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Milano, 18/01/2004
LA
PARTITA RESTA APERTA: QUALI POSSIBILI SCENARI?
di
ScuolaOggi
da
www.scuolaoggi.org del 18.1.2004
E’ il caso di fare qualche ragionamento e cercare di capire a che
punto siamo nella vicenda, complessa e tutt’altro che definita, del
primo decreto attuativo della riforma Moratti sulla scuola primaria.
Dati alla mano, possiamo grosso modo distinguere tre-quattro fasi
diverse, tre-quattro tempi in successione logica e cronologica.
Primo tempo. Il MIUR ed il governo, diciamolo, tentano di
sbarazzarsi, con un colpo solo, dell’attuale scuola elementare così
com’è stata modellata dalla riforma del 1990 (tempi distesi, gruppo
docente, ambiti disciplinari suddivisi tra i docenti in maniera
paritaria).
Il modello di scuola pubblica, statale, che si viene a delineare è
quello di una “scuola leggera”, fondata su un orario di insegnamento
ridotto (27 ore per tutti) più qualche attività opzionale, a
richiesta, per eventuali tre ore aggiuntive. Questo è quanto emerge
dal testo dello schema del decreto reso pubblico nel giugno scorso.
Qui non ci sono equivoci: il tempo mensa è chiaramente espulso dal
tempo scuola (il comma 3 dell’art.7 dice chiaro e tondo che l'orario
delle attività educative e didattiche, stabilito dai commi 1 e 2, “non
comprende" il tempo eventualmente dedicato alla mensa). Netta
distinzione dunque tra un tempo, obbligatorio, di “istruzione di base”
per tutti, qualche ora facoltativa di “attività varie”,
extracurricolari e il tempo “assistenziale” dell’eventuale refezione a
scuola.
E qui cominciano i primi dolori ed inizia il secondo tempo. La
prima ad insorgere è l’ANCI, l’associazione dei Comuni italiani, che
intravede il pericolo, soprattutto per sé. Se la mensa viene
“scorporata dal tempo scuola”, del quale era finora considerata parte
organica e integrante (art.130, T.U. 297/94) e magari dall’orario di
servizio e dalle funzioni dei docenti, è chiaro che i genitori che
hanno necessità di questo servizio si rivolgeranno agli enti locali.
La preoccupazione dei Comuni in questo senso è evidente ed il
dibattito si accentra infatti su chi gestirà gli alunni in mensa
(ancora i docenti, i collaboratori scolastici, cioè i bidelli, o
personale assistenziale a carico del Comune?) e chi si farà carico di
questo servizio (ancora lo Stato? l’ente locale? cooperative
esterne?).
E’ Valentina Aprea, non “una qualunque” ma il Sottosegretario con
delega all’Istruzione, a sostenere in un dibattito sulla Riforma a
Peschiera Borromeo che la mensa non sarà più compito dei docenti ma,
semmai, dei bidelli, in quanto la vigilanza rientrerebbe, anche
contrattualmente, nelle loro funzioni. Il Ministro Moratti in questa
fase non si pronuncia. Forse nessuno si è ancora preso la briga di
spiegarle cos’è il tempo pieno e che la refezione scolastica non è la
stessa cosa della mensa dei poveri.
Qualche mese dopo, più o meno verso novembre 2003, appare nel
sito web del MIUR, novità assoluta nella storia della legislazione
scolastica italiana, il testo dello schema del decreto con "commento
incorporato", al fine di contrastare le interpretazioni false e
tendenziose e dare finalmente quella autentica. Qui si ribadisce che
non cambierà nulla, che "il tempo pieno degli alunni" continuerà ad
esserci, più o meno nelle forme già previste dalla legge 148/90, che
il tempo mensa continuerà ad essere garantito fino ad un massimo di 10
ore settimanali e che continueranno ad occuparsene i docenti, in
quanto “assistenza educativa”. Peccato che sul piano giuridico siano
gli articoli di un decreto nei vari commi che li compongono ad avere
valore, non un commento aggiunto, per quanto autorevole, ma tant’é.
Prendiamo per buone le precisazioni apportate e consideriamo che si
tratta di un passo indietro o di una correzione di tiro, in ogni caso
di una modifica non irrilevante dell’impostazione iniziale.
A questo punto, e siamo al terzo tempo, la discussione si accentra
sul significato delle 40 ore di tempo scuola. Il Ministro Moratti,
sull’onda del suo prorompente staff e compagnia cantante, con una
lettera si rivolge direttamente ai genitori per rassicurarli, in
particolar modo le madri che lavorano, affermando che il tempo pieno e
le 40 ore di tempo scuola sono garantiti (addirittura
"gratuitamente"..!) e che quindi non ci saranno problemi di sorta. E
giù a sostenere che, anzi, i genitori si troveranno di fronte ad un
ampliamento delle offerte formative potendo addirittura scegliere fra
diversi tempi scuola, (come se la possibilità di scegliere due modelli
orari diversi non fosse già implicita nella legge 148/1990, con
l’opzione fra tempo Modulo e Tempo Pieno…).
Ma qui il “ventaglio” degli orari e delle opportunità si amplia
ulteriormente, la scuola diventa un “servizio a domanda
individuale” e ciascuna famiglia può decidere a seconda di come
gli aggrada e gli fa comodo. Siamo o non siamo in una società basata
sulle leggi della domanda/offerta e del libero mercato? Basta allora
con i modelli statalistici e accentratori, meno Stato più mercato..!
Qualcuno ha subito apprezzato questa maggiore flessibilità e apertura
degli orizzonti e delle offerte formative (a quanto pare anche
un’autorevole rivista come Tuttoscuola non è rimasta indifferente di
fronte a queste profonde "innovazioni"…).
Ma le malelingue insistono: queste 40 ore, intese come
sommatoria di spezzoni orari (27+3+10) sono tutt’altra cosa dalle 40
ore del Tempo Pieno, quello con le iniziali maiuscole, inteso come
progetto didattico e modello educativo unitario. Le “quantità orarie”,
replicano al Ministro, non fanno la "qualità". E, come si sa, la
maldicenza si diffonde, "come una freccia dall'arco scocca, vola
veloce di bocca in bocca", e porta sulle piazze decine di migliaia di
genitori, insegnanti, cittadini, associazioni varie.
Nel frattempo il Ministro, questa volta decisamente mal consigliato
dagli ultras del suo staff, compie un passo falso. Con un atto
amministrativo, una Circolare, apre le iscrizioni ad una scuola che
non c’è, a modelli orari che non sono ancora stati legittimati da una
norma approvata dal Parlamento o dal governo. Apriti cielo: le
opposizioni insorgono e le iscrizioni dovranno ancora essere riferite
ai modelli esistenti (moduli e tempo pieno), sulla base della legge
tuttora in vigore. Almeno per ora e sino all’approvazione del decreto.
A questo punto – e siamo al quarto round – rischiano di
saltare tutti i tempi utili per far partire la riforma dal settembre
prossimo. Si viene a prospettare così una soluzione di ripiego,
d’altra parte “obbligata”. Come risultato, pare, dell’accordo
raggiunto il 10 dicembre tra MIUR e Conferenza Stato-Regioni, si
confermerebbe "in via di prima applicazione, per l'a.s. 2004-2005, il
numero dei posti attivati complessivamente a livello nazionale per l'a.s.
2003-2004 per le attività di tempo pieno e tempo prolungato" (v.
art.14 bis). A livello nazionale, nell’insieme quindi, non
automaticamente negli organici docenti delle varie regioni e province.
E, soprattutto, "in via di prima applicazione" e "limitatamente
all’a.s. 2004-2005".
A questo punto, se il prossimo anno venisse confermato alle scuole
l’organico docenti attuale si aprirebbe uno scenario inedito e
altamente problematico. Se così fosse (e usiamo il se), le
scuole verrebbero a disporre delle risorse di organico del vecchio
Tempo Pieno per attuare il “nuovo tempo pieno” e il nuovo
modello previsto dalla riforma Moratti. In questo caso é facile
azzardare la previsione che, rivendicando i princìpi dell’autonomia
scolastica, i collegi docenti tenderanno a confermare quanto hanno già
espresso in tante mozioni e prese di posizione, vale a dire si
rifiuteranno di attuare un impianto organizzativo fondato sul docente
tutor più satelliti vari, ma confermeranno in buona parte il modello
organizzativo esistente, basato sul gruppo docente paritario e la
contitolarità.
Se questo scenario è corretto e non fantapolitico, ciò vorrebbe dire
che di fatto si delineerebbe un anno di "tregua armata", in attesa
della definitiva applicazione del decreto, con conseguenti e
successive ricadute su organici e organizzazione didattica a partire
dall'anno scolastico successivo.
In caso contrario, cosa può succedere? Che MIUR e governo,
ignorando la protesta delle scuole e le grandi manifestazioni di
questi giorni, procedano imperterriti per la loro strada e il
Consiglio dei Ministri, sbattendosene dei pareri della Conferenza
Stato Regioni, delle Commissioni parlamentari, del CNPI e quant’altro,
approvi il decreto così com’è, con un successivo decreto sugli
organici che assegna alle scuole docenti in proporzione al "monte ore
strettamente necessario" e non alla doppia titolarità (2 insegnanti
ogni classe di T.P.).
In questo caso si aprirebbe da subito una fase di forte conflittualità
e di caos nelle scuole. Fin dal settembre prossimo, con l’introduzione
forzata del tutor e con meno ore e meno docenti assegnati alle scuole,
salterebbero le continuità didattiche su tutte le classi, le
compresenze, l’attuale organizzazione didattica nel suo complesso
(suddivisione per ambiti disciplinari tra i docenti, ecc.).
Insomma una prospettiva non certo pacifica ed edificante. E’ solo
questione di tempi dunque. A meno che non si riesca, sull’onda delle
mobilitazioni di questi giorni, a far ritirare il decreto, a
modificarne la sostanza e a riaprire finalmente un dibattito di massa
sull’intera riforma. Alla ricerca di una riforma condivisa e non
imposta forzatamente. In un Paese normale, con un ceto politico di
governo serio, questo accadrebbe. E infatti succede non molto lontano
da qui, in Francia.
Dedalus
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