Affidare tutto a una musica è stato il mio diario personale negli anni 1987-90; il progetto, un itinerario che andava da questo settimino,
quindi si contraeva al piano solo, passava da un breve episodio per orchestra da camera e si concludeva con quattro strumenti. Già il solo settimino andava prendendo proporzioni impressionanti, un’ottantina di pagine seguendo costantemente il principio di non progettare alcunchè dall’alto, ma di abbandonarsi agli eventi, ai lapsus e agli entusiasmi
che essi generano. Unico filo di Arianna: la scrittura per trii, che si susseguono più o meno rapidamente; tre strumenti , poi altri tre, poi il settimo rimasto con altri due, sempre diversi, sempre con un collasso,
un cedere di concatenazioni tra imaginazioni ben distinte e senza blandi legami.
Al passaggio tra pianoforte e celesta in adagio, entra in questo procedimento una citazione del tempo lento del Quartetto op.47
di Schumann. L’incantamento quasi ipnotico di tale movimento diviene
un vortice di progressioni, memorie, prolificazioni che includono al loro passaggio parecchie musiche, tra cui una lunga digressione-parodia della musica francese spagnoleggiante.
Tutto è affidato a questa memoria di Schumann, ricerca del duraturo, immersi fino in fondo nel trapassare di istanti.