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Di Giuseppe Serpagli

Scritta da Nicole Avril, è arrivata in libreria, con il titolo di "Sissi" (Vita e leggenda di un'imperatrice), l'ultima biografia su Elisabetta di Wittelsbach, imperatrice d'Austria e regina d'Ungheria. Nonostante sia la prima opera biografica dell'autrice (prima solo romanziera), si tratta di un capolavoro nel genere. Una biografia non romanzata (come le precedenti opere dell'autrice potrebbero lasciar supporre), monumentale quel tanto che basta, minuziosa e nitida ma non pedante, dotata di buon ritmo narrativo e mescente abilmente i più importanti fatti storici che accompagnarono la vita di questa donna, celebre e infelice, con il racconto vero e proprio della sua esistenza, senza tralasciare qualche opportuno rimando letterario (come a Heine). Malgrado per il titolo italiano sia stato scelto il diminutivo con cui Elisabetta‚ diventata famosa nel nostro secolo per alcuni film giovanili di Romy Schneider, il presente libro ha poco da spartire con essi, a parte - ovviamente - il fatto di occuparsi dello stesso personaggio. Semmai qualche aggancio c'è con il "Ludwig" di Visconti (uno dei pochissimi casi di riuscita di un film storico-biografico), in cui Elisabetta, interpretata nuovamente dalla Schneider (ma con ben altro spessore), ha una piccola (ma molto pregnante) parte.

Nata a Monaco (ma cresciuta quasi sempre nell'informalità del castello di Possenhofen vicino al poi tristemente famoso lago di Starnberg) da un ramo cadetto della famiglia regnante in Baviera (era cugina del re Luigi II, più conosciuto semplicemente con il nome di Ludwig), Elisabetta (1837/1898) fu scelta, giovanissima, come sposa dall'imperatore Francesco Giuseppe d'Asburgo. Dalla loro unione, apparentemente felice, nacquero tre figlie (una morta in tenera età) e un figlio, Rodolfo, l'erede al trono. Nevrotica e insofferente della rigida etichetta di corte, Elisabetta passò gran parte della sua vita d'imperatrice lontano da Vienna. Quando non soggiornava in qualche secondario castello all'interno dell'impero (come quello di Gödöllö in Ungheria), era in viaggio per qualche lontana località, di preferenza mediterranea (ma con puntate anche a Madera e in Inghilterra). La sua isola preferita era, comunque, Corfù, dove possedeva un castello chiamato Achilleion. Di idee liberaleggianti (come il cognato Massimiliano e il figlio Rodolfo), non intervenne quasi mai in politica se non per favorire l'amatissima Ungheria, a cui nel 1867 fu assegnato uno status pari a quello dell'Austria (con grande disappunto di altri paesi, come la Boemia, facenti parte dell'impero asburgico). Dopo la nascita dell'ultima figlia, si separò di fatto dal marito (di cui favorì la relazione con l'attrice Katharina Schratt) e pare visse in completa castità, nonostante la forte attrazione sentimentale che provava per il conte e statista ungherese Andràssy. Fu però sempre vicina alla sua famiglia d'origine e a quella del marito nelle tante disgrazie che le colpirono, tra cui basti ricordare il suicidio del cugino Ludwig e quello dell'appena trentenne figlio Rodolfo (il famoso dramma di Mayerling). Poco più che sessantenne, fu colpita al petto con un solo colpo di una specie di punteruolo dall'anarchico italiano Luigi Lucheni a Ginevra e morì alcune ore dopo in una stanza del locale albergo Beau Rivage.
Bellissima, intelligente, sposa di un principe bello, buono e potente che la scelse più per amore che per politica, Elisabetta sembrava votata a una vita fiabesca. E invece figura a pieno titolo in ogni raccolta antologica di "donne tragiche della storia". Certo, tante furono le disgrazie che la colpirono da vicino ancor prima della sua stessa tragica morte, le cui modalità forse non le sarebbero dispiaciute: un oscuro anarchico che intendeva solo colpire un simbolo del potere (proprio lei che per tutta la vita aveva cercato di sfuggire ai suoi diritti/doveri monarchici!), in terra straniera e per giunta neutrale, lontano dalle formalità della Hofburg viennese, ecc. Ma l'origine della sua nevrosi (o depressione o malinconia o spleen, come chiamare la si voglia) è precedente a quasi tutte le tragedie che la toccarono. Cioran, uno tra i tanti suoi ammiratori, scrisse "Non voglio minimizzare le sue delusioni né le prove che ha subito, ma ritengo che non abbiano svolto un ruolo fondamentale. Sarebbe stata delusa in qualsiasi circostanza, era nata delusa...". Chi scrive è, quindi, d'accordo con Cioran, ma soltanto per la prima parte della sua dichiarazione, sembrandogli invece che la "delusione" di Elisabetta non risalga alla sua nascita, ma a quando, adolescente, dovette lasciare la Baviera per cingere la corona imperiale. Per cui, oseremmo definire la sua nevrosi come una "sindrome di Possenhofen": un continuo rimpianto per la spensieratezza dell'infanzia, per la famiglia d'origine, per il solo luogo sulla terra dove forse era stata felice, per gli elfi e le fate che lo popolavano... Il sogno infantile di una vita irreale che non poteva esistere nemmeno tra i dorati palazzi del potere imperiale, ma che poteva brevemente e magicamente ripetersi soltanto quando su un treno (una nave, una carrozza o un cavallo), Elisabetta viaggiava (e fuggiva) da una realtà all'altra... fino al pezzettino di ferro che, quasi dolcemente, pose fine ai suoi giorni e alle sue sofferenze. L'ultimo viaggio di questo splendido albatros baudeleriano, che avrebbe voluto invece scomparire nel mare, fu quello in treno che lo portò, le grandi ali ormai chiuse per sempre, a Vienna per essere sepolto nella Cripta dei Cappuccini.


Elisabetta imperatrice d'Austria

Elisabetta imperatrice d'Austria.
Ritratto di Winterhalter.


Instancabile viaggiatrice, in una delle sue tante poesie, mediocri ma utili per capirla, scrisse:
   "Sono un gabbiano che non appartiene ad alcun paese,
    Nessuna spiaggia‚ la mia patria,
    Non mi affeziono ad alcun luogo,
    Volo di onda in onda."
Il gabbiano, felice solo quando era nella provvisorietà del viaggio, volò per quasi tutto il bacino mediterraneo, spingendosi a nord fino all'Inghilterra e arrivando a ovest fino all'isola atlantica di Madera. Quasi al centro del Mediterraneo, la spiaggia, Corfù, a cui si illuse di affezionarsi per un po’. Vi è, comunque, un breve itinerario che meglio di ogni altro può aiutare a capire la Sissi più vera: Possenhofen (Germania), Bad Ischl (Austria) e Gödöllö (Ungheria). Possenhofen ‚ immediatamente a sud-ovest di Monaco di Baviera, dove essa nacque la notte di Natale del 1837. Nel castello di questo villaggio sulle rive del lago di Starnberg, essa passò gran parte della sua infanzia e adolescenza. E' qui quindi che si formò la sua personalità ed è qui che essa tornò sempre volentieri fin che c'era qualcuno della sua grande famiglia. Furono gli anni più felici della sua vita quelli trascorsi nel castello, nei boschi e sulle sponde del piccolo lago prealpino. Poche costrizioni, molti giochi e favole con gli altri fratelli e sorelle, costante il contatto con la natura e gli animali, un'educazione poco severa e non molto profonda per una ragazzina che non si supponeva destinata a un grande destino. La madre Ludovica non poteva seguire più di tanto la sua nidiata di bambini. Il padre Massimiliano, esuberante e notorio dongiovanni, era spesso assente. Entrambi erano dei Wittelsbach, ma di rami diversi (lei proveniva da quello regnante in Baviera). Certo, tra i genitori aleggiavano risentimenti e incomprensioni, che la ipersensibile Sissi, che in realtà non fu mai principessa, non poteva non percepire e che contribuirono alle sue nevrosi da adulta. Come vi ebbe la sua parte la famosa eredità genetica dei Wittelsbach, fatta anche di eccentricità quando non di follia più o meno palese, come nel caso dei cugini Luigi II e Otto. Luigi II (Ludwig), il castello di Berg quasi di fronte a Possenhofen sull'altra sponda del lago di Starnberg, l'Isola delle rose poco a sud, i fiabeschi castelli da lui fatti costruire non troppo lontano... ci farebbero divagare troppo, ma non vanno comunque dimenticati se si vuole inquadrare Elisabetta correttamente. Proseguendo da Possenhofen verso est, si può rifare il primo "lungo" viaggio di Sissi: quello che nell'agosto 1853 la portò a Bad Ischl, stazione termale tra le montagne del salisburghese in Austria. Bad Ischl cambiò completamente il destino di Elisabetta. C'era andata casualmente per accompagnare la madre e la sorella maggiore Elena, il cui matrimonio con l'imperatore d'Austria doveva essere combinato da Ludovica e dalla sorella Sofia, madre di lui. A Bad Ischl invece divenne lei la promessa sposa del primo cugino Francesco Giuseppe semplicemente per un colpo di fulmine colossale. A Bad Ischl ci ritornerà qualche altra volta da imperatrice, ma non si ripeterà più la magia della prima volta. Ormai disincantata e poi provata dalla vita, non crederà più alle favole (se non a quelle remote, ma sempre affascinanti, di Possenhofen) e Bad Ischl non sarà per lei che una delle tante stazioni termali (come Bad Kissingen o Merano) che frequentava. Procedendo verso est di Bad Ischl, si raggiungono le due città della Sissi più ufficiale: Vienna prima e Budapest poi. Nessuna delle due ha bisogno di presentazioni. Più amata da lei la seconda, sia perché ungherese (è famoso il suo amore per tutto quello che era ungherese, compreso platonicamente il bel conte Andràssy) sia perché vi "dovette" soggiornare per periodi molto brevi. Più piena di ricordi di lei ovviamente la prima con, tra l'altro, i palazzi o castelli in cui risiedette da imperatrice e il luogo dove è sepolta: la Cripta dei Cappuccini. Un po’ della Sissi più vera e intima, lo si può trovare anche nella vasta pianura ungherese poco a nord-est di Budapest, dove c'è il castello di Gödöllö. Costruito sotto il regno di Maria Teresa, appartato e immerso in una grande foresta, Sissi vi soggiornò per vari periodi, anche quando era incinta dell'ultima figlia, quella Maria Valeria che volle far nascere a Budapest e verso la quale si mostrò madre fin troppo morbosamente affettuosa, quasi a volersi riscattare per il relativo disinteresse verso gli altri tre figli. A Gödöllö, il gabbiano sembrava affezionato, ma ormai era troppo tardi per fermarsi. Nell'ultimo decennio della sua vita, ormai rosa oltre che dalle sue nevrosi anche dai tanti lutti che l'avevano colpita, non si vestì che di nero, non si lasciò più ritrarre e viaggiò incessantemente. Fino a posarsi per fatalità sulle rive del lago Lemano, in quella Svizzera neutrale dove - sognatrice sì ma non sprovveduta - aveva da tempo depositato dei fondi (una precauzione per il caso che l'impero fosse crollato). E a Ginevra il 10 settembre 1898, l'appuntito punteruolo di Lucheni la uccise in modo quasi indolore. Un anno dopo moriva anche Johann Strauss II, le cui musiche insieme a quelle di Wagner sembrano le più appropriate per fare da sottofondo a una vita così fiabesca e tragica al tempo stesso come quella di questa donna che, comunque, nell'immaginario collettivo rimarrà per sempre la dolce e leggendaria "principessa Sissi".


Il 10 settembre del 1998 si è celebrato il centenario della morte di Elisabetta (Sissi) di Wittelsbach, nata come duchessa "in" Baviera nel 1837 a Monaco e diventata per matrimonio imperatrice d'Austria e regina d'Ungheria (e tanti altri titoli), morta pugnalata dall'anarchico italiano Luigi Lucheni a Ginevra. Si prevedeva quindi che sarebbe stata commemorata in vari paesi e ricordata affettuosamente un'altra volta ancora dai suoi tanti ammiratori. E, naturalmente, che la RAI ci avrebbe propinato per l'ennesima volta i mediocri (e fuorvianti dal lato storico) film interpretati dalla pur brava Romy Schneider. I riflettori, invero mai completamente spenti, si sono invece riaccesi su Elisabetta con un po' d'anticipo per almeno tre motivi: la sua statua recentemente ripristinata con tutti gli onori a Trieste, la morte di Lady Diana e l'apparizione di una nuova biografia su di lei. Superfluo riparlare qui della statua, a cui i media hanno già dato il giusto spazio. Nell'isteria collettiva, il processo di "beatificazione" e il tormentone mediologico che sono seguiti alla morte di Lady Diana, quest'ultima è stata paragonata a Elisabetta e sono state erroneamente segnalate massime analogie tra queste due mitiche donne. Qualche telegiornale (e non dei minori!) è arrivato persino a dire qualcosa come che entrambe morirono tragicamente "giovani e belle", quando invece Elisabetta aveva già passato la sessantina! Ci vorrebbero pagine e pagine per disquisire sulle pochissime analogie e le tante differenze tra le due donne. E poi il caso Diana è troppo fresco e in continua evoluzione per poterlo fare con imparzialità... e per non eventualmente incorrere nelle ire di milioni di suoi fan, che vogliono comunque credere - tra l'altro - nella favola della regina cattiva e della principessa buona (e che saranno certamente accontentati in questo senso per molti anni a venire). Basterà dire che tra le analogie vi sono, in una certa misura, l'insofferenza verso la rigida etichetta delle rispettive corti e alcuni (ma solo alcuni) aspetti delle loro personalità. I fatti che le differenziano sono talmente tanti che qui se ne possono citare di sfuggita solo alcuni. Elisabetta fu sino alla fine dei suoi giorni moglie di Francesco Giuseppe, capo di uno dei più grandi imperi d'Europa. Sostanzialmente frigida, fu lei a voler cessare i rapporti fisici col marito, dopo avergli dato quattro figli, e a procurargli un'amica (amante?) piacevole e discreta. Dopo il marito, non ebbe più contatti fisici con nessuno (pare quasi certo), ma solo qualche amore platonico e molto sublimato. Rifuggiva la mondanità (e non solo la corte) in ogni sua forma. Viaggiò anche lei in lungo e in largo, ma cercando di mantenere l'anonimato per quanto possibile, tanto che quando fu uccisa all'aperto non aveva scorta (in un'epoca in cui i regicidi erano assai frequenti).
La nuova biografia "L'imperatrice Elisabetta" (La vita di Sissi tra mito e realtà) della storica Gabriele Praschl-Bichler, non solo è molto scorrevole e interessante, ma contiene anche varie novità (in genere non positive per il mito di Sissi) e scandaglia senza remore e pudori ogni aspetto della vita di questa donna celebre e infelice. Non è una biografia tradizionale, in quanto non racconta cronologicamente la sua vita, ma ne analizza invece vari aspetti (p.e. i suoi rapporti con l'imperatore, i figli, la suocera e la nuora o il suo ruolo di madre) con il breve contributo, alla fine di vari capitoli, di due psicologi. Ne emerge una Sissi molto più complessa e reale del solito e il suo mito ne rimane un po' intaccato anche se non proprio infranto. Ci pare che per leggere questo libro con scioltezza e profitto convenga aver letto prima almeno una biografia tradizionale di Sissi - come quelle molto belle di Brigitte Hamann, e di Nicole Avril - ma dovrebbe essere interessante anche percorrere il cammino inverso, che ovviamente non è stato possibile per chi scrive, e leggere prima questa nuova biografia e poi complementarla con una tradizionale. Sì, a prima vista Elisabetta aveva tutto per essere felice: bellezza, ricchezza, rango, amore di un uomo bello, comprensivo e potente, ecc., ma in questo caso sarebbe stata appena citata dalla Storia tra le tante mogli dei monarchi europei o al massimo avrebbe avuto qualche riga in più per l'unico ruolo politico che svolse: il suo contributo perché l'Ungheria ottenesse la parità con l'Austria. Invece le sue nevrosi o manie (motomania, narcisismo, infantilismo, insofferenze varie, ecc.), stravaganze e peregrinazioni nonché le tante disgrazie che la colpirono (suicidi dell'unico figlio maschio a Mayerling e del cugino Luigi II nel lago di Starnberg, fucilazione del cognato Massimiliano in Messico, ecc.) la ammantarono di così tanti connotati speciali da farla entrare nel mito e da far lievitare la sua figura a dimensioni gigantesche per una donna così fragile. Una figura ancora modernissima e comunque inusitata e unica nella storia di tutte le famiglie regnanti. Anche se ora conosciamo qualche suo difetto in più, Elisabetta rimane per noi uno splendido albatros baudeleriano che non poteva assolutamente rassegnarsi a questo mondo imperfetto.


Giuseppe Serpagli: www.geocities.com/bard842

 
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