IL CAMPANILE 

A destra della chiesa, un  po’ più avanti, si erge il campa­nile.

Molti storici moderni, anche i più qualificati, prendendo a base un do­cumento del 1481, messo in luce da Cesare Pinzi, dal quale si conosce che “…mastro Ambrogio di Marco da Milano, fabbricatore del campanile di S. Maria della Quercia, ottiene li­cenza di trasportare dalla cava d’Arcione i conci e i sassi occorrenti per la fabbrica suddetta…”( pinzi p.     ), scrivono che il grande artista Ambrogio Barocci da Milano lavorò alla co­struzione del campanile di S. Maria della Quercia e lasciano intendere che probabilmente il Barocci fu an­che l’architetto dell’opera e l’esecu­tore delle sculture.

Invece il campanile, come si rile­va dal documento citato dal Pinzi, si deve ad un mastro Ambrogio mila­nese, figlio di Marco e non di Anto­nio, padre del Barocci; come pure mastro Ambrogio è il costruttore del campanile e non il progettista che noi crediamo essere Giuliano da Sangallo, autore del pro­getto generale di tutto il complesso monumentale.

L’altro storico viterbese, Giusep­pe Signorelli, segnala un altro docu­mento  dal  quale  risulta  che Ambrogio aveva iniziato la costru­zione fin dal 1478, avendo a socio mastro  Niccolò  d’Antonio  da Viterbo.

La costruzione, terminata nel 1484, fin da principio ha avuto pro­blemi di statica perché il campanile “…fu fatto e fabbricato di cattiva ma­teria. accotimato e posti in falzo li conci e pietre di fuora, li finestroni troppo aperti, con sottili colonne, che perciò non fu compito ma la­sciato imperfecto senza il terzo finestrone e piramide secondo il di­segno...”( vol……c……).

A mostrare com’era il campanile, molto più slanciato ed elegante del­l’attuale massiccia torre, provvede l’anonimo affresco cinquecentesco, dipinto nella sala della Madonna del Palazzo Comunale, che ricorda la processione di ringraziamento fatta dai viterbesi nel 1581 per essere stati salvati dalla calamità delle caval­lette.

Sulla base, adorna di candelieri e targhe, si innalzano due piani dalla muratura piena, arricchiti di due nic­chie per ciascun lato.

Rompono la monotonia della cor­tina di peperino quattro lesene agli angoli ed una al centro di ciascuna faccia.

Tanto quelle del primo, quanto quelle del secondo piano sono sor­montate da uguali capitelli di ordine composito.

Al di sopra, ancora due piani su cui si aprono, per ogni lato del qua­drato, belle trifore di marmo bianco o forse di travertino.

Il disegno originale dava ancora più slancio e bellezza al manufatto con la guglia finale che svettava molto al di sopra della facciata e del timpano della basilica e con l’aper­tura del “terzo finestrone” secondo l’immagine che ci restituiscono i due affreschi delle lunette dei due lavabi che ornano l’ingresso del refettorio grande dell’ex convento e che ridotti in pessimo stato sono ormai condan­nati alla scomparsa, se qualcuno non interviene al più presto.

I dipinti si debbono alla mano di Calisto Calisti da Bagnaia, pittore non privo di talento e di una certa bravura, che fu chiamato dai frati domenicani, nel 1623, a rifare ex novo le scene tratteggiate nel 1550 da Jacovo da Modena. (vol……………..)

TI valore iconografico di queste pitture,     per il complesso monumentale e per il borgo che lo circonda, non è stato mai preso in considerazione, ignorandosi anche che la loro testimonianza, quasi foto­grafica, è fondamentale per raffigu­rare l’antica torre campanaria che il Calisti riprodusse, non secondo il modello reale esistente nel 1623 e già dipinto nel palazzo comunale, ma secondo il progetto originale quattrocentesco  che  il  pittore bagnaiolo   ebbe   sicuramente sott’occhio.

C’è anche da dire che il campa­nile più alto di un piano è raffigura­to in uno degli affreschi della loggia della palazzina Gambara a villa Lante, a Bagnaia, affreschi della fine del sec. XVI.

Tentando di ovviare ai molti pro­blemi di staticità, nel 1614,  si spese­ro centinaia di scudi per restaurare ed inchiavardare il campanile (vol…………..), che dieci anni dopo fu anche dan­neggiato da un fulmine.

Nel  1628 due ingegneri di Amelia, non nominati, furono chia­mati a consulto (vol…………); nel 1633 Fran­cesco, architetto di fiducia del con­vento, fu spedito a Roma per deci­dere con alcuni esperti sul futuro della costruzione (vol……………….).

Ai primi del 1634 il cardinale Antonio Barberini, nipote di Urbano VIII. aveva ordinato che non si suo­nassero più le campane e dal perito della sua famiglia, Paolo Maroselli, aveva ricevuto il consiglio di demo­lire la torre almeno fino al PONTE(6), per PONTE si deve intendere la passarella che tuttora collega il cam­panile con il convento.

A giugno inoltrato si stabilisce il compenso da dare ai capimastri orvietani Pompilio e Francesco, in­sieme a Giovan Battista Grassi da Bagnaia, per il diroccamento, e fi­nalmente il 6 luglio si iniziarono i lavori; ai primi di settembre il primo ordine, il più alto, era demolito ed anche il secondo a novembre, sem­pre del 1634, era stato gettato a terra(vol…………………….).

Forse per l’entità della spesa, che cresceva di giorno in giorno, i padri domenicani decisero di fermarsi, pri­ma di scaricare il terzo ordine, per vedere se questo poteva essere sal­vato e potesse fare da sicura base alla nuova costruzione.

Altri ipotizzarono la possibilità di ricostruirlo ex novo, tanto che il 26 marzo 1635 si ha notizia che “si è dato principio al fondamento del nuovo campanile, (cominciando) a cavarlo vicino al portone principale del convento” (vol……………………..).

Tra le due possi­bilità, si preferì rimandare la decisio­ne, forse anche per altri motivi che non conosciamo.

Dopo oltre tre anni, il 20 giugno 1638, tutti i padri presenti nel con­vento deliberarono all’unanimità e con voto segreto di ricostruire la tor­re sul vecchio torso e, stancamente, si riapre il cantiere (vol………………..)

Assicurato il finanziamento del­l’opera, prima per un munifico lasci­to del cavaliere viterbese Donato Spadensi (vol……………………) e poi per un prestito di mille scudi, all’interesse del 5%, da parte della famiglia Brugiotti, il 19 aprile 1642 furono stretti con atto notarile (vol…………………….) i patti con i fratelli Pa­olo e Domenico Fagioli, capimastri muratori romani per “…terminare fabricam, sive aedificium turris, vulgo detto campanile…” di S. Maria della Quercia.

Si scriveva:

 “…1) - I fratelli si obbligano in soli­do di fare, o far fare, la fabrica del campanile, sopra il torso vecchio demolito per difetto che minacciava rovina, posto avanti la chiesa, a mano sinistra, a piede le scale, con­forme dal molto Rev. Padre Priore li sarà ordinato et dato il disegno;

2) - che tutti li muri che andran­no fatti per servitio di detta Fabrica, a manifattura li suddetti si obligano farli per prezzo di scudi due, e baiocchi venti, la canna, a canna ro­mana;

3) - che per mettitura della corti­na a pelle di pietra, li suddetti si obligano farlo a baiocchi tre e mez­zo a palmo quadro;

4) - che per mettitura della corni­ce li suddetti si obligano metterla in opera a scudi quattro la canna, in­tendendosi a canna andante, confor­me al uso dell’arte;

5) - i detti si obligano a fare, o far fare, detta fabrica a tutte loro massaritie, eccetto però li legnami, che saranno necessarii, li quali sia obligato il Convento a darli, sì come il detto Rev. Padre Priore si obliga;

6) - che facendo li sudetti altri lavori che qui nella presente non fossero specificati, si stia, sì come l’una et l’altra parte si obligano di stare, alla dechiaratione et giuditio di due bomini periti in detta Arte, da chiamarsi uno per parte;

7) - che li suddetti Maestri Paulo et Domenico siano obbligati comin­ciare a lavorare detta fabrica ogni volta che da detto Molto Rev. Padre Priore li sarà comandato, et conti­nuare a lavorare senza intermissione alcuna, purché dal detto padre Priore o Venerabile Convento non li man­cherà la moneta, quale si obliga in nome come sopra pagarla alli sud­detti Maestù Paulo, et Domenico se­condo verranno lavorando... et in principio di esso il detto Padre Prio­re si obliga di darli per arra, e parte di pagamento, scudi cinquanta di moneta sì come anco fare condurre la rena e calce, da scaricarsi dove i Maestri comanderanno, et la pietra dove si trova al presente;

8) - che mancando li suddetti di lavorare, mentre non mancherà la moneta, et altre cose necessarie, et non havendo legittima scusa, come d’infermità, o tempi cattivi, il detto Padre Priore o il Ven. Convento possino fare lavorare altri maestri, a spese et interesse di detti Maestri Paulo et Domenico;

9) - che detto Ven. Convento sia obbligato dare una stantia per riporre le massaritie, et babitarvi detti obligati, et loro garzoni, senza inte­resse alcuno.

 

E finalmente il diarista poteva re­gistrare uno dei suoi ricordi più bel­li: “ …Ricordo come a dì 27 novembre 1642 fu tirata sopra il novo campa­nile la campana maggiore, con tanta facilità et felicità, che più non si po­teva desiderare, et detti due giorni furono così belli, come fussero di maggio…” (vol…………………………). Tanta era la soddisfa­zione di avere finalmente risolto il secolare problema, che il cronista non spende nemmeno un rigo per rimpiangere che l’antico disegno-progetto, ovviamente per mancanza di denaro, non sia stato più attuato e ancora noi vediamo il possente ma tozzo campanile, privo dell’ultimo piano, delle leggiadre grandi trifore e della guglia finale.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell’ultimo piano è la cella campanaria che custodisce due enormi campane: Agata e Maria  

 

Sulla facciata, sotto la cella campanaria, spicca il bianco quadrante del grande orologio.

Costruito fin dal 1500, non aveva una “ Mostra” che segnasse visivamente le ore, come  si può constatare dagli affreschi che lo rappresentano e da  una stampa del 1742 pubblicata dal Bussi e disegnata da Giuseppe Fietti.

Nei volume delle entrate e delle uscite del convento della Quercia, spesso si trovano pagamenti per il restauro dell’orologio; in particolare : a Giovanni, detto il Tedesco, che fa gli “ orioli” a Bagnaia; a m° Domenico “ maestro delli horologi sta a Vignanello” ; a Domenico Ricci ; ad Antonio Giachè  ( vol. 140 c.65v) ( vol.163 c. 155v) ( vol.145 c. 208) ( vol. 188 c. 226) .

Solamente nel 1792, grazie ad  un  cospicua offerta del padre Lugani , fu fatto un orologio nuovo per il quale fu realizzata una “ mostra” ( vol. 364 c. 100 e seg.).

Poi , nel 1894, siccome “ …le piogge dei due ultimi mesi [ agosto e settembre] accompagnati da forti  venti di scirocco e seguiti dal sole gagliardo di ottobre, hanno danneggiato e non poco il quadrante dell’orologio di questo campanile…”, il padre Migliorini, allora Soprintendente del Monumento, chiese al Ministero di rifare completamente il quadrante. ( let. 783/894).

Giuseppe Zei prese in appalto il lavoro e così nel 1896 fu realizzato il nuovo quadrante con  “…mostra  di marmo bianco con numeri di piombo annerito di pasta bituminosa colata entro apposite incassature come precisamente si usava fare nelle mostre degli orologi pubblici dei decimoquinto secolo...”(let 805/895  ) per una spesa complessiva di “  lire italiane 1300” ( let 880/896)

Ultimamente, tra il dicembre del 1987 ed il gennaio del 1988 , dalla ditta Trebbino di Genova,  sono stati  rinnovati tutto il vecchio meccanismo interno e le sfere, oggi al muse della basilica.

 

Intorno alla base del campanile  su due facciate sono scolpiti dei  cartelli  in rilievo  in cui vengono ricordate le bolle dei pontefici che concedevano privilegi alle fiere ed alla chiesa.

Nei due cartelli della facciata sotto l’orologio, realizzati il 28 dicembre del 1625 e ritoccati nel 1698,( vol.173 c.250v) (vol. 356 c. 3v)  è scritto:

 

“ La fiera che si dice di Settembre comincia libera ai 19 di detto mese et dura tutto il giorno di S. Francesco, che è alli 4 di Ottobre, come appare dal Breve di Clemente VIII spedito alli 3 di Luglio del 1598, senza differenza alcuna intorno alle franchigie et esenzioni delle due fiere di Maggio e di Settembre.

Tanto Gregorio XIII come Clemente VIII nelli loro amplissimi brevi vogliono che solo e nessun altro possa essere giudice competente se non Mons. Vescovo di Montefiascone o di Bagnorea o l’illustrissimo auditore di camera “,

 

nel cartello di sinistra, e:

 

“ La  fiera che si dice di Maggio comincia libera quattro giorni avanti la Pentecoste et dura 12 giorni doppo, non vi computandoci i giorgi feriali in honore di Dio e dei Santi, come ampliamente consta per concessione dei Romani Pontefici et ultimamente per Breve di Gregorio XIII di felice memoria, spedito ai 9 di Settembre 1579 nell'anno ottavo del suo pontificato “

 

Sulla facciata accanto alla scalinata :

 

  La felice memoria di Clemente VlII concede in perpetuo indulgenza plenaria in detta Chiesa a tutti i fedeli, cominciando la prima Domenica dopo la Natività della Vergine per 15 giorni seguenti e tutte le feste di Agosto, quattro anni  e altrettante quarantene come per un breve suo spedito alli 23 aprile 1594 appare”

 

 è inciso nella prima, e nella seconda:

 

“ La felice memoria di Paolo V concede in perpetuo indulgenza plenaria e remissione di tutti i peccati e per i penitenti  nei giorni delle due fiere di Maggio e di Settembre e nel giorno della Purificazione della Beata Vergine a tutti che visiteranno la Chiesa della S.S.a Madonna della Quercia, come appare ampliamente da un breve spedito alli 31 Gennaio MDCVII nell'anno secondo del suo pontificato e nel altare della B. Vergine oltre la liberazione delle anime del Purgatorio vi è  per tutti i giorni del anno indulgenza plenaria per la Compagnia del S.S. Rosario”

 

Queste due targhe furono scolpite nel  1629 da Antonio Peruzzi (vol301 c. 29)

 

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