POLITICA
TUTTA DA RIDERE.
POESIE
GIOCOSE E FAVOLE POLITICHE
DEL
POETA DELL’EPOMEO
Il libro ”Poesie giocose e favole politiche del Poeta dell’Epomeo” (pagg.
96), edito dal Centro di Ricerche Storiche d’Ambra e “curato” dall’avv.
Nino d’Ambra, raccoglie in volume scritti
pubblicati dal Poeta dell’Epomeo sul quotidiano Il Golfo nell’arco
temporale che va dal 1989 al 1998; è diviso in due parti, Poesie giocose ( in versi,
ovviamente) e Favole politiche (in
prosa), precedute da una piacevole introduzione del curatore, nella quale questi
traccia un excursus della poesia satirica isolana, fortemente connotata dalla
presenza foriana di Giovanni Maltese, di Giovanni Verde e di
Luigi Polito.
Apre il libro una poesia di Nino d’Ambra, in dialetto foriano,
intitolata “ ‘U Mummulero “ di grande freschezza e vivacità, anche
verbale, nella quale il dialogo fra il poeta e il portatore d’acqua, dai forti
accenti popolareschi, si risolve in una sostanziale e quasi paradossale
incomunicabilità tra i due, con codicillo finale da parte del poeta il quale,
sconsolato e meditabondo, osserva che “a lavare la testa all’asino…” con
quel che segue.
Il primo soggetto ad esser preso di mira dagli strali del Poeta
dell’Epomeo è l’ischitano: costui, oltre a fornire il titolo alla poesia,
pervasa da corposa ironia che verso la fine si volge in sarcasmo, è diffidente
dei compaesani ma amante del forestiero al punto di affidargli incautamente i
propri soldi, perdendoli (in una poesia del Giusti,
“Il sortilegio”, accade qualcosa di simile).
Una satira accentuata e quasi feroce domina “L’avvocato”, mentre un
tono di saggia pacatezza percorre i versi de “L’invidioso”. Brucianti
sferzate si abbattono sui giornalisti, dei quali il Poeta dell’Epomeo svela
miserie e meschinità, sui galoppini elettorali e sui politici, senza
risparmiare (a ragione) gli elettori, spesso “più cialtroni” degli eletti.
Che dire poi del clero indisciplinato, riottoso, mondanizzato e venale, che mal
sopporta le prediche del vescovo, peraltro inascoltato?
Di pronto impatto e pervasa di popolare comicità anche per la rima
baciata e l’immediata semplicità linguistica, è la composizione “Lo
Scalpello dello Scultore”, mentre i versi di “Signore” napoletane ci
offrono un esempio di “finezza” di lingua e di comportamento. Poi
l’attenzione del poeta si appunta sull’Avvocata, ignorante e incapace,
sessuomane incallita ma, proprio per questo, insoddisfatta. Merita infine
considerazione “Epomeo, addio!”: sul monte cade, come neve, una grattugiata
di malinconia, ora che anch’esso è stato violato da un “progresso”
gaglioffo, ma anche da prepotente rozzezza. Il Poeta, in questa realtà corrotta
e consumistica, pensa che sia opportuno guardare l’Epomeo dal basso e, con la
complicità della luna, ancora sognare. E’, in qualche modo, una resa
sconsolata, che testimonia il crollo nella società ischitana di ogni valore
tradizionale.
Passando poi alle Favole politiche, ci balza agli occhi e si squaderna
l’universo variegato della politica e della società isolana. Emergono figure
e figurine di personaggi, colti nei loro aspetti più particolari e talvolta
intimi, ma anche più discutibili e comici. Il fatto saliente è che, ancor
prima del nascere del “fenomeno” berlusconiano, già ci fosse spazio,
sull’isola d’Ischia, per una sorta di culto ( attivo e passivo come
l’elettorato) dell’immagine e della personalità neppur tanto latente: anche
così si spiega il dominio della scena politica da parte di individualità come
quelle di Iacono, Mazzella, Colella, ecc.; e, prima ancora, di altri che in
questa sede non è il caso di nominare.
Anche in queste “Favole” l’Autore esercita la sua arguzia, spesso
parodiando, sempre usando un linguaggio antifrastico di notevole effetto; ma
soprattutto fa satira
( questo, più
di altri, mi pare il genere letterario che più si addica all’opera),
irridente quanto basta, sobria, e dunque mai eccessiva o gridata.
Un cenno a parte meritano le illustrazioni, ben conteste con i contenuti,
che spesso recano didascalie davvero esilaranti. Lo stile, poi, è, a seconda
delle circostanze, amaro, pungente, caustico, faceto, sottile, mordace; ma
tuttavia pervaso da soffusa bonomia.
Infine la copertina: vi appare uno scorcio dell’isola con la mole
dell’Epomeo; sotto, una banconota da un dollaro con, al centro, la scritta in
corsivo ”epomeo addio!”: inequivocabile riferimento alla venalità di tanti,
troppi ischitani che, per amore di denaro, hanno svenduto se stessi e tradito e
violentato la propria terra.
Per chiudere, i volti della quarta di copertina possono fungere da
sinossi fotografica del libro. Che invito a leggere per un momento di
sano interludio.
Pasquale
Balestriere
(quotidiano “Il Golfo”, 22 febbraio 2007, pag. 17)