Petrarca, settecento anni dalla nascita
Il relatore, prof. Luigi Fienga (al centro), con alcuni ammiratori.
FRANCESCO PETRARCA A NAPOLI
- Pregevole relazione del prof. Luigi Fienga -
La serata ha avuto inizio con la lettura delle poesie più note del Petrarca, interpretate efficacemente da Margherita Ivaldi, Rita Di Meglio, Caterina Mazzella, Maria d’Ascia e Gemma d’Ambra, con un bucolico e appropriato sottofondo musicale del flauto traverso di Maria Serena Schioppa e del clarinetto di Francesco Casilli. Un’atmosfera poetica a cui non erano estranei i ricordi e la nostalgia del sempre amato periodo scolastico!
In successione ha preso la parola Nino d’Ambra, coordinatore del meeting, che, fra l’altro, ha ringraziato il prof. Fienga per aver accettato l’invito del Centro d’Ambra, ed ha ripercorso, con accenti appropriati, il curriculum di studioso e di ricercatore dell’illustre conferenziere, curriculum che era stato già dato in precedenza alle stampe (vedi “Il Golfo” del 27.12.2003) e distribuito in copia a chi era sfuggito l’articolo. Poi l’avv. d’Ambra ha illustrato i motivi che hanno indotto il Sodalizio da lui presieduto, a dedicare “l’attenzione” culturale al Petrarca, poeta di valenza universale (Il Canzoniere è stato tradotto anche in cinese e in giapponese), grande umanista, giurista, politico d’avanguardia e uomo con alto senso dell’amicizia e della fedeltà; citando il Carducci che giudicò il Petrarca (assieme a Dante) uno dei fondatori più antichi della Nazione Italiana. L’umanesimo del Petrarca – ha proseguito, fra l’altro, il prof. d’Ambra – precorre la civiltà occidentale basata sull’uomo, sulla sua umanità, sulla giustizia e sul concetto moderno di eguaglianza. Secondo d’Ambra è l’esistenzialismo teologico di Soren Kierkegaard e di Karl Barth il “referente” del pensiero filosofico del Petrarca nella cultura del Novecento.
Accostarsi
alla figura e all’opera di Petrarca ha significato per il relatore muoversi in
un attento equilibrio tra la citazione delle fonti e dei testi più direttamente
illuminanti il tema in questione da una parte e l’esigenza di organare
dall’altra i passi medesimi in un tessuto espositivo di più ampio ed
accessibile respiro, capace di far emergere con tutto il rilievo esistenziale di
protagonista dell’inquieta ed inquietante stagione che chiuse, ma non
concluse, le discordie dinastiche nel regno meridionale.
Così
si sono venute precisando le due presenze del Petrarca a Napoli: la prima volta
nel 1341, vivendo Roberto d’Angiò; la seconda volta nel 1343, quando da poco
era morto l’illustre sovrano e regnante già la giovane nipote Giovanna I.
La
prima, per sottoporsi all’esame che lo avrebbe condotto alla laurea poetica in
Campidoglio; la seconda, come ambasciatore per risolvere i difficili affari di
stato che erano subentrati alla morte di Roberto.
Questi
i fatti, oltremodo noti, della biografia del Petrarca.
Ma
il problema che ha posto Fienga,
nella prima parte del suo intervento, è stato quello di mettere in luce,
attraverso le stesse opere del cantore di Laura, il perché lui scelse il re di
Napoli quale esaminatore per il conseguimento della sua laurea in Campidoglio e
quali furono i capovolgimenti culturali e intellettuali di cui beneficiò
l’intellighenzia napoletana con i suoi innumerevoli interventi a Corte.
Nella
formazione e nella diffusione del classicismo trecentesco l’operato del
Petrarca, che tenne diretti contatti con i centri culturali dell’Europa del
tempo, ebbe una funzione decisiva sugli intellettuali della nuova generazione
napoletana, i quali avevano seguito a Firenze il figlio di re Roberto, Carlo
duca di Calabria, in quella missione diplomatica di reggenza della repubblica di
Firenze negli anni ’20, e nella quale già avevano avuto l’occasione di
conoscere e contattare i circoli del nascente umanesimo toscano.
Barbato
da Sulmona, Giovanni Barrili e Niccolò Alunno d’Alife, presenti a Corte
durante l’esame reale del Petrarca, vennero così naturalmente attratti
nell’orbita del suo magistero, risentendo della sua guida e restando per tutta
la vita legati in amicizia con lui.
In
ogni caso, la particolare sensibilità del re per il nuovo orientamento degli
studi spiega anche l’accoglienza che ricevette il poeta, il quale, proprio a
Napoli da re Roberto, ebbe l’approvazione del conseguimento della laurea in
Campidoglio.
Che,
poi, la medesima sia stata presentata dallo stesso Petrarca come scaturente da
una congiuntura di una biografia esemplare e tacendo, invece, nei suoi scritti,
sul modo in cui essa fu resa possibile, è stata argutamente spiegata dal
relatore attraverso vari momenti della vita del poeta; il privilegio, in verità,
gli arrivava del tutto straordinario: come poeta, non aveva ancora pubblicato
molto per meritarselo, tuttavia la protezione della potente famiglia dei Colonna
e i molti estimatori dai quali era riuscito a farsi apprezzare, sicuramente
bastarono a fargli conseguire il successo.
La
storia dell’incoronazione poetica, ha spiegato Fienga, parte da lontano: a
Parigi, aveva trovato un patrono, nel fiorentino Roberto de’ Bardi, teologo e
cancelliere presso quella Università, da lui conosciuto quando vi si recò nel
1333; a Roma, poi, nel gentiluomo Orso dell’Anguillara, che aveva sposato
Agnese Colonna, sorella del cardinale Giovanni, e presso il quale era stato
ospite nel gennaio-febbraio del 1337 a Capranica, nel corso del suo primo
viaggio a Roma; a Napoli, infine, l’esame richiesto dal poeta stesso, era
stato opportunamente predisposto dal teologo e letterato agostiniano Dionigi da
Borgo San Sepolcro, presente a corte dal 1340, affinché il prestigioso sovrano
ne assumesse il patrocinio e da lui fosse dichiarato degno della corona poetica.
La
scelta di Roma, ha fatto presente il relatore, corrispondeva a una precisa
strategia culturale: far coincidere la gloria letteraria con la missione civile
del letterato.
A
Napoli, la fama del poeta era stata rafforzata, vivendo
re Roberto e anche dopo, dall’amicizia che il Petrarca intrattenne con
alcuni fra i più insigni letterati napoletani, che rimasero da lui apprezzati
amici e sostenitori del nascente umanesimo: Barbato, Barrili e Niccolò Alunno.
Del
secondo viaggio nel regno meridionale, nel 1343, la documentazione è
evidentemente distesa e soddisfacente.
Presente
a Napoli, in veste ufficiale, su preciso incarico del cardinale Colonna e del
papa Clemente VI, Petrarca ufficialmente intervenne presso il Gran Consiglio,
fortemente condizionato dal monaco dissidente Roberto da Mileto per restituire
la libertà alla famiglia Pipino, protetta dal Colonna e, allo stesso tempo, per
portare la voce del romano pontefice, che da Avignone lamentava il diritto di
nominare un suo vicario nella minorità di Giovanna.
La
missione si tradusse in un insuccesso diplomatico.
E
in attesa di una risposta dal Consiglio, la quale giammai venne data
direttamente a lui, fece quell’escursione con i due amici Barbato e Barrili
nei Campi Flegrei e nei luoghi virgiliani con quel sereno spirito di umanista,
che aveva già desiderato fare nel 1341 e che restò, dopo tutti i fastidi
subiti, l’unico sollievo.
La
visione di Baia, di Pozzuoli, di Miseno, di Cuma, dei laghi d’Averno e di
Lucrino, dell’antro creduto della Sibilla e di Literno fu cagione di quelle
intense emozioni che si tradussero, ha sottolineato il relatore, in documento di
somma importanza storica.
La
relazione che ne seguì al cardinale infatti rappresenta un’autentica
ricognizione del loro patrimonio culturale ed archeologico, che nessuno più
efficacemente di lui avrebbe potuto descriverne l’incomparabile valore al
nascente Umanesimo italiano.
E
il legame di amicizia con Barbato e il Barrili, che gli avevano fatto da guida,
nutriti anch’essi di studi e di poesia antica, si venne rafforzando da quel
giorno ancor di più trasformandosi in culto vivissimo per il Petrarca, che a
Napoli, insieme a queste nuove leve della cultura, costruì quelle valide basi
che si riveleranno in seguito quali sicuri avamposti per il nascente umanesimo
italiano.
Serrata
e convincente la conclusione di Fienga, che, ai dispiaceri subiti dal Petrarca
dalla Corte e dai giovani regnanti, nell’occasione della missione, ha
contrapposto, citando una epistola senile, il sincero sentimento di devozione
del poeta, durato tutta una vita, verso la città di Napoli.
Dopo un’interruzione di carattere natalizio, allietata da melodici
motivi inerenti al tema dell’incontro, da parte del Gruppo Musicale del
Maestro Filippo Schioppa, si è sviluppata un’ampia discussione di
approfondimento fra gli ospiti ed il relatore. Il sapiente scambio di vedute tra
quest’ultimo e la prof.ssa Angiola Maggi, presidente del Circolo culturale
“Georges Sadoul”, ha catalizzato l’attenzione dell’ultimo scorcio della
lunga serata.
( Rosaria Conte,quotidiano “Il
Golfo” dell’8 gennaio 2004, pagg. 25 e 26)