‘Domino’: tasselli di musica contemporanea
Dal 9 al 19 Dicembre si è svolto, nei locali dell’Ars Nova di
Palermo, il Il Colloquio internazionale di musica contemporanea. Tra i
partecipanti erano:
i musicologi Paolo Emilio Carapezza (PEC), Amalia Collisani (AC) e
Heinz Klaus Metzger (HKM); i compositori Giovanni Damiani (GD) e Federico
Incardona (FI); l’organizzatore Alfonso Fratteggiani (AF) e Marcello Giordano
(MG), giovane palermitano non professionalmente musicista. Ad essi abbiamo
rivolto, per iscritto, sette domande che, qui di seguito, riportiamo con
le rispettive risposte.
Giovanni Damiani, rispondendo lungamente alla prima domanda attraversa
concettualmente tutte le altre: per questo abbiamo iniziato il “domino”
con la sua risposta.
- Perchè ad un suono dovrebbe succederne un altro? (GD): Ma come
facciamo a parlare di un suono? Cosa intendiamo per un suono? Forse è
qualcosa che agisce in certe zone del nostro essere, e di cui a volte sappiamo
dire l’origine, riconoscerne le cause, a volte non siamo capaci di dire
né l’occasione, né il modo, né il motivo per cui si
manifesta, né dove ci porta e cosa mette in moto in noi. Comunque
non si può dubitare che ogni suono ha un inizio e una fine.
E il suono dei fiumi? E’ un’eccezione, o è l’esempio primo di
qualcosa messo in moto chissà quanto tempo fa, che ha ancora continuamente
potere, e che chissà per quanto tempo continuerà (a proposito
un fiume inquinato suona come uno pulito?), sta a noi decidere se i suoni
della musica sono più simili a quelli di un fiume (alimentati circolarmente,
attraverso cieli, mari, rocce) o a quelli di un suono come una corda che
si estingue per attrito. Ma sia in un caso che nell’altro, non ci è
chiaro in che consista il suono: esisterebbe senza suoni più piccoli
che lo compongono, sia sovrapponendosi che succedendosi?
Se noi percepiamo un suono, già in questo stesso fatto è
passato del tempo, senza che noi ci possiamo fare niente (ma la musica
può fare molto...), se il suono si fermasse, sarebbe un nulla assai
più vuoto del silenzio: come si fa quindi a chiedersi perché,
ad un suono deve seguirne un altro? Forse si pensa ancora in termini di
note, di elementi discreti e chiusi in cerchio... (eppure è interessante
che l’onda sonora pura, quella sinusoidale, sia ottenuta da un movimento
circolare più una propagazione rettilinea).
Il momento più difficile per il compositore è dare l’inizio
a una musica, che è inevitabilmente temporale, anche se ignora il
tempo come linea unica vuota e uniforme; così la prima domanda è:
perché vi deve essere un suono primo? Può bastare questo,
ha bisogno di altri suoni? E se questi spingono per entrare, sono realmente
altri suoni, o sono sempre uno stesso suono, sia pure quasi irriconoscibile?
Questo è il sogno che fa dormire bene: pensare la musica come
un unico suono, mai udito e forse inudibile, incomunicabile; e non è
né artificio né maschera stilistica, ma tono della propria
voce, che si modella su un’idea per la quale si è rinunciato a tutto
il resto.
Al risveglio il suono continua ribaltandosi: i suoni non sono più
gli stessi, anzi più sono gli stessi più tra di loro si aprono
fenditure, ovunque abissi senza fondo.
(HKM): Non c’è nessun motivo. Affatto, non ne vedo la necessità.
(PEC): Né deve né dovrebbe; ma può!
(AC): Il suono è un fenomeno culturale che non esaurisce da
solo la spinta che l’ha prodotto; come una idea, come un fonema, per avere
un senso (anche se non un significato), deve essere organizzato in una
struttura. Ribalterei la domanda, formulando quella che mentre lavoro mi
capita, più spesso, di pormi: quando ad un suono non dovrebbe più
succederne un altro?
(AF): Ma musica è “pars pro toto”, e la totalità mi sembra
composita, perché negare successione ad un susseguire, la questione,
se mai, sta sulle relazioni e sulle posizioni dei rapporti.
(FI): (utilizzando, per rispondere, talvolta, i testi Taoisti), Jang
Chiu disse che c’è un vecchio detto: “in vita reciproca pietà,
in morte reciproca separazione”.
(MG): Ogni suono è unico: siamo noi che lo trasformiamo come
vogliamo, perchè un suono si trasforma in altri suoni o rumori,
come dir si voglia.
- Quali uomini, in quali contesti, per quali suoni, in quale società?
(PEC): Tutti i suoni in ogni contesto per ogni uomo in tutte le società:
scopo della musica è “la società armoniosamente organizzata”
(John Blacking).
(FI): Jen P’ing Chung interrogò Kuan l-Wu sul modo di nutrire
la vita. Kuan I-Wu disse: “Seguire le proprie inclinazioni e null’altro,
non ostacolarle e non reprimerle. Asseconda l’orecchio in ciò che
vuoi udire, l’occhio in ciò che vuoi vedere, il naso in ciò
che vuoi fiutare, la bocca in ciò che vuoi dire, il corpo in ciò
in cui vuoi trovare agio, l’intelletto in ciò in cui vuoi operare.
Ciò che l’occhio vuol vedere sono le belle cose, se non gli è
permesso di guardare io lo chiamo reprimere la vista. Ciò in cui
l’intelletto vuol operare sono l’arbitrio e la licenza, se ciò non
avviene io lo chiamo reprimere la natura".
(MG): E’ il suono che intercetta le persone e non viceversa. E’ come
il vento: il vento passa ovunque.
(AC): Se mi sentissi in grado di rispondere farei un altro mestiere:
la musicista piuttosto che la musicologa.
Come musicologa posso dare una risposta generale (non generica però!):
alcuni pochi suoni per determinati uomini in determinati contesti di una
ben definita società.
(HKM): Non sono incline - né filosoficamente, né musicalmente
- ad adattarmi all’età della “comunicazione”. Rilke: “Quando la
musica parla, si rivolge a Dio e non a noi. L’opera d’arte compiuta non
ha rapporti con l’uomo giacché lo sovrasta. E’ ovvio che la musica
abbia altre leggi rispetto alle arti, ma noi stiamo nel suo cammino e lei
ci attraversa".
(AF): Attualmente opera un numero di musicisti che si occupa, come
devono, di quasi tutte le discipline della musica, anche se spesso sono
specialisti di un solo argomento.
Questa è la figura “necessaria” del musicista odierno che quasi
sempre è espressione di vivacità autonoma ed indenne dall’atrofia
di istituzioni che spesso soffrono di burocrazia, elefantiasi etc.
Ottimo sarebbe se costoro, che hanno facoltà di trattare la
musica, avessero quella, anche, di esporla e proporla.
- Autonomia dei suoni e loro eteronomia sociale?
(PEC): La musica è “il Suono umanamente organizzato” (John Blacking).
Ma “in principio era il suono” (c’insegnano Eraclito e San Giovanni).
(AF): Le due cose sono inevitabili, fatta eccezione per le marce militari.
(FI): La musica deve essere polvere da sparo sul mondo e criterio di
intelligenza selettiva.
(HKM): Willi Baumeister: “il valore relativo di un’opera d’arte fonda
il suo valore assoluto”.
- Stile o idea?
(AF): Lo stile appare quando l’idea è vigorosa e regna quando
l’idea è spenta.
(HKM): Idea (ma non escludendo, al limite, l’eventualità di
un’idea di stile).
(AC): Stile e idea.
(PEC): Stile come strumento adeguato per la manifestazione dell’idea.
(FI): Idea, lo stile non esiste non è altro che il pedigree
di un autore, un marchio di fabbrica reificato, agli usi della industria
culturale.
(MG): Idea perché lo stile è un falso.
- Al di là della melodia greca, della modulazione medievale,
del soggetto rinascimentale, del tema settecentesco, dell’idea romantica,
quali sono le attuali possibilità di concepire linee sonore praticabili?
(PEC): Il ciclo è forse compiuto, la vichiana spirale deve allora
risollevarsi e ricominciare un più ampio giro, prima che la bella
terra venga avvelenata o distrutta.
(HKM): Sono cose tutte ancora da inventare.
(FI): La scoperta del serialismo in quanto “modulor” (Le Courbusier),
concepito nelle sue infinite possibilità (Barraqué, Webern)
è un sistema onnicomprensivo che intende fare il punto su quasi
tremila anni di tecniche musicali, del presente, passato e futuro.
(AC): Ho l’impressione che non sia stato pienamente realizzato e sviluppato
il suggerimento schoenberghiano della Klangfarbenmelodie e che esso contenga
potenzialità non ancora attuate ma attuali; mi sembra provato dall’interesse
che continua a suscitare in chi compone e in chi ascolta.
(AF): Mi permetta di aggiungere alla lista dei periodi trascorsi e
passati, la seconda scuola di Vienna che osserva, un po’, tutto ciò
che la precede e Darmstadt; le possibilità sono innumerevoli, superate
alcune “necessità fittizie” di Darmstadt. Molti musicisti si occupano
di trattare la materia della musica piuttosto che la forma e la struttura,
il risultato è quello di proposte serie, sincere, spesso innovative
e di altissima qualità.
Tutto ciò è riferibile alla composizione, all’interpretazione,
alla concezione stessa di eventi artistici, festivals, concerti, occasioni
per fare musica in generale, ed al metodo del teorico e dello storico.
Da ciò, mi pare che sorgano da sole inevitabili forme di antagonismo
con alcune frange accademiche di Enti stabili musicali.
- Come sollecitare un pubblico e renderlo attivo? E come il pubblico
può “sollecitare” e “richiedere” la creazione musicale?
(HKM): In un mondo dominato dall’economia privata non c’è “pubblico”.
(AF): Occorrono proposte e progetti di altissima qualità che
includono ciò che ho specificato nella domanda precedente.
Naturalmente se il pubblico si sente stimolato diviene immediatamente
stimolo.
Ho visto molte sollecitazioni fondate, rivolte a compositori, interpreti,
operatori etc.
(FI): Chuan-Tzu: “Coloro che governano la natura nelle volgarità
e con studi volgari tentano di restaurare lo stato primitivo, sono uomini
che nascondono l’ignoranza. La manifestazione della giustizia è
l’amore per le creature, è la lealtà... è musica"
(MG): Se si pensa al pubblico, si pensa ad altro, no? E allora! Se
non ci piace ce ne stiamo a casa a riposare, magari, a dormire.
- In che rapporto può stare la musica del passato con quella
di oggi?
(AF): In rapporto di studio, quindi di piacere e noia, e di indipendenza,
senza pretendere l’autonomia.
(HKM): Il passato serve a non dover ricominciare da Adamo ed Eva, inventando,
ex nihilo, di nuovo la ruota, poi il cuscinetto a sfere, etc.
(PEC): “La musica d’oggi spiega quella del passato e non viceversa”
(Alfred Einstein). A che serve la storia della musica? A chi non comprende
la musica.
(AC): Il passato è un serbatoio inesauribile a cui attingiamo
tutti, con metodi ed intenzioni diverse. Il passato ci pesa addosso, ci
condiziona, ci ricatta, ci soffoca, ma è un valore irrinunciabile
che ci consola e ci stimola.
Ascoltando la lezione del passato - pensava Schoenberg - si diventa
capaci di agire nel presente; purtroppo non è sempre chiaramente
delineato il limite che separa la tradizione dalla traduzione, la rottura
dalla stortura; intendo dire che non è facile porsi in rapporto
(di continuità o di trasgressione) col passato senza dipenderne
intellettualmente, e l’agire e poi restarne prigionieri (non parlo dell’opportunismo
commerciale di chi lo ricicla edulcorato: questo è subito chiaro
a chi possiede un po’ di esperienza e di sensibilità).
(MG): La musica deve andare avanti, non può tornare indietro.
La musica del passato sta in rapporto ad oggi come un crescere (forse).
(FI): Bisogna considerare cosa Schoenberg, all’inizio di “La scala
di Giacobbe”, fa dire a Gabriele: “Ora a destra, ora a sinistra, avanti
o indietro, in su o in giù”.
Bisogna andare avanti senza chiedere che cosa possa esserci davanti
o dietro,” Vorrei che la musica adempia il suo significato primario di
supportare il Tempo virtuale in funzione della percezione di una interiorità.
Aggiungo solo una frase di Luigi Nono, che lesse a Toledo sul muro
di un chiostro trecentesco: “Oh voi che camminate, che andate, non ci sono
cammini, non ci sono strade indicate, ma bisogna andare, camminare, andare.”
(a cura di Lucio Feo)