, emotivo, evasivo, documentaristico, drammatico, ecc. Per esemplificare possiamo considerare che la presentazione di un viaggio può avere un taglio documentaristico e in questo caso per mantenere fede ai nostri propositi è utile inserire brani di tipo etnico, inerenti ai luoghi, perciò potrebbero essere efficaci anche registrazioni di suoni e rumori effettuati in loco. Se invece si desidera interpretare tale viaggio cercando di suscitare emozioni personali allora si dovrà cercare altrove quelle sonorità che meglio si addicono allo scopo.

A tale proposito mi viene in mente una proiezione di qualche anno fa da me realizzata per Armida Pela su un viaggio in Yemen in cui è stato inserito il brano “Immagine” di John Lennon che a dir poco ha suscitato un vespaio di polemiche. Teniamo conto che il testo del brano, noto a tutti, anche se in inglese, volutamente era inserito in una sequenza di immagini che ritraevano persone armate di fucili e coltelli, come abitualmente accade in quel paese, e voleva fungere proprio da contrappunto a quanto si osservava; non nego che la scelta sia stata azzardata, ma la reputo uno sforzo dell’autore nel farsi comprendere.

Toccando lo spinoso problema dei brani cantati, personalmente ritengo non debbano essere tabù a patto che il loro significalo non sia palesemente e notoriamente in contrasto con ciò che si sta guardando ed a maggior ragione in quelle canzoni dove la voce viene usata in simbiosi con gli strumenti musicali che l’avvolgono creando un’atmosfera indipendente dai significati delle parole (vedi: Elizabeth Anka Vajagic, Emma Shapplin, Jessica Bailiff, Joanna Newsom, Laurie Anderson, Natacha Atlas, ecc...)

Ritengo oltremodo che tutti i generi musicali siano degni della nostra attenzione perché tutti quanti hanno qualcosa da darci ed in ognuno di essi possiamo trovare le sonorità adatte al nostro scopo.

Un occhio di riguardo però lo dobbiamo alla musica classica, uno sterminato mondo di melodie ripetute in infiniti modi che ancora oggi vengono create da autori sempre più sconosciuti ai più. E’ però questo un universo che bisognerebbe conoscere in profondità per non cadere in errori dovuti all’inconsapevolezza del significato della composizione. Ed ecco un altro esempio di ciò che può creare una scelta avventata: nella proiezione dedicata alla visita di Giovanni Paolo II a Vercelli realizzata in collaborazione con Vittorio Rosate abbiamo scelto di inserire un brano di musica classica che ci sembrava idoneo per la sua solennità, ritmo e intensità ad un passaggio importante della sequenza di diapositive. Dopo le prime proiezioni però non sono mancate le critiche da parte dei conoscitori di musica classica: ci veniva contestato il fatto di aver abbinato immagini del Santo Padre a un “requiem”. Presone atto abbiamo provveduto alla sostituzione del brano incriminato con un altro di pari intensità (un “santus” questa volta) senza che il lavoro ne abbia risentito.

Queste piccole sviste a volte fanno la differenza e da un lavoro ritenuto discreto solamente per un passaggio musicale non corretto, si può passare a un lavoro più interessante (è bastata la modifica della traccia audio nella percentuale di un 5 % sull’intero lavoro).

Per chi conosce la musica classica rimangono comunque aperti spazi enormi di utilizzo e di sperimentazione: ricordiamo ancora l’incredibile innovazione introdotta da Stanley Kubrik nell’abbinare Strauss ad immagini spaziali (2001 odissea nello spazio) o la disarmante efficacia della ballata di Goethe, musicata in scherzo sinfonico da Paul Dukas, ad accompagnare i cartoni della Disney (l’apprendista stregone).

La musica come elemento significativo è riscontrabile anche in altri generi ed in particolare nelle colonne sonore dei films che sono quelle più sensibili ad evocare situazioni specifiche, spesso queste melodie evocano circostanze che inevitabilmente vengono a confrontarsi con ciò che propongono le immagini.

L’abbinamento, in questo caso, va al di là del puro sottofondo e può avere una valenza di sottolineatura del contenuto oppure di contrapposizione netta. Mi ricordo di aver visto in TV un servizio, apparentemente serio, su Berlusconi nel quale è stato inserito come sottofondo la colonna sonora di “La vita è bella”; scelta a mio parere azzardata, palesemente di parte e irriverente (si trattava di Rai 3).

La colonna sonora di Indiana Jones potrebbe servire per descrivere momenti divertenti e scherzosi di un viaggio o per sottolineare l’atteggiamento avventuriero di particolari personaggi.

Moltissime altre colonne sonore si prestano a giochi emotivi, l’importante è non usarle in maniera fine a sé stessa.  In una proiezione allestita per amici che hanno condiviso le vacanze estive con me, ho voluto accompagnare le immagini suggestive del cimitero ebraico di Salisburgo con un brano altrettanto suggestivo, il risultato è stato che qualcuno riconobbe immediatamente il tema di Jurassik Park rimanendo distratto  quindi dal contenuto e probabilmente è stato depistato rispetto l’atmosfera che volevo creare.

C’è poi la New Age, con le sue sonorità non propriamente identificabili, che viene spesso impiegata negli audiovisivi proprio per la sua neutralità sonora, ma proprio per questo motivo raramente rafforza la comunicatività e l’effetto drammaturgico. Vi si attinge spesso con brevi spezzoni per sottolineare situazioni particolari o per prelevare alcuni brevi passaggi musicali e comunque viene usata come ultima ancora di salvezza quando non si sa dove orientarsi soprattutto su sequenze di largo respiro o etniche.

Tutto sì può trovare in quell’ampio contenitore che è la New Wave, ricco di spunti, di indicazioni, di tendenze, genericamente il post-punk ovvero quasi tutto il rock a seguire gli anni 70. Un’infinità di autori o gruppi che hanno mescolato i loro ritmi internazionalizzando sonorità fino ad allora endemiche nella semplificazione sintetica dell’approccio musicale. E’ qui che il sound orientale è diventato universale, che il country si è orientalizzato, che le melodie nordiche si sono evolute, che gli strumenti sono divenuti patrimonio di tutti. In questa immensa categoria musicale non rimane che ascoltane il più possibile per avere la possibilità di coglierne le sfumature e proporre anche brani non molto noti (almeno nel momento in cui si stà realizzando il lavoro).

Ascoltare molto è senz’altro d’aiuto, dentro e fuori i canali tradizionali, anche ciò che superficialmente può sembrare non essere di nostro gradimento: io mi sono forzatamente imposto di passare in rassegna Autori che non amo particolarmente, ma che presumo possano arricchire la mia conoscenza musicale.  Dopo l’ascolto dei “Matmos” o di “Karl Shulz” ho sicuramente bisogno di un bel CD acustico per disintossicarmi, ma ho la convinzione che prima o poi qualche passaggio delle loro canzoni mi sarà utile.

Non voglio continuare con l’elenco dei vari generi musicali, ma sono opportune alcune riflessioni sull’uso degli effetti sonori, intendendo con questo termine non solo rumori registrati dal vivo, ma anche suoni creati appositamente. Una nota lunga evoca aspettativa, una nota bassa e lunga induce ad apprensione, una nota in crescendo introduce un evento, un suono breve evoca la sorpresa e lo choc. I suoni alti si sposano a colori freddi e i bassi e gli armonici a sfumature calde. I flauti a paesaggi, la chitarra al romanticismo, le percussioni alla vitalità, il sintetizzatore allo spazio, il violino al dramma e alla malinconia, la fisarmonica al ballo o alla miseria, la tromba alla solennità, ecc.

I rumori spesso sono determinanti nei cambi di sequenze o quando occorre presentare una determinata situazione: per esempio se sull’immagine di una porta si ode il bussare, viene evocata la presenza umana senza che questa sia presente, anzi sarebbe controproducente rappresentare l’immagine di una persona nell’atto del bussare.

E’ tuttora il mio sogno creare una proiezione con l’uso dei soli rumori, ritengo che sarebbe il più naturale dei sottofondi, ma la realizzazione richiede una costruzione particolarmente difficile ed impegnativa soprattutto nella scelta dei soggetti e delle immagini.

Dopo queste sommarie riflessioni ritengo che la nostra scelta debba essere effettuata avendo ben presente le immagini che vorremmo utilizzare ed il modo di presentarle: il modo migliore e quello di avere una visione completa del materiale posto su un grande visore luminoso o miniaturizzato sul desktop del PC ed ascoltare dei brani precedentemente selezionati seguendo con lo sguardo la sequenza di immagini cercando di immaginarne l’effetto. Nel caso si utilizzino programmi multitraccia si può facilmente cambiare diversi brani musicali e verificarne l’efficacia; se con la modifica del sottofondo non succede nulla dal punto di vista emotivo significa che nessuna delle musiche scelte è quella giusta visto che difficilmente si verificherebbe il fatto che vadano alla perfezione tutte quelle selezionate.

Nel caso le nostre scelte non ci convincano pianamente è opportuno lasciare decantare il lavoro fino a quando non ne troviamo una che ci soddisfi completamente. Nel mio caso è accaduto che l’ultima proiezione realizzata ha dovuto attendere più di un anno prima di trovare un brano musicale adatto alla sequenza che già avevo impostato. Parlando con Lido Andreella, noto autore di audiovisivi, mi confessò che la sua proiezione sul “Che” è rimasta ferma oltre un anno in attesa di una colonna sonora che fosse in grado di supportarla, ma alla fine tutti noi conosciamo il risultato di tale lavoro nel quale la musica è veramente la colonna portante.

Mi ripeterò ancora dicendo che la colonna sonora deve essere un tutt’uno con le immagini, deve completarsi con esse, deve miscelarsi, adattarsi al ritmo, esprimere un’emozione. Essa non deve solamente accompagnare ciò che vediamo e neanche deve essere inserita per rendere più interessante il nostro lavoro, ma deve trainare lo spettatore verso la comprensione del nostro messaggio.

Tutto ciò è valido solamente se poniamo particolare attenzione al sincronismo immagini-suono in maniera tale da non far sembrare che la musica vada per suo conto rispetto alle immagini: in tal caso l’effetto sarebbe quello di proiettare le fotografie sullo schermo e di far ascoltare un CD sull’impianto stereo.

L’uso di queste accortezze sembrerebbe compito da professionisti, ma non è così.

Questa mia dissertazione dovrebbe essere strettamente collegata ad altri fattori tecnici e pratici che concorrono alla buana riuscita di un audiovisivo: la drammaturgia, l’uso della terza immagine, la tecnica delle dissolvenze, il mixaggio musicale,, il fotoritocco,  e altro ancora… Tutti argomenti che richiederebbero una trattazione particolare e specifica.

Spero che quanto esposto sia di interesse a chi vuole progredire in questa forma espressiva, a me è servito per riordinare alcuni concetti di base.

 

                                                                                                                   Marco Bosco

 

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