Risorgimento, donne

          Un angolo della sala del Centro d'Ambra

L’8 marzo del Centro Ricerche storiche d’Ambra

Il Risorgimento delle donne sottratto all’oblio

Anche se in gran parte dimenticate, non mancarono delle coraggiose protagoniste nelle vicende che portarono all’unificazione d’Italia. La forza degli ideali di libertà e di riscatto sociale alla base di un impegno civile che continuò anche dopo il 1860. Con la costruzione di asili, ospedali e scuole per le donne

Isabella Marino

Non è stata una celebrazione retorica. Né dell’8 marzo né, tanto meno, delle protagoniste del Risorgimento. Ma nel giorno dedicato alla Festa della Donna,  tradizionale appuntamento culturale per il Centro Ricerche Storiche d’Ambra di Forio, quest’ultimo ha voluto proporre alle donne di questo inizio del Terzo Millennio un incontro sul contributo femminile all’unità d’Italia, passando attraverso la riscoperta di alcune figure che, sebbene di primo piano in quel processo storico, al contrario di quelle maschili sono finite troppo presto nel dimenticatoio, tanto che i loro nomi risultano oggi quasi scomparsi dai manuali di storia e, dunque, sconosciuti ai più. Benché nella stragrande maggioranza dei casi il loro apporto non si fosse limitato alla partecipazione più o meno attiva alla fase di unificazione dello Stato italiano, ma fosse proseguito nel tempo, concretizzandosi in iniziative di alto valore civile e sociale in grado di far crescere la nuova nazione come di avviare la costruzione di una società più libera e giusta. Anche per le donne.

Il percorso che trasformò un’idea nella realtà dell’Italia unita dalla Lombardia alla Sicilia fu contrappuntato dal progressivo coinvolgimento delle masse, dunque l’apporto femminile fu determinante in tutte le sue tappe, come quello degli uomini. Anche se si espresse in forme di partecipazione diverse, che lo resero meno “eroico” e dunque più oscuro e anche più facilmente oscurabile da parte degli stessi contemporanei. Lo stesso destino, del resto, che è sempre toccato nei secoli e in parte ancora oggi al ruolo della componente femminile, peraltro numericamente maggioritaria, in tutte – o quasi – le società umane. Di qui l’originalità dell’operazione di recupero e di riappropriazione di una parte trascurata della storia che, lanciata da Nino d’Ambra, è stata portata per una sera a buon fine dalle ospiti del Centro di Ricerche, animatrici appassionate della tavola rotonda dedicata a “Le donne del Risorgimento”. Dinnanzi ad una folta platea quasi interamente al femminile, che si è lasciata subito coinvolgere dal tema offerto alla comune riflessione.

Senza trascurare le tante sostenitrici anonime della causa attraverso l’appoggio assicurato ai loro uomini nella clandestinità, durante la prigionia, nelle azioni di guerra o di rivolta, Nino d’Ambra, che a quel periodo ha riservato una particolare attenzione come storico, ha voluto ricordare in particolare due personaggi: la Sangiovannara , che si spese moltissimo per preparare l’entrata di Garibaldi a Napoli il 7 settembre 1860, e la moglie di Luigi Settembrini Raffaella, detta Gigia. Negli otto anni che il patriota condannato all’ergastolo trascorse sull’isola di Santo Stefano, la donna non gli fece mai mancare le sue visite, fatte a costo di enormi sacrifici. Allora, infatti, per raggiungere l’arcipelago delle Ponziane, partendo da Napoli bisognava fare necessariamente tappa ad Ischia e cambiare diverse imbarcazioni. Così, Gigia si fermava spesso a Forio, da dove ripartiva alla volta di Ventotene e poi dell’isoletta vicina. E ischitane erano le barche che portavano la corrispondenza, comprese le lettere di Settembrini.

Dopo questa breve introduzione, Nino d’Ambra, ha lasciato la parola alle relatrici, che si sono incaricate di ricostruire le storie di alcune protagoniste del Risorgimento, contestualizzando anche le loro vicende personali nel particolare momento storico in cui vissero.

 CRISTINA TRIVULZI DI BELGIOIOSO

Era nata nel 1808 da una nobile famiglia, la milanese Cristina Trivulzi. E quell’origine aristocratica, come ha sottolineato nella sua ricostruzione la professoressa Lina D’Onofrio, le aveva consentito di studiare, un vero privilegio riservato a pochissime per le donne di quel tempo. Una vita serena la sua, negli anni dell’infanzia e della giovinezza, con frequentazioni importanti, come quella con Giulia Beccaria, la madre di Manzoni, e seri interessi culturali. Una vita che si preannunciava simile a quella delle donne del suo rango, tanto più dopo il matrimonio con un giovane nobile, il Belgioso, che sembrava in grado di farla felice. Tra i viaggi della giovinezza, a vent’anni, Cristina giunse sull’isola d’Ischia per le cure termali già molto in voga a quel tempo.

Fu il fallimento del matrimonio, causato dalle continue infedeltà del marito, che spinse Cristina a decidere un cambiamento totale, riprendendo il totale controllo della sua esistenza. Ciò che ben presto l’avvicinò a quanti coltivavano le idee mazziniane. Del resto, aveva conosciuto personalmente molto tempo prima il fondatore della “Giovine Italia”.

Ricca, non esitò a sostenere concretamente le azioni dei Carbonari, fino a finanziare Ciro Menotti per i moti di Modena. Questa sua contiguità con i gruppi clandestini la costrinse a trasferirsi all’estero, a Parigi, dove animò un salotto frequentato da intellettuali e musicisti, tra i quali Bellini, Liszt, De Musset. Fu nella capitale francese che venne in contatto con il socialismo utopistico, restandone conquistata. Il suo impegno a favore dei fuoriusciti italiani, di quanti lottavano per l’unificazione italiana divenne instancabile. Insieme alle sue attività umanitarie. Durante la breve esperienza della Repubblica Romana, a cui non volle rimanere estranea, Cristina di Belgioso organizzò nella Città Eterna dodici ospedale, avvalendosi della collaborazione di aristocratiche e prostitute.

Partecipò con crescente coinvolgimento al periodo travagliato, ma foriero di straordinari cambiamenti, che portò a realizzare il progetto di unire tutti gli stati e staterelli della Penisola. Ma il suo impegno politico e civile non si esaurì con l’unificazione. Cristina si dedicò alla costruzione e organizzazione di numerosi asili e scrisse perfino un manuale di puericultura. Non fu la sua unica opera. Giornalista nota anche in Francia, Cristina di Belgioioso ha lasciato vari scritti. Morì nel 1871, quando il sogno dell’Italia unita si era ormai compiuto.

  BIANCA DE SIMONI REBIZZO

Altra figura di aristocratica proiettata verso il nuovo rappresentato dalle idee dei fautori dell’unità d’Italia, assidua dei salotti culturali milanesi, Bianca De Simoni, sposata al poeta Rebizzo, si trasferì ben presto a Genova, dove animò ella stessa un noto salotto, regolarmente frequentato dal fior fiore degli intellettuali presenti in città, ma anche di convinti patrioti, tra i quali Mariani, Bixio, Mameli.

Delineata dalla vicepresidente distrettuale della Fidapa, Caterina Cesareo, la storia di Bianca De Simoni si intreccia con quella di alcune delle imprese più significative dell’epopea risorgimentale, che furono discusse e pianificate nella sua casa: dal primo, sfortunato tentativo di trasferire la rivolta pro-unità nel Mezzogiorno ad opera di Carlo Pisacane alla vittoriosa campagna dei Mille.

A Genova il nome di Bianca De Simoni è legato alla fondazione del primo collegio femminile nel 1850 e, in seguito, del primo asilo cittadino.

  ANTONIETTA DE PACE

Ben tre sono state le biografe di una delle donne che maggiormente contribuirono alla causa dell’unità, Antonietta De Pace. Ad occuparsi della coraggiosa sostenitrice della libertà originaria di Gallipoli, in Puglia, dov’era nata nel 1818, sono state la professoressa Emilia Sorrentino, la professoressa Anna Verde e la signora Anna Maria Piccolo.

Di estrazione borghese, ma con una buona istruzione, Antonietta era cognata del patriota Epaminonda Valentino e fu tramite lui che entrò in contatto abbastanza con i gruppi antiborbonici. Determinata, audace, sprezzante del pericolo, insofferente verso ogni forma di ingiustizia, Antonietta svolse un delicatissimo lavoro di collegamento e di supporto rispetto ai gruppi di patrioti che operavano tra la Puglia e la Campania. Dopo aver partecipato ai moti del maggio del 1848 a Napoli, fermatasi in città ricorrendo a travestimenti e trovate di ogni genere per sottrarsi alla polizia borbonica, fondò nel ’49 un primo comitato femminile.

Arrestata, rimase a lungo in prigione, in condizioni durissime, che tuttavia non la videro mai cedere alla delazione per salvarsi la vita. Che salvò in extremis, a conclusione di un processo drammatico che la vide protagonista, durante il quale riuscì a conquistarsi l’appoggio della stampa e dell’opinione pubblica.

Il 7 settembre 1860, nel suo ingresso a Napoli, due sole donne si trovarono a sfilare a fianco di Garibaldi, Emma Ferretti e Antonietta De Pace. E come riconoscimento per l’opera straordinaria che aveva svolto per la causa unitaria, il comandante le assegnò una pensione.

La De Pace si dedicò anima e corpo ad attività sociali. Direttrice dell’ospedale del Gesù, riservò molte delle sue energie alla formazione dei giovani e a diffondere l’istruzione tra le donne.

  ENRICHETTA CARACCIOLO

Altro personaggio di spicco, al quale hanno dedicato la loro attenzione la professoressa Chiara Mattera e l’architetto Ilia Delizia, è stata la napoletana Enrichetta Caracciolo. Una storia, la sua, di sofferenze, rinunce e prevaricazioni, che tuttavia non la vide mai vittima rassegnata, bensì fiera lottatrice per riconquistare la propria libertà e affermare la sua dignità di persona, contestualmente alla battaglia ideale a favore dell’Italia unita.

Nata nel 1821, già da ragazzina era stata messa in convento dalla madre, nel monastero di San Gregorio Armeno. A vent’anni, costrettavi dai condizionamenti familiari e sociali, pronunciò i voti, senza accettare tuttavia che quello dovesse essere il suo destino. Ribelle, contestatrice tanto da guadagnarsi presto fama di rivoluzionaria tra le pareti del monastero e al di là di esse, Enrichetta che già si nutriva delle idee liberali e neppure lo nascondeva, fece ogni tentativo per ottenere la dispensa, indirizzando varie volte le sue istanze fino al papa Pio IX. Ma ogni volta trovò un deciso oppositore nell’arcivescovo di Napoli Riario Sforza, che dovette tuttavia arrendersi alla decisione del Papa di consentire ad Enrichetta di lasciare per qualche tempo il convento per motivi di salute.

Nel 1851 fu arrestata per il suo sostegno ai rivoluzionari. Dopo un periodo di isolamento e varie peripezie per sottrarsi ai continui controlli della polizia borbonica, si diede alla clandestinità. E continuò ad appoggiare i patrioti fino all’ingresso di Garibaldi.

Il 7 settembre 1860, giorno storico per la Città e per l’Italia, Enrichetta poté deporre il velo e riottenere la libertà personale che aveva a lungo inseguita. Qualche tempo dopo sposò il patriota Giovanni Greuter e al suo fianco proseguì il suo impegno attivo da “cittadina”, come amava che la definissero, nel campo sociale e politico.

Nel 1864 diede alle stampe “I misteri del chiostro napoletano”, la sua autobiografia, che divenne in poco tempo un vero e proprio best seller del tempo, tradotto in numerosi paesi europei fino in Russia. Un testo in cui le vicende personali si collegano a quelle del disfacimento del regno borbonico e dell’unificazione italiana, che tornò bruscamente d’attualità, insieme al nome della sua dimenticata autrice nel 1964.

Del “Risorgimento invisibile” fatto dalle donne ha trattato la professoressa Rosa Impagliazzo, che si è soffermata anche sulle prime lotte femministe che in quei decenni si organizzavano negli altri Paesi europei, dove la questione nazionale era già risolta da secoli.

  VIRGINIA OLDOINI, LA CONTESSA DI CASTIGLIONE

A completare l’affresco del contributo delle donne al Risorgimento italiano è stata la presidente della Fidapa di Ischia, Rita Agostino, che ha ricordato il personaggio femminile di cui si è conservato più vivo il ricordo fino ai nostri giorni, pur essendo (o forse non a caso) il più discusso del gruppo: Virginia Oldoini, contessa di Castiglione. L’unica ad aver messo in gioco la sua bellezza più che la forza delle idee, che era stata determinante nell’impegno delle patriote di cui abbiamo trattato finora.

Bellissima, tanto da essere considerata la donna più bella d’Europa, figlia di un ambasciatore e di una nobildonna di Firenze, frequentatrice della buona società, amò la vita mondana nella quale poteva valorizzare le sue qualità, apprezzate soprattutto dagli uomini.

Sposata al conte di Castiglione, cugino di Cavour, si distinse ben presto alla corte sabauda, dove frequentò assiduamente Cavour che, accortosi della sua capacità non comune di relazione e anche delle sue doti diplomatiche, decise di usarne la prima e le seconde per convincere Napoleone III ad allearsi al Regno di Sardegna. Fu così che iniziò la missione di seduzione con finalità politico-diplomatiche di Virginia, che non tardò, una volta giunta nella capitale francese, ad ottenere il suo scopo, conquistando l’imperatore.

Un contributo, il suo, determinante per l’alleanza franco-piemontese che fu una delle carte vincenti del progetto unitario gestito da Cavour.

Ma quella fama legata alla bellezza venne meno con quella. Poco a poco, con l’avanzare dell’età, finì con il restare sola, senza rassegnarsi al decadimento fisico e alla perdita delle armi che l’avevano resa sempre vittoriosa in gioventù. Morì in solitudine. E né l’Italia né la Francia le tributarono particolari onori. Eppure, il suo nome non è stato coperto dall’oblio.

(Isabella Marino, “Il Golfo” dell’11 marzo 2006)

 

Un secolo fa moriva la giornalista inglese

Jessie White Mario, al servizio degli ideali del Risorgimento

La storia dell’invia del Daily News che s’innamorò dell’Italia, dedicandosi alla causa dell’unità. Al seguito di Garibaldi. Quella visita a Forio con il marito Alberto Mario. Sua la prima inchiesta giornalistica sul ventre dolente di Napoli

Isabella Marino

Fa parte a pieno titolo del gruppo di donne che ricordiamo nelle pagine seguenti. Protagoniste appassionate degli albori della storia unitaria d’Italia. Ma Jessie White Mario, oltre ad aver preso parte attivamente al processo di unificazione, l’ha anche raccontato, come biografa di due padri del Risorgimento, Mazzini e Garibaldi, e l’ha fatto conoscere all’estero, in veste di cronista prima del “Daily News” e in seguito del “Morning Star”. Testimone ed artefice al tempo stesso della radicale trasformazione di un Paese che, poco a poco, aveva imparato ad amare e che poi aveva scelto come suo. Fino al punto di mettere in gioco la sua stessa vita in un’impresa nella quale aveva profuso tutta la sua carica ideale. Un’inglese conquistata ad una grande causa lontano dalla sua isola. Non l’unico caso in piena età romantica, come Byron insegna.

Determinanti per il suo coinvolgimento ideale prima che attivo nella lotta per l’indipendenza d’Italia, furono i due incontri con gli uomini di cui lei per prima avrebbe scritto il ritratto da tramandare ai posteri. Il primo incontro con Garibaldi, nel 1854 in Italia, le rivelò quanto stava accadendo e stava per accadere nel paese dove era stata mandata dal suo giornale come inviata. Poi, due anni dopo, l’incontro con Mazzini nella “sua” Londra. Determinante per il passaggio dalla fase della conoscenza, della sensibilizzazione, dalla compenetrazione delle vicende di quella terra straniera che tanto l’aveva affascinata, a quella dell’impegno diretto al sostegno del grande progetto politico, rivoluzionario di “reductio ad unum” di ciò che sempre era stato diviso.

Così, Jessie finì per trovarsi, e non più solo per dovere di cronista, sempre nei luoghi dove si accendevano i fuochi della lotta per l’indipendenza. Con un impegno personale, che la portò in prigione per alcuni mesi. Un’esperienza che l’avvicinò ad un italiano, fervente patriota, come Alberto Mario. L’amore per la cultura e gli ideali risorgimentali li unirono, moltopiù che a livello intellettuale, visto che si sposarono alla fine di quell’anno 1857 così intenso di impegno per entrambi.

Da allora continuarono insieme il percorso che avevano iniziato individualmente. Ritrovandosi a fianco di Garibaldi nei luoghi più diversi della Penisola. Fino a partecipare con lui alla spedizione dei Mille, che avrebbe conquistato all’Italia unita tutto il Mezzogiorno.

Con il Generale Jessie White e il marito giunsero a Napoli il 7 settembre del 1860. E pochi giorni dopo dovettero partire per Ischia. L’episodio che portò Alberto Mario e Jessie sulla nostra isola è raccontato diffusamente nella biografia dell’Eroe dei Due Mondi firmata dallo storico ischitano Nino d’Ambra.

A inviare Alberto Mario a Ischia fu proprio il Generale, dopo essere stato convinto dall’allora sindaco di Forio Giovanni Pezzillo a spedire subito un contingente armato sull’isola per mettere fine alla ancora forte resistenza borbonica che, a suo dire, si concentrava soprattutto a Forio. Così il 12 settembre Alberto Mario partì da Napoli diretto a Ischia con un folto gruppo di armati, buona parte dei quali però fu costretto a destinare a Baia, per un imprevisto. Dunque, ad imbarcarsi da Pozzuoli verso l’isola furono il Mario, con pochissimi uomini, e Jessie White, che in quel periodo si occupava di prestar cura ai feriti all’ospedale di San Sebastiano. La barca fermò a Procida, poi ripartì per Ischia. All’alba del giorno seguente il gruppo si mosse verso Forio. Ma lì, invece di trovare una rivolta, s’imbatterono solo in una folla plaudente, che li accolse con tutti gli onori. E le donne, in particolare, riservarono grandi attenzioni a Jessie, ospitata con tutti i riguardi in un paese in festa.

Proprio Mario descrisse l’episodio nelle sue memorie, raccontando anche l’epilogo di quella strana vicenda, causata non tanto da un conflitto politico quanto da una vecchia ruggine che opponeva alcune famiglie locali. L’inviato del Generale con pieni poteri, indispettito per il comportamento di Pezzillo lo destituì da sindaco, sostituendolo con Nicola Regine, suo fiero oppositore. Ma poi con uno stratagemma, aiutato dalla moglie, riuscì a far riappacificare i due, con gran sollievo del popolo foriano che si era ritrovato in mezzo alla faida familiare. Alberto e Jessie partirono quello stesso giorno, salutati con grande affetto e riconoscenza dalla gente di Forio.

A Napoli Jessie tornò diversi anni dopo, quando la costruzione dell’Italia unita poteva ormai dirsi finita, con la conquista di Roma. Era il 1876 e a spingere stavolta a Napoli la White fu la sua curiosità di giornalista, supportata peraltro dal suo forte impegno civile. A sollecitare il suo interessamento era stato Pasquale Villari con le sue “Lettere Meridionali” che l’avevano convinta a doversi rendere conto di persona di ciò che aveva letto. In quella città, che tanto bene aveva conosciuto nel ’60, ricominciò un’esplorazione che la spinse nei luoghi dove tentavano disperatamente di sopravvivere giorno dopo giorno uomini, donne e bambini privi del necessario fino al punto di aver perduto o di non essere mai riusciti a possedere la loro dignità di persone. Le loro storie, i loro drammi, descritti con cruda immediatezza, Jessie li pubblicò su “Il Pungolo”, la rivista sulla quale scriveva anche Villari, come un’inchiesta a puntate. E fu, quella, la prima inchiesta giornalistica in Italia. Una fotografia senza mediazioni del “ventre di Napoli” e di quella questione meridionale di cui si cominciava ad avere appena la percezione. E sulla quale contribuì ad accendere i riflettori della stampa libera e dell’opinione pubblica anche l’opera della White Mario.

Quella serie di articoli, l’anno seguente, fu raccolta in un libro, “La miseria in Napoli”, che mantiene inalterata, ancora oggi, la sua forza di testimonianza e di denuncia.

Negli anni seguenti, Jessie White scrisse, tra l’altro, le due biografie, dallo stile abbastanza agiografico, ma comunque complete e ricche di documenti e testimonianze inedite, dedicate a Mazzini e a Garibaldi. Due opere che sono state punto di riferimento per gli storici che in seguito si sarebbero ancora occupati dei due illustri personaggi.

La White Mario morì il 5 marzo 1906. Cento anni fa. Delle donne che fecero il Risorgimento, Jessie White Mario è una delle poche di cui i posteri hanno mantenuto viva la memoria.

(Isabella Marino, “Il Golfo” dell’11 marzo 2006)

Bibliografia

Nino d’Ambra, “Giuseppe Garibaldi, cento vite in una”, Grassi Editrice

  Jessie White Mario, “La miseria in Napoli”, Imagaenaria