Giuseppe Garibaldi |
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A conclusione delle manifestazioni per il BICENTENARIO DELLA NASCITA DI GIUSEPPE GARIBALDI, il Centro di Ricerche Storiche d’Ambra vuole lasciare alla riflessione degli interessati alla verità storica, alcune ricerche sulle considerazioni che uomini di cultura, istituzioni e giornali ( specie provenienti da quella parte di territorio nazionale che oggi da taluni viene chiamato “Padania”) del giugno 1882, a seguito della morte di Giuseppe Garibaldi che, come è noto, avvenne il 2 giugno 1882: dunque a 125 anni dalla scomparsa, lontano dalle passioni e dalle rivendicazioni (ideologiche?) successive.
Alla luttuosa notizia Giosuè Carducci
esclamò: << ….Lasciatemi in pace, Che versi, che prose, che iscrizioni.
Vorrei che ci fosse il diavolo e vi portasse via tutti. Bruciate tutti i vostri
poeti, me per primo. Avete sentito le ultime parole sulle capinere. E ora non
vogliono rispettare nemmeno l’ultima sua volontà. Non vogliono che l’Eroe
bruci su di una catasta omerica nel cospetto del mare e del cielo. Lo vogliono
trasportare a Roma per fare delle processioni, del chiasso, delle farse.
Oh, ora capisco perché il popolo italiano non ebbe mai vera epopea».
E il grande Giovanni Bovio: <<…..Garibaldi
si ribella a chi lo spiega: si allontana da chi lo narra, lo avvolge nel mito
chi più si argomenta liberarnelo. In America il repubblicano, in Italia il
cittadino, in Digione l’uomo; così sarà delineata la trilogia del Mito. In
America fu contemporaneo con la generazione del 1831; in Italia fu contemporaneo
con la generazione del 1848; in Digione fu contemporaneo con l’Umanità.
Tirato fuori da questi termini, Garibaldi finisce, resta un capitano di ventura
in ritardo. La grandezza dei monumenti del popolo e questo etere latinamente
avvezzo a mezzana virtù sforzano a credere che in questa medesima ora si
celebri sopra di noi un’apoteosi invisibile>>.
“L’Italia militare”: « L’esercito italiano ha sempre compreso tutta la grandezza di Garibaldi; ha spesso diviso per il valorosissimo capitano i popolari entusiasmi; lo ha sempre amato e venerato, anche in quei momenti dolorosissimi e strazianti in cui, invece di averlo insieme nelle battaglie, lo ebbe di fronte per combatterlo. Lo ha sem-pre amato e venerato, ma pur sapendo che al di sopra di un uomo, per quanto grande sia, vi è la Patria, il Re, la Legge. Ed Egli, grande più di quanto non fosse stato compreso da molti, ha sempre ricambiato all’Esercito Italiano l’affetto profondo, perché ne conosceva le virtù severe, le ammirava, anche quando esse erano in momentaneo contrasto coi suoi generosi disegni ».
L’avversario accanito e indomabile di
Garibaldi, “La Libertà Cattolica” (quotidiano
napoletano): « Giuseppe Garibaldi è morto! — Giuseppe Garibaldi non è
più. Ieri sera alle ore 6,30 egli lasciò la terra. Il Tribunale di Dio lo ha
giudicato; la storia lo giudicherà. La Notizia di questo avvenimento si è
sparsa per tutta la nostra Città. Con la moltitudine delle parole si ostentano
gli affetti. Ma negli uomini che l’adoravano regna la desolazione più triste.
Un giornale del mattino scrive: “ Questa notizia, come un grido di
disperazione, ha percorso con la rapidità del baleno da un capo all’altro
l’Italia “. Disperazione? È forse spacciata l’Italia per tal fatto? È
forse un mortale vaticinio?..... Ah! solo chi non crede in Dio, si dispera alla
morte dei cari, secondo l’altissima sentenza dell’Apostolo! L’Italia con
la morte del suo figlio più illustre, più caro, è ferita al cuore, e non ha
lacrime per piangere. Chi è ferito al cuore è in preda alla morte. Ed i morti
naturalmente non hanno lacrime da spargere. Perdoniamo le iperboli al dolore del
giornale mattutino. Ancor noi siamo dolenti. Giuseppe Garibaldi ha già
udita la sentenza del cielo. Solo, senza amici, nudo di prestigio popolare e
solo vestito delle sue opere egli è andato innanzi al Giudice eterno! Ah!
se il ravvedimento cristiano gli fosse stato compagno nell’estremo viaggio,
noi n’esulteremmo. Il dubbio però ci fa dileguare dal cuore questo conforto.
Giuseppe Garibaldi non è più! Ma n’è stata la croce segno degli ultimi
amplessi, degli ultimi baci, delle ultime brame? ! ! L’aveva bestemmiata
vivendo. Le aveva opposto la religione del libero pensiero. Giuseppe
Garibaldi non è più! Il suo carnefice
è stato una pneumopolmonite bronchiale. Un giorno prima di
trapassare la parola gli mancò. I parenti e gli amici soli gli erano accanto.
Lo consolarono essi per avventura? Innanzi alla falce della morte la dolcezza
delle umane consolazioni è nebbia leggerissima che dispare al buffo di borea
sdegnoso. Un amico, la cui parola è vittoria della morte e dell’inferno
debellato gli mancava: il Prete, dannato da lui
alla carriola, alla vanga. Cattolici, meditiamo. Cosi moriva un Giuseppe
Mazzini: cosi ieri pure è morto un Giuseppe Ricciardi. L’autore
dell’Anticoncilio è stato seguito dall’uomo che raffermò la idolatria del
libero pensiero ! ».
Ma già qualche anno prima lo stesso giornale napoletano “La
Libertà Cattolica” aveva bacchettato Garibaldi quando questi propose di
estendere il voto alle donne: << Dopo aver disseminato sui suoi passi
devastazione e rovine, ancora non ristassi; prima di discendere nel vicino
sepolcro vuole trarre in atto l’insano progetto di una donna emancipata, di
una donna trasformata e deviata dal genio sublime della sua vocazione:
Piaggiatori delle moltitudini, promotori di innovazioni perigliose e fatali, di
voi che diranno le età venture? Noi tremiamo nel profferire l’anatema
tremendo che contro di voi lanceranno le generazioni future>>.
“ Il Giornale di Sicilia”: << Cercate dei riscontri nella lunga storia del genere umano? Cercate, cercate pure; vi sfidiamo a trovarne. Cesare, Alessandro, Napoleone, Washington! Sono immensi. Ma come sono piccini al cospetto di questo colosso, di questo genio benefico, di quest’umile che compì dei miracoli ai quali i posteri si rifiuteranno di prestar fede ».
“Il Tanaro”: « È morto il re dei re, è morto l’eroe del mondo, è morto il redentore ».
“Il Sole di Milano”: «Garibaldi fu il più grande ».
“Il Tempo di Venezia”: «Era grande, era santo, era divino».
“La Ragione”: « Garibaldi soldato, grande patriota, grande cittadino ».
Il Consiglio
Comunale di Torino, in seduta straordinaria
del 3 giugno 1882, attraverso le parole del Sindaco, cosi commemorava il
Generale: « La patria ha perduto un grande cittadino, l’ultimo superstite fra
i primari rivendicatori del nome italiano, fra i gloriosi autori del
Risorgimento Nazionale. Quando la fortuna ci abbandonò sui campi di Novara,
Egli con mirabile ardimento seppe in Roma mo-strare al mondo quello che una
schiera di valorosi poteva contro agguerrite falangi. Allorché l’Italia
sfidata a lotta mortale dovette scendere per la seconda volta in campo, a Como,
a Varese, Egli pronunziava i trionfi delle armi italiane. Quando nel 5 maggio
dalla spiaggia ligure si spiccava la spedizione dei Mille, da Lui condotta non
alla conquista ma alla ormai leggendaria liberazione della Sicilia, non vi era
cuore italiano che non palpitasse attento e fiducioso. Al suo comparire si
dileguarono le truppe borboniche, entrava vittorioso in Palermo dapprima, quindi
passato al continente, solo quasi, trionfatore in Napoli acclamato sempre da
quelle generose popolazioni; seppe poi con generoso slancio riaffermare sul
Volturno quelle sorti che dovevano avere il loro compimento sotto Gaeta. Nelle
ultime patrie battaglie bastò la sua voce a raccogliere, cogli antichi compagni
d’armi, animosi giovani che da ogni parte accorrevano. Lui fortunato che potè
vedere coronata in Roma con Vittorio Emanuele la impresa rivendicatrice. Sempre
generoso, fermo nella sua fede alla libertà quando la credette minacciata da
una guerra combattuta tra due potenti nazioni volle con memorabile abnegazione
far conoscere che gli italiani serbano memoria e sanno consacrarvi la loro vita.
Egli si ritirava nel suo nido di Caprera, volle in questi ultimi mesi rivedere
Napoli e Palermo; il corpo affranto, il cuore, la mente erano sempre per la
patria, per la sua indipendenza, per la sua grandezza, per la sua dignità.
Voglia Iddio che questi sentimenti di cui Egli ci diede così preziosi esempi e
ci lascia così gloriosa eredità, abbiano sempre a tener uniti e concordi tutti
gli italiani. E questo sia il migliore tributo che noi tutti possiamo e dobbiamo
offrire alla memoria del Grande Cittadino, alla memoria di Giuseppe Garibaldi ».
Il Municipio di Milano faceva
affiggere il seguente manifesto:« Cittadini! Un’inaspettata
sciagura immerge la patria nel lutto. Il generale Garibaldi è morto. L’Italia
piange oggi l’Eroe del Risorgimento italiano. Il Duce invitto che portava da
Varese a Marsala la bandiera dell’unità nazionale. Ma, se Egli è spento, non
si è spenta con lui la gratitudine del popolo italiano. La grande figura del
Capitano che, dopo aver congiunto una metà d’Italia all’altra, si ritira
sullo scoglio di Caprera, rimarrà una delle glorie più pure e più
luminose del secolo nostro. Sia imperitura la ricordanza di cotanta virtù
nell’animo della nostra e delle future generazioni, e per essere veramente
degni di Lui giuriamo sulla sua tomba che quella patria, che era tutto il suo
pensiero, a cui Egli consacrava tutta la sua vita, avrà nel culto della sua
memoria, nell’ammirazione delle sue gesta, un nuovo vincolo di concordia e un
nuovo patto d’unione. — Dal Palazzo del Comune il 3 giugno 1882. Il Sindaco
».
Ad una proposta di fare affiggere nelle aule scolastiche il
ritratto di Garibaldi, il quotidiano “La Libertà Cattolica” di
Napoli così commentava: << Garibaldi, nemico di Cristo e della Monarchia,
sarà collocato in compagnia degli altri due ed i suoi principi inoculati nei
teneri animi dei giovanetti! Ed il Ministro non vede nulla? E quei Municipi non
protestano? E i genitori lasciano passare? I genitori ai quali incombe di
educare i loro figli al culto di Dio e alla obbedienza della sua legge eterna?
Gli sconsigliati vedranno quanta gioia avranno dai figli educati
all’idolatria di un uomo dalla camicia rossa, e alle sue dottrine di odio e
disprezzo della Chiesa e del Cristianesimo>>.
L’accoglienza del popolo inglese a Giuseppe Garibaldi in visita
privata in Inghilterra nel 1864, nel resoconto del settimanale londinese “The
Weekly Dispatch” del 17 aprile 1864 (traduzione di Maria Luisa Nonno):
<<Anche il lettore occasionale di storia sa delle
trionfali accoglienze riservate ai generali e ai monarchi quando ritornavano in
Patria. Conosciamo come arrivavano con re catturati, incatenati e
costretti a camminare scalzi, con animali esotici, con tesori ammassati di regni
soggiogati e trofei conquistati con le armi.
Le testimonianze pittoriche delle tombe egiziane
mostrano il vincitore con il suo carro e centinaia di sventurati prigionieri in
triste processione. Guardate, viene l’eroe conquistatore era il ritornello
delle canzoni che accoglievano i monarchi assiri, i patrioti giudei, i
conquistatori greci e gli orgogliosi guerrieri che governavano il mondo romano.
... Leggiamo che Enrico VIII
inviò uno splendido corteo incontro ad un Ambasciatore
francese; e che si svolse la più entusiastica processione quando Carlo II fu
accolto nel suo regno e scortato a Londra da una folla cosi gaia e vociante come
mai forse se ne era vista prima.
Quante volte i cannoni hanno sparato, le campane
suonato, la folla è diventata rauca per le grida di gioia e pazza di
eccitazione nell’accogliere l’eroe del momento?
Abbiamo visto tristi città industriali rivestirsi di abiti
allegri e cambiare strade strette e anonime in viali di fiori, quando la Regina
di queste isole vi è passata: un anno fa si offrì un tale spettacolo a Londra
che non si era mai visto in nessuna città del mondo.
Parigi accolse il vincitore di Solferino con una luminarie
che la rese dorata a mezzanotte, con archi di trionfo, gruppi di uomini armati e
un fragore di trombe e tamburi.
Per ricevere la bella Principessa di Danimarca, Londra assiepò,
in sette miglia di strade, più uomini di quanti vivono nel suo Regno.
Eppure quei meravigliosi spettacoli furono superati lo scorso
lunedì.
Non ci sono stati cortei, nè decorazioni, nè archi di
trionfo, nè illuminazioni, nessuna di quelle cose che in genere attraggono la
folla. Soltanto un uomo, uno straniero, un semplice capitano di mare, un soldato
ferito, senza onorificenze reali o nobile seguito, che veniva senza nessuna
funzione ufficiale, che non aveva nessuna posizione di prestigio. Senza titoli
(salvo quelli conquistati sui campi di battaglia) ; il suo solo
scopo è stato quello di far visita ad
alcuni suoi cortesi amici che avevano affettuosamente simpatizzato
con lui quando era nel bisogno, e di ringraziare il popolo inglese per gli
amichevoli auguri rivolti a lui ed alla causa che rappresentava.
Quell’uomo era Giuseppe Garibaldi; e un milione di
persone lasciò il suo lavoro quotidiano per guardarlo in viso e per dirgli
quanto lo amava e lo ammirava>>.
Annotava Michele Bakunin
che i contadini poveri della lontana Siberia speravano nell’arrivo di «
Garibaldov » che li sollevasse dallo stato di servi della gleba. E quando
qualcuno domandava loro — a volte anche ironicamente — chi era « Garibaldov
», solevano rispondere: « Un grande capo, l’amico della povera gente, e verrà
a liberarci>> .
Concludiamo queste brevi rievocazioni
(selezionate fra migliaia di contenuto analogo) con quanto ha scritto il “Comitato
Nazionale per le Celebrazioni del Bicentenario della nascita di Giuseppe
Garibaldi”: << Un nuovo Omero dovrebbe sorgere per cantare
degnamente l’Odissea di questa vita, e la nuova Odissea non suonerebbe meno
meravigliosa e favolosa della prima, scrisse la “ Deutsche Zeitung”
nel 1882 alla morte di Giuseppe Garibaldi. Protagonista di audaci imprese per
mare e per terra, in America e in Europa, la sua figura cominciò ad essere
conosciuta nel 1846, attraverso i giornali che ne esaltavano il valore e lo
straordinario disinteresse con cui rifiutava ricompense ed onori. Accorsero al
su fianco in America brasiliani, uruguayani, emigrati italiani e fuoriusciti
argentini, e in Italia, durante la leggendaria spedizione dei Mille, italiani di
tutte le regioni e di tutte le condizioni, democratici francesi, inglesi,
tedeschi, americani, esuli polacchi, ungheresi, russi.
Sul fascino di una personalità in cui convivevano stranamente
temerario sprezzo del pericolo in guerra e gentilezza di modi nella vita
quotidiana, ispirata ad una semplicità che sconfinava con la povertà,
s’interrogarono giornalisti, letterati, uomini politici. Si formò presto il
mito del combattente per la libertà di tutti i popoli. Ammirato non solo in
Europa e nelle Americhe, ma anche in Africa e in Asia, dovunque si levò
la bandiera dell’indipendenza nazionale, Garibaldi resta uno dei personaggi più
amati a livello mondiale, “l’uomo della umanità”, come lo definì nel
1860 Victor Hugo.
A 200 anni dalla nascita e a 125 dalla morte appare ancora
interessante riesaminare come la sua figura sia stata vista nelle varie nazioni,
con riferimento non solo alle vicende che lo resero famoso nei tempi in cui
visse, ma soprattutto all’influenza del suo esempio o delle sue idee sul
dibattito politico ed alle ripercussioni nella letteratura e nell’arte che
vanno dall’inizio della sua popolarità ai decenni successivi alla morte.
Ricollegando in una visione organica gli interventi che si sono succeduti negli
anni e integrandoli con ulteriori ricerche sarà possibile dare nuovi contributi
ad una bibliografia già sterminata>>.
Nino d’Ambra
Presidente del “Centro di Ricerche Storiche d’Ambra”