Medicina a Napoli e l'Osservatore Romano
La medicina a Napoli nell’Ottocento
Forio d’Ischia, Centro di Ricerche Storiche d’Ambra, 1990.
Durante tutto l’Ottocento, vale a dire sia sotto i Borbone che nell’Italia
unita, Napoli fu una palestra importante di sperimentazioni e di dibattiti nel
campo della medicina. Negli ospedali, all’università e in altre sedi
accademiche si segnalarono ricercatori,clinici, chirurghi e altri operatori
sanitari — basti citare Antonio Cardarelli — che hanno un posto di rilievo
nella storia della medicina. Tra gli altri, Gaetano Conte e Giuseppe De Nasca
precedettero il famoso neurologo francese Duchenne nella descrizione della
distrofia muscolare progressiva. Una testimonianza si-gnificativa di questo
fervore di studi e di applicazioni è costituita dalla vasta gamma della stampa
specializzata: ben cinquanta riviste mediche videro la luce nell’arco di un
secolo nella città partenopea. Il prestigio di cui godeva la «scuola» trova
ulteriore conferma nel fatto che ai suoi rappresentanti ricorsero in diverse
circostanze i protagonisti del Risorgimento. Cosi Giuseppe Capuano, che si
illustrò anche nell’oculistica, fu il ginecologo di Casa Savoia e assistette
la regina Margherita quando dette alla luce — l’11 novembre 1869 a Napoli
— Vittorio Emanuele III. Al clima balsamico di Posillipo e alle cure dei
luminari locali si affidò nel 1882 anche Garibaldi, nel 1882, ormai carico
d’anni e di acciacchi. La scuola medica napoletana fu anche all’avanguardia
in Italia nella sperimentazione dell’omeopatia: alla metà del XIX secolo,
infatti, furono aperti reparti ospedalieri e farmacie e uscirono pubblicazioni
periodiche sulla «medicina alternativa». Il più convinto pioniere fu Tommaso
Cigliano, che tra il 1895 e il ‘97
riuscì ad ottenere una cattedra all’università. Sulla facciata della sua
casa a Forio d’Ischia si legge
ancora la scritta Similia similibus (curantur),
che riassume la filosofia della medicina omeopatica, allora guardata con
sospetto dagli ambienti scientifici ufficiali. Dopo il ‘60, per quanto non
fosse più la capitale di uno Stato, Napoli era ancora un importante crocevia di
popoli e di scambi economici. Nel 1877, pertanto,vi fu fondato un ospedale
internazionale, amministrato dal corpo consolare, che per regolamento accoglieva
«malati residenti e di passaggio, di qualunque nazionalità, anche italiani,
esclusi i napoletani». È il caso di ricordare che nell’Ottocento gran parte
della popolazione di Napoli viveva in precarie condizioni igienico-sanitarie ed
era esposta al rischio di ricorrenti epidemie. Ciò nulla toglie alle
benemerenze della scuola medica partenopea, che la pubblicazione in oggetto
documenta sulla base di un’ampia ricerca archivistica.
Paolo Befani
( ”L’Osservatore
Romano” del 23 ottobre 1991, pag.5, Scaffale)