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6 Novembre 2001 |
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Anche
i medici di famiglia nei tirocini per l'abilitazione |
Come
si comportano i medici di famiglia ? |
Una
tipologia dei rapporti medico-paziente: quali conseguenze
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Anche
i medici di famiglia nei tirocini per l'abilitazione |
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Secondo le vecchie disposizioni (legge 1378 del 1956 e
il D.M. del 9 settembre 1957), l'esame di abilitazione
alla professione medica finiva con l'essere una sorta
di duplicato dell'esame di laurea. Sta a dimostrarlo il
fatto che quasi il 100% dei laureati che sostenevano l'esame,
ricevevano l'abilitazione. Un nuovo provvedimento gia'
firmato dal Ministro dll'istruzione (sulla base di ipotesi
ed elaborazioni fornite dalla Federazione degli Ordini
dei medici e dal Consiglio Superiore di sanita') cambia
radicalmente il precedente assetto. Dopo la laurea occorrera'
un vero e proprio tirocinio di tre mesi che dovra' essere
effettuato per un mese in un reparto ospedaliero di medicina,
per un secondo mese presso un "servizio" di chirurgia
e per un terzo mese nell'ambulatorio di un medico di famiglia.
Sarebbe la prima volta che ai medici di famiglia viene
riconosciuto l' "onere" e il "diritto" ad entrare tra
i "luoghi" di competenza, ai fini della formazione di
base per l'abilitazione professionale. "Onere" in quanto
imporra' ai medici di famiglia l'obbligo di attrezzarsi
per svolgere adeguatamente le funzioni riconosciute. "Diritto",
perche' si e' finalmente compreso che per iniziare la
professione, e' indispensabile che i laureati in medicina
"passino" attraverso l'esperienza della medicina di famiglia.
Molti abilitati, infatti, sia che poi finiscano per entrare
nei ruoli ospedalieri, oppure che assumano funzioni tipiche
dei servizi di base, non avrebbero potuto avviare la loro
carriera, senza conoscere, per cosi' dire, le regole elementari
dei rappporti medico-paziente che emergono soprattutto
nelle attivita' di base dei medici di famiglia.
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Come
si comportano i medici di famiglia ? |
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Nel n. 14 di "Cittadinanza attiva" vengono proposti alcuni
"modelli" cui sarebbero riconducibili i comportamenti
dei medici di famiglia verso i pazienti. Il primo modello
sarebbe quello del "medico papa'". Apparterrebbe a questo
modello il medico che non solo valuta le condizioni del
paziente, ma decide "paternalisticamente" cosa fare e
quali informazioni dare al malato. Il secondo modello
e' quello del "medico-tecnico". Questo e' un medico che
mette a disposizione le sue competenze, ma lascia al paziente
le scelte (sarebbe una sorta di medico consulente che
svolge in modo "asettico" il suo ruolo). Il terzo modello
e' quello del "medico consigliere". Tale medico si adopererebbe
per mettere in grado il paziente di fare le sue scelte
in ordine alle modalita' migliori per rendere coerente
il suo bisogno con l'intervento terapeutico. L'ultimo
modello e' il "medico insegnante". Il medico coinvolge
il paziente nell'analizzare il "caso". Svolge un ruolo
attivo (non si limita a consigliare, oppure a fornire
le informazioni tecniche), senza sostituirsi al paziente
nei compiti decisionali. Sono i pazienti a prendere le
decisioni. La proposta di questi modelli e' sicuramente
di grande interesse sociologico. E sarebbe importante
esaminare il comportamento dei medici di famiglia italiani.
Diverso e' capire se la "modellizzazione" sia utile a
migliorare il servizio.
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Una
tipologia dei rapporti medico-paziente: quali conseguenze
? |
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Nello stesso numero della rivista sopra citata, si avanza
una seconda proposta in base a cui si ipotizza di classificare
i principali tipi (o modelli) di rapporto medico-paziente.
Si parla di rapporto di "libera scelta effettiva" (i medici
assicurano l'informazione e i pazienti scelgono) e di
"migliorare la qualita' e la sicurezza delle prestazioni"
(il medico informa il paziente e chiede la sua collaborazione).
In piu' si legge "no agli atteggiamenti difensivi" (l'informazione
non deve essere strumentalizzata dai medici e dai pazienti
per difendere le loro scelte). Si dice anche "no alla
spersonalizzazione" (il flusso di informazioni tra medici
e pazienti non deve diventare un sorta di procedura burocratica
che finisce con l'impoverimento del rapporto umano e professionale
tra le parti). Si tratta di una ipotesi (quella di classificare
i rapporti tra medico e paziente) abbastanza inconsueta.
Cosi' descritta, non ha "paragoni" con ipotesi che si
possono trovare in letteratura. Soprattutto, appare di
poca fruibilita'. Il problema essenziale, infatti, e'
quello di trovare gli strumenti mediante cui "controllare"
le cosiddette "asimmetrie informative" che esistono tra
i medici e i pazienti. In materia di medicina (diagnosi
e cura) sono i medici a saperne di piu'. Come si fa a
minimizzare i danni che possono derivare da questo stato
delle cose? Non esistono soluzioni univoche. In fondo,
come si regola la professione medica e come si organizza
l'assistenza, non e' che il tentativo di trovare una soluzione
(temporanea) a questo problema. Ed e' anche per questo
che le riforme sanitarie sono frequenti.
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