Cenni sul Dialetto Ligure dell'area centrale

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Grammatica
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Grammatica

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Le seguenti annotazioni grammaticali si riferiscono prevalentemente al dialetto parlato nelle province di Genova e Savona. 

Le vocali

Le vocali in Liguria corrispondono a sei segni grafici: a, e, i, j, o, u e potrebbero diventare otto sommando i due dittonghi ae ed eu; contando invece i suoni più frequenti e stabilizzati, il numero aumenta ad undici per una doppia e, una doppia o, una doppia u. E cioè:  
a, ae, è, é (rispettivamente aperta e chiusa)  
i, j  
eu,ò, o (aperta e chiusa)  
u toscano; u francese

A
Ha il suono sempre aperto identico alla a italiana di casa.
Gli accenti:

â - sâ, sale; cantâ, cantare arrancâ, sradicare
ä - bägio, sbadiglio; patäsci, funi; azzänellòu, bacato

E
Gli accenti:

ë - cëa, faccia; pëtene, pettine; passëa, passiera
ê - çê, cielo; droghê, droghiere; derrê, dietro

I
La i è una vocale che ha sempre suono chiuso.
Gli accenti:

ï - frïto, fritto; condïo, condito; rïe, ridere
î - fî, filo; abbessî, aver freddo; ingianchî, imbianchire
ì - chicchiricchì, coscì, lunedì, ecc., scì, lì, mì

J
La j ha perduto completamente il suono tipico della lingua francese (assunto dalla x) per ricuperare quel ruolo semiconsonantico che aveva in passato nella lingua italiana per indicare, non una maggior lunghezza e neppure il raddoppio (come in certi plurali), ma lui rafforzamento della vocale; come la sola presenza dell'accento tonico. Non è mai lettera iniziale e non sopporta accenti.

O
La o ha in genovese due pronunzie: aperta e chiusa. La prima corrisponde esattamente alla o italiana, la seconda (sempre in fine di parola non accentata) alla u. Si deve però affermare che in entrambi i casi la vocale risulta sempre graficamente rappresentata dalla o, per una ragione etimologica che, nonostante lo stringersi della pronuncia fino ad arrivare ad una chiara u italiana, impone alla vocale il valore grafico della o. In sillaba tonica i due suoni possono essere distinti con l'accento grave o acuto.
Gli accenti:

pronuncia chiusa (u)
o - tortoa, tortora; giorno, giorno; doggio, doppio
ö - döçe, dolce; nöxe, noce
ô - cô, colore; ödô, odore; bruttô, cattivo

pronuncia aperta (o)
o - porta, porta; costa, costa; foscia, forse
ö - deslögiâ, sloggiare; cöu, cavolo; öu, oro
ò - tremò, specchio; fricandò, stufato; baxaicò, basilico

U
Anche la vocale u, che è sempre chiusa, ha due pronunzie: una identica alla u toscana: burridda, pesce in guazzetto; ed un'altra, molto più chiusa, identica all’u francese, come in umô, umore.Gli accenti:

pronuncia u italiana
u - puieu, pagliolo; puffo, debito; putamolla, indolente
ü - müra, morra; cüxo, cugino; büra, miseria
û - mäprû, malvolentieri; acaxû, anacardo

pronuncia u francese
u - purga, purga; luggio, luglio; buttega, bottega
ü - agüo, ago; cüa, cura; ünio, unito
û - mû, mulo; grattacû, ballerino
ù - grù, gru; scciavítù, schiavitù; prezù, caglio

I dittonghi

  I dittonghi sono tre: ae, eu e òu
AE, che nel ligure passa direttamente dal latino, vale una e larghissima ed è molto mobile assumendo nel diversi dialetti toni che variano dalla a, alla e, ed all'ei. Latte è laete a Genova, laete a La Spezia, loaite a Imperia, laite a Sanremo, lête a Pietra Ligure.
EU, corrispondente al suono eu francese, chiamato dai glottologi o turbata e scritta alla tedesca ö in grafia fonetica, vale il suono di una o molto chiusa strascicata e trattenuta. È, come la u, un suono tipico dell'area francese, per il quale il Martini propone la seguente regola: «la eu ligure si ha ogni volta si presenti una parola in cui all'o latino corrisponda in Italiano il dittongo uo».
OU, accentato e finale, normalmente desinenza del participio passato, marca la o ed ha una u brevissima. È la forma attuale dell'antico dittongo ao, presente e vivo nei dialetti di area francese, provenzale, monegasca e della zona dell'Imperiese.

Per quanto concerne la forma grafica dei due dittonghi impropri ae ed eu, occorre ricordare che nelle opere manoscritte sono sempre stati raccolti sotto un unico ampio segno a capanna (non un accento) proprio per volerne individuare la improprietà come dittongo.
Con il passaggio dalla scrittura a mano alla stampa si è cercato di mantenere il segno riducendolo praticamente ad un accento circonflesso, messo sulla prima o sulla seconda vocale se lo scrittore aveva o meno reminiscenze greche. Questa soluzione è errata perché modernamente l'accento ha la funzione di dividere e non di unire i suoni. Entrambi i dittonghi vanno perciò scritti senza accenti. Nel latino e nel francese, lingue nelle quali sono largamente usati con la stessa pronuncia il comportamento è identico. La presenza di un accento invece starà ad indicare che le due vocali vanno lette disgiuntamente: può servire all'occorrenza anche l'accento tonico. Particolare è il comportamento dei dittonghi ae ed eu quando sono preceduti dalle consonanti c e g. Eu non offre problemi perché, pur avendo un suono molto più vicino alla o che non alla e, ha come prima vocale la e ed assume automaticamente la h: cheu, cuore; lagheu, ramarro.
Più complesso è il discorso su ae, dove la prima vocale rifiuta per la regola italiana, la lettera H.
Si risolve il problema considerando i due dittonghi come vocali, entrambi variazioni tonali della e, con eventuale aggiunta della i quando le due consonanti sono dolci per semplificare la lettura. Una i che compare sempre più frequentemente anche con altre consonanti, xiatta (pr. jatta), scodella, per esempio, per evidenziarla meglio anche se già compresa nel suono della consonante. Quindi avremo ciaeto, pettegolezzo, giaee, bietole. Il Gazzo vede dittonghi e bivocali in funzione del nesso che vi è tra le vocali. Per il dittongo si rifà all'italiano evidenziando solo i dittonghi «rapidi» òu, ei, ai, che formano una sola sillaba.
Divide invece in raccolte e distese le bivocali, cioè gli accoppiamenti che non danno luogo a dittongo. Sono bivocali distese quelle nelle quali le vocali mantengono intatto il loro suono: viöla, viola; spïa, spia; viägio, viaggio. Sono raccolte quelle nelle quali c'è un accorpamento senza l'unificazione della sillaba: ciaga, piaga; nuvea, nuvola; grigoa, lucertola, ceiga, piega.

I trittonghi

  La facilità con la quale il savonese ha abbandonato sul suo cammino consonanti deboli, ha fatto sì che abbondi di trittonghi e quadrittonghi ed anche di gruppi maggiori di vocali: soaieu, solaio, e vujeue xuatinn-e, varicella, vocali allineate ne mostrano cinque, mentre eujòu, oliato, è parola di cinque vocali senza consonanti, laouejo, laboratorio, e aquila pesciaieua, aquila pescatrice, allungano la sequenza a sei. La nostra aquila pescatrice in qualche località rurale si carica ancora di una j diventando pesciaieuja, con il conto record delle vocali portato a sette. Una curiosità ortografica è rappresentata da tre parole: zapparla, salarla e vararla che nella pronuncia popolare, quella che d'istinto applica la regola del dileguo e dell'apocope, sono ridotte rispettivamente a: caàa, saàa e vaàa; non un trittongo ma l'eccezionale presenza di tre a in fila, senza sostegno di consonanti.

Le consonanti

  Consonanti sono le lettere che non hanno suono e che pertanto debbono accoppiarsi con una vocale.
B, C, D, G, P, T si leggono con l'aggiunta della e: be, ce, de, ge
Ç è consonante genovese, manca negli alfabeti italiano e latino, è detta c caudata ed ha un suono corrispondente alla esse
F, L, M, N, R, S, hanno il nome formato da una e seguita dalla vocale raddoppiata e da un'altra e: elle, emme, ecc
H è acca, un qualcosa che sta a sé, né vocale né consonante
Q, si legge cu, per quell'u che le tiene sempre compagnia ma che avrebbe potuto, benissimo essere eliminato
V, lega con la u, vu, questo per l'intercambiabilità che c'è sempre stata tra u e v nel latino, nell'italiano e nel genovese fino al XVI secolo
X, ha la i seguita da c e s: ixe
Z, infine, resta zitta, femminile
Le consonanti del nostro linguaggio sono diciotto e si comportano come in italiano, senza costituire problemi.
B, C, Ç, D, F, G, H, L, M, N, P, Q, R, S, T, V, X, Z.

B
La regola italiana la vuole preceduta sempre dalla lettera m, anche se in savonese il suono è sempre chiaramente n: inbarasso; cönbo (colombo).
C
Davanti alle vocali e, i ed ai dittonghi impropri ae ed eu, ha suono dolce: ceive, pieve; ciodo, chiodo; prende il suono duro in presenza della h: cheu, cuore; chinze, quindici. Ha suono naturalmente duro davanti alle vocali a, o, u e u francese.
Ç
Si può trovare solo preposta alle vocali e ed i. È una lettera caratteristica ed insostituibile delle parlate liguri in quanto sta ad indicare la mutazione etimologica del suono dal ce e ci latino, mentre l'italiano ha conservato il suono della c. È importante perché nel caos generato dal difficile uso delle esse e delle zeta (complicato in qualche caso anche dalla x e dal digramma sc), evidenzia con precisione un gruppo di parole che hanno la esse dolce e consente di chiarire qualche omofono, come seja, sera; çeja, cera. Modernamente viene sostituita dalle due esse quando è doppia.
G  
La lettera g ha analogo comportamento della c, con suono dolce o duro in relazione alla vocale che segue.
H
La h è usata molto poco, praticamente solo nella declinazione del verbo avere, limitatamente a qualche persona, nel gruppi ch e gh e nelle esclamazioni.
M
Per la emme c'è da segnalare in qualche parlata locale la sua sostituzione con la b; un caso abbastanza tipico è mananne al posto di bananne (voce popolare).
N  
Assume pronuncia nasale e tronca nelle apocopate. Come visto, il suono della n subisce una violenza grammaticale quando si presenta davanti alle consonanti b e p. Secondo la regola italiana la b e la p possono essere precedute solo dalla m. Questo è un dubbio che gli antichi ed alcuni dialetti della riviera non si sono posti: quando il suono è n, la grafia resta n. Come consolazione si può notare che anche nella pronuncia italiana il suono è spesso più vicino alla enne che alla emme come obbligatoriamente si deve scrivere. La enne finale in parole come son, con, quando si trova a contatto con vocali cade: me so’ accorto per mi sono accorto; co-a per con a. È l'unica consonante che possiamo trovare finale in parole tronche: pan, pane; vin, vino; pin, ripieno.
P  
Come la b, segue la regola italiana che la vuole preceduta sempre dalla consonante m.
Q
La q raddoppia pigliando a prestito la c: carexima per quaresima e chistion per questione.
R  
Consonante molto debole, si potrebbe dire evanescente, è una protagonista delle vicende dei dialetti liguri.
V
Si mostra come una consonante debole soggetta a dileguo; è praticamente sempre presente solo nel linguaggio letterario e nel dialetti moderni. L'area rurale trancia sistematicamente tutte le v iniziali dandoci gli esempi che seguono vento, ento; vestî, estî; vurpe, urpe. Fenomeno in netto regresso.
X
Ha la pronuncia della J francese ed è il definitivo risultato della trasformazione del c originarlo, come la zeta lo è in qualche caso della g.
S e Z  
Sono due consonanti che nel savonese, come nell'italiano, non hanno ben definito la loro pronuncia. Hanno entrambe suono dolce e suono aspro, ma non vi sono norme che regolino l'impiego dell'uno o dell'altro suono; non sono neppure definiti con esattezza i confini tra le due consonanti. Solo il Gismondi ha tentato di individuare una omogeneità di comportamento nei due suoni della esse, e li definisce in questo modo: «Primo un suono dolce simile alla zeta: a) quando è in mezzo a due vocali (casa, reusa, füso), v'è anzi chi adopera addirittura la zeta; b) quando è seguita da una delle consonanti b; d; g; m; n; v (asbrio, svista). Secondo, un suono aspro: a) in principio di parola seguita da vocale o da consonante, escluse quelle ora enunciate (sâ, sordo sfigurâ, strano); b) nel corpo della parola preceduto da erre e da enne (mersâ, pansa, guerso) c) quando si trova tra due vocali di cui quella che precede sia accentata (fäso, cösa, ëse); d) nel pronome se, enclitico, dell'infinito dei verbi riflessi (addormîse, lavâse). Per la zeta dice: «due suoni: dolce nelle parole zèo, zembo, zubbo; l'altro aspro in tutto simile ad una esse aspra (lezion, grazia, ozio). Questa ultima zeta modernamente, da molti autori, è scritta doppia ss, er una esatta rispondenza al suono: grassia, ossio. Vi è molta indecisione, con una tendenza savonese ad usare la zeta nei suoni dolci e la esse nel suoni aspri, senza tener conto della grafia tradizionale, complicata da mancanza di segni idonei.
Procedimento empirico per s e z
Per s, z e ç la situazione è identica a quella già vista per la o. Per le parole che hanno derivazione dall'italiano è possibile empiricamente rifarsi ad esso per sapere quale consonante usare. Eccezioni sono quelle che in italiano hanno in corrispondenza del suono esse una ci (sempre seguita dalle vocali e ed i) perché allora la consonante da usare è la ç come si è già visto. Una conferma circa l'uso della zeta ci viene dalle parole che in latino, come in italiano, hanno consonante corrispondente alla g: zenoggio, ginocchio; Zena, Genova. Particolarità fonetica del ligure che forse ricupera un suono del linguaggio che preesisteva alla romanità.

I digrammi e gruppi consonantici

La presenza di digrammi segue le regole dell'italiano con la sola esclusione dei digramma gl, inesistente, e presente solo in qualche parola recente, mal pronunciata. GL in italiano è usato tanto nella parola meglio, quanto nella parola negligente, nonostante il suono diverso, nel primo il digramma gl e nella seconda g-l con una gi gutturale. Con l'ausilio della grammatica italiana non è possibile avere una guida nella scelta dei due suoni; solo il genovese può aiutare perché, non ricevendo il digramma gl, fa una distinzione tra i due valori consonantici. Trasporta nella sua parlata il digramma con il solo suono della g (semplice e doppia): meglio, mëgio; moglie. moggê; figlio, figgio; aglio, aggio.
Mantiene i due suoni staccati nelle parole del secondo gruppo, di chiara derivazione italiana: glicine, glicine: glicerina, glicerinn-a; anglicano, anglicano; geroglifico, geroglifico. SC, è digramma solo se seguito dalla e e dalla i, come in sciamme, fiamme; scena, scena; e resta diagramma anche quando è seguito dalla c nel suono tipico ligure: sc-c, sccieuppo, fucile; sccetto, schietto, da segnalare assieme con nn-. Nel parlare moderno il digramma, in molte parole, si è ridotto al suono della sola esse (il fenomeno vale anche per la x) avvicinandosi all'italiano. Silenzio e non scilenzio; sigillâ - scigillâ; sillabajo - scillabajo.   NN-, lo troviamo nelle parole che terminano con le sillabe na, ne, ni e no. La enne che segue vocale tonica si rafforza al punto da spezzare la sua sillaba e legarsi sonoramente alla precedente, mentre la vocale resta sillaba a sé, con pronuncia nettamente staccata della doppia enne: campann-a, campana. Nel passato questo suono ha avuto altre soluzioni grafiche superate, dal trattino sulle enne (come l'abbreviazione latina), proposto dal De Franchi che per primo ne ha individuato il suono (peña), alla sola enne con tratto (pen-a) ed al tratto tra le due enne (pen-na).   SCC, è formato di due suoni distinti, quello del digramma sc seguito da una c sonora (detta anche esplosiva) preposta sempre alle vocali e ed i, come in scciappa, schiappa; masccetto, maschietto. A questa forma si è arrivati dopo averne sperimentato altre, tutte col trattino, per evidenziare, come nel gruppo nn-, uno stacco che in effetti non esiste: s-c e sc-c. (è presente nella lingua russa).  

Gli accenti e altri segni grafici

L'accento, così poco usato nella lingua italiana, ha nel savonese presenza ed importanza notevole sia per la varietà dei suoni delle vocali, sia per gli omonimi frequenti in una lingua in cui contrazioni e dilegui sono stati costanti. Il problema degli accenti è legato alla antiquata tastiera della macchina da scrivere, vincolata ad un impiego strettamente commerciale e fedele documento della trascuratezza dell'italiano in materia. L'accento è un fenomeno orale. Ciò significa che ogni parola ne ha un suo proprio, indipendente dal segno che si ha a disposizione e dagli accenti che può aver posto la persona che scrive. I segni che nel savonese sono usati come accenti sono cinque: grave, acuto, circonflesso, dieresi o trema e apostrofo. Normalmente l'eleganza e l'importanza ad un linguaggio sono date dalla presenza del minor numero di segni diacritici (accenti e simili). Una loro puntigliosa presenza, esclusa ovviamente la grafia fonetica nella quale sono unità di misura, normalmente caratterizza i dialetti, le parlate locali. Una lingua o un dialetto scritto che abbia acquistato velleità letterarie li limita a casi dubbi e ad esigenze specifiche.  
L'accento grave è usato per le vocali finali delle parole tronche all'italiana e per l'accento tonico su vocali aperte. È presente nella tastiera internazionale per tutte le vocali. È possibile leggerlo, anche se sconsigliabile, sulla desinenza della prima e terza persona singolare dei futuro, in previsione di un rafforzamento del suono che ancora si mantiene lungo.  
L'accento acuto serve ad indicare vocali mute. È presente sulla tastiera della macchina solo per la e; per le altre vocali è sostituibile con l'apostrofo. Il verbo essere nell'indicativo presente mostra due e mute accentate in modo diverso: ti t’ë, lé o l'é.  L'accento circonflesso è posto a segnare la vocale sostenuta finale alla genovese, parole apocopate (con caduta della sillaba finale) in genere monosillabiche e ad accentare l'infinito dei verbi della prima e della quarta coniugazione. Resta sulla vocale nelle parole declinate quando continua ad essere tonica e non vocale volta in dittongo. L'accento circonflesso sulla prima vocale dei dittonghi impropri li scioglie, le due vocali vanno lette disgiuntamente.  
La dieresi si pone su quelle vocali il cui suono risulti dilatato (dilatazione dovuta alla necessità di coprire un vuoto lasciato da dileguo di consonanti deboli) e nelle preposizioni articolate contratte. Nei casi dubbi può chiarire il significato di parole omofone e tempi del verbo. Per le macchine da scrivere che non hanno sulla tastiera i due punti, cioè la dieresi si procede ribattendo sulla vocale la doppia virgoletta. È inoltre usata per le vocali rafforzate del futuro anche se modernamente viene preferito l'accento grave.
L'apostrofo, oltre alla sua funzione tradizionale, ha anche quella di segnare l'aferesi, come nell'articolo indeterminativo 'na (una).  
L'accento tonico è l'accento che cade sulla vocale dove poggia la costruzione della parola. L'italiano lo ignora, e lo consiglia solo quando possono sorgere dubbi: sùbito,subìto; ancòra, àncora; ecc. Questo accento è oggi la nuova realtà della grafia dialettale e di quella ligure in particolare. La minor conoscenza dei dialetti e della loro pronuncia impone questa guida alla lettura che consente di afferrare subito la cadenza delle singole parole.
L'accento tonico si segna normalmente con l'accento grave o acuto a seconda cada su vocale aperta o chiusa ed è sostituito da altri eventualmente già presenti sulla sillaba tonica, come nel caso delle parole derivate da infinito che mantengono il circonflesso: amâvo.  
Le parole sulle quali non è segnato nessun accento si intendono piane, cioè con l'accento tonico sulla penultima sillaba; fanno eccezione le parole che terminano in on e an, nelle quali, pur non essendo accentate, l'accento cade sulla sillaba che precede l'ultima tronca, cioè la o e la a: smangiaxòn, prurito; cappòn, cappone; stagnòn, secchio.  
La lineetta o trait d'union è nel genovese un segno ortografico frequente e sta ad indicare la tendenza al legamento delle parole, che risponde ad un bisogno di armonia insito nel linguaggio servendo anche ad evidenziare le cadenze dei vari dialetti, cioè la còccina.
Una particolarità che avvicina vieppiù il genovese alla lingua francese, dove alcuni legamenti sono obbligatori. Nel caso delle preposizioni articolate la sua presenza è importante per evitare omofonie.

Curiosità linguistiche

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In provincia di Savona i termini per definire i piselli sono 8:
1. arblìa confine nord occidentale con la Provincia di Imperia (pònsci a Sanremo);
2. lemmi sempre in zona, ma più verso il Piemonte;
3 e 4. arbia e arbie nell'entroterra di Savona;
5. poiz al confine col Piemonte;
6. puisci da Vado Ligure sino a Varazze;
7. pueixu nel circondario di Noli e verso Pietra Ligure;
8. eibeie Cairo Montenotte.

L' arancia ha solamente due termini:
1. purtugallu verso la Provincia di Imperia;
2. setrun verso Savona.

Il pomodoro invece è indicato quasi sempre come tumata ad eccezione di pumata nella zona tra Calizzano e Vicoforte Mondovi..

Infine una piccola curiosità: le raccoglitrici di olive erano pagate in olio, in proporzione al peso del raccolto.
Esistevano dei recipienti particolari :
cupelli (2 litri);
metura (5 litri);
meza quorta (10 litri), quorta (20 litri);
stà (40 litri);
gumbà (100 litri).

Proverbi

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Se nu ciöve d’Arvî, nu s’impe né butte né barî (Se non piove in Aprile, non si riempie né botte né barile)

Se l'è neigru a tramontann-a preparîte a-a buriann-a (Se è scuro a tramontana, preparati alla tempesta)

U Segnû u manda u pan a chi n'ha i denti (Il Signore manda il pane a chi non ha denti).

S'u ciöve a Sant'Anna, l'ègua a l'è 'na manna (Se piove il giorno di Sant'Anna l'acqua è una manna)

Pe San Giuanìn, a ogni çexa u sö inquilìn (Per San Giovanni Battista ogni ciliegia ha il suo inquilino)

A San Pé, u mä ne vö ün cun lé (Per San Pietro il mare ne vuole uno con lui)

POESIE

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Due ciliege

Nella cantera del pane

c'è il profumo del grano

il colore di giugno

e due ciliege dimenticate una sera

su l'ultimo di maggio. 

Quelle che t'eri messe

nelle orecchie...

E le labbra,

le tue,

 s'erano sporcate di vita.

Quella che hai dato a me. 

 

Profonda ferita

Troppo profondo

questo...coltello...

s'era conficcato!

Me lo sono tolto

mi sono medicata...

La ferita 

a stento con fatica...

si è rimarginata.

Ma basta...poco

è troppo delicata

una parola un gesto

una sciocchezza...

torna ad aprirsi.

E ...nuovamente sgorga...

il sangue 

dalla ferita. 

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