La decima

Gruppo Biblico di Evangelizzazione



Voglio ringraziare Giampaolo ed il Gruppo Biblico di Evangelizzazione.Ho ricevuto una concisa quanto esaustiva risposta alle mie domande.Bravi.Allo stesso modo vorrei rispondere al vostro commento. Ovviamente condivido PIENAMENTEle osservazioni circa il "filosofare" sulla cultura cristiana anzichè seguire la Persona di Cristo.
Non così però la raccomandazione spirituale della decima.E sapete perchè? Perchè io per primo corro il rischio di amare Cristo e amare il prossimoma solo a livello filosofico. Quando si tratta di "dare" del mio, dei miei beni, del mio tempo,della mia vita, allora trovo problemi.Nella decima vedo una preghiera di lode e di ringraziamento. TUTTO QUELLO CHE HO TIAPPARTIENE E VIENE DA TE, O SIGNORE. E metto in pratica quanto dico.In questo modo non risolvo alcun obbligo legale nè morale. Ma spirituale.Inoltre il corpo di Cristo ha bisogno di aiuto. L'Evangelizzazione ha bisogno di aiuto.Anche materiale. Milioni di uomini hanno fame. E potrei andare avanti......La fede opera per mezzo della carità.......
Ma razionalizziamo il concetto! La caritàè anche ( non solo e non in primo luogo ) sostentamento, aiuto materiale, condivisionepratica. Non è così? Avete tempo e voglia di parlarne ancora?

Un saluto in Cristo
Lorenzo


Caro Lorenzo,

il tempo è sempre poco, ma la voglia di ascoltare e condividere il Vangelo con un fratello è sempre tanta. Dunque eccoci qui. Ho letto e riletto varie volte la tua lettera, che ho trovato molto interessante, perché finalmente comprendo il senso della "decima" per te. Voglio fare alcune riflessioni:

1. NON IL 10% MA IL 100%. Dici molto bene quando affermi: "TUTTO QUELLO CHE HO TI APPARTIENE E VIENE DA TE, O SIGNORE". Se ho ricevuto, TUTTO, allora restituisco TUTTO. Il principio della decima, invece, era quello di offrire a Dio la decima parte dei beni, o dei frutti del lavoro, vale a dire il 10%. Nel passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, vale a dire, con l’instaurazione del Regno, c’è stato un cambiamento radicale nella concezione del sacrificio:
 
 

"Non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio". (Rm 6,13).

"Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale". (Rm 12,1).

Nell’Antico Testamento gli ebrei erano chiamati ad offrire a Dio il miglior capo del loro bestiame. Nel Nuovo Testamento i cristiani sono chiamati ad offrire a Dio interamente se stessi come sacrificio vivente, cioè tutti i giorni, perché spesso è troppo facile essere eroi per un giorno: è più difficile vivere santamente la propria nascosta quotidianità, deve gli uomini non vedono e solo Dio può vedere (Mt 6,4).

Quindi quanto dobbiamo offrire a Dio? Il 10%? Il 20%? Sbagliato! Il 100%. Gesù Cristo chiama i suoi apostoli alla completa povertà ( ): alcuni sono chiamati ad attuare questo principio anche materialmente, ma tutti i seguaci di Cristo sono chiamati al distacco dal denaro e da se stessi: è questa la vera povertà in spirito (Mt 5,3). I poveri in spirito godono di tutto perché non possiedono niente di proprio Possono chiamare veramente Padre, Dio, perché tutto dipende da Lui. Non sono padroni del denaro, ma ne sono semplici amministratori per conto di Dio, perché come dice la Scrittura, siamo stati comprati a caro prezzo e non apparteniamo più a noi stessi:
 
 

"O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!" (1 Cor 6,19-20).

Dunque che cosa abbiamo da offrire a Dio che non sia suo? Neanche noi apparteniamo a noi stessi, ma a Cristo che ci ha "acquistato" dalla morte con la sua povertà e la sua croce. Ecco perché Dio può chiederci di offrirci a Lui come sacrificio vivente, perché c’è in noi una nuova vita, la vita dello Spirito Santo che può elevarci solo se il nostro IO diminuisce (= povertà spirituale).

Rileggiamo la parabola dei talenti:
 

"Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.
Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo.

Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.

Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti". 

(Mt 25,14-30).

 

I primi due servi vengono lodati allo stesso modo, nonostante che il primo abbia restituito al padrone molto di più. Perché? Perché entrambi hanno restituito il 100%. L’ultimo soffriva di una falsa umiltà e dalla paura di perdere quanto "possedeva". Ed ecco, che per la cupidigia di possedere ha perso tutto!

In questo senso "il principio della decima" è stato abolito dal "principio del 100%". Non si deve dare "qualcosa "a Dio tenendo il resto per se, ma si deve cominciare a vivere TUTTO in funzione del Regno. Quando si dice TUTTO significa solo una cosa: TUTTO.

Perché studio? Cerco di studiare solo per me? Che studi ho scelto? Li ho scelti nella preghiera o partendo dalla mia razionalità? Perché lavoro? In che modo lavoro? Come mi comporto con i colleghi? Cerco di portare il Regno in mezzo a loro? Mi sento un pellegrino di passaggio? Mi sento amministratore del denaro oppure padrone? Come vivo le mie relazioni? Le vivo annunciando e attuando il Regno di Cristo, che significa giustizia, gioia e pace nello Spirito Santo (Rm 14,17)? Sono disponibile ad ogni chiamata di Dio? Sono disponibile a lavorare nella vigna di Dio, nel modo in cui LUI ha scelto per me?


2. LA CAUSA E MODALITA’ DELLE NOSTRE OPERE: IL REGNO E L’AMORE. La legge della decima poi è stata "abolita", o meglio "relativizzata" dalla salvezza operata da Cristo: la salvezza è solo e unicamente un dono di Dio, non è mai una conquista, un merito. In questo senso la Legge è stata abolita, cioè è stato abolito il valore salvifico della legge: "sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno" (Gal 2,16).

Ciò che conta è la circoncisione del cuore, cioè la fede IN CRISTO:
 

"La circoncisione è quella del cuore, nello spirito e non nella lettera; la sua gloria non viene dagli uomini ma da Dio"
(Rm 2,29)

Le nostre opere dovrebbero essere non un mezzo per ottenere la salvezza, ma una conseguenza del nostro essere rinnovati, rinati a creature nuove in Cristo. Quindi non "per" ottenere il Regno, ma "a causa" del Regno. L’uomo che trova il tesoro nel campo, secondo la parabola raccontata da Gesù (Mt 13,44) vende tutti i suoi averi per comprare il campo. Gesù non ha detto che quell’uomo vendette tutto per "cercare" un tesoro, ma perché lo aveva già trovato.

Tutto viene relativizzato dal Regno. Gesù ci chiede prima di entrare nel suo Regno, poi sarà Lui ad indicarci in che modo dobbiamo operare. Non ha più importanza che cosa facciamo, ma sono importanti la motivazione e la causa.

Paolo afferma:

«chi mangia, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio; anche chi non mangia, se ne astiene per il Signore e rende grazie a Dio».
(Rm 14,6). 

Qualcuno potrà trovare essenziale mangiare per sostenersi fisicamente per aiutare i deboli, per ringraziare e lodare il Signore di quanto ha ricevuto. Un altro potrà trovare importante digiunare per sottolineare la supremazia dello spirito sulle esigenze del corpo. Chi fa bene? La risposta è: entrambi se lo fanno per il Signore.

Ecco dunque lo spirito con cui si dovrebbe intervenire nel sociale: non per una qualche legge di giustizia. La "legge della decima per i poveri" non può che essere una legge interiore alla quale si aderisce liberamente con il cuore. Stabilire una legge esteriore significa esporre i cristiani al rischio del giudizio. Così alcuni saranno ritenuti buoni cristiani perché aderiscono alla legge, altri vengono disprezzati, giudicati, perché non aderiscono a quella legge. Ma il pieno compimento della legge è l’amore (Rm 13,10): così chi impegna il proprio denaro per il sostentamento di coloro che muoiono di fame, fa bene e chi non lo fa, fa bene lo stesso. Infatti dovremmo chiederci: perché lo fanno? E come lo fanno?

Se chi fa un offerta ai poveri o alla Chiesa lo fa per vana gloria, per sentirsi in pace con la sua coscienza, per esimersi dall’impegnare tutto se stesso a servizio del Regno togliendosi il pensiero con un assegno… è ancora "bene"? E’ ancora accettabile agli occhi del Signore? Quanto facciamo è NULLA se siamo staccati dal tralcio, cioè sarà perduto nel NULLA e non produrrà frutto:
 
 

«Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla»
(Gv 15,5).

E chi non stacca un assegno per i poveri, perché ne ha bisogno la sua famiglia, vive modestamente e vive tutto con semplicità e amore, nella pazienza e nella disponibilità verso tutti, fa ancora "male"?

Con la venuta del Regno, "bene" e "male" sono il fare o non fare la volontà di Dio, Lui solo sa che cosa è bene per ciascuno di noie che cosa è male. Ciò che sappiamo del bene è solo frutto della sua Rivelazione nella Bibbia, per il resto non esiste legge.

E qualsiasi cosa facciamo, se la facciamo senza amore è ancora NULLA (1 Cor 13). A volte conta più il modo che la quantità. Un piccolo gesto fatto con amore può sciogliere un cuore. Una grande opera fatta con freddezza andrà in perdizione. Non sono stati sufficienti 5 pani e 2 pesci donati a Cristo con amore da un ragazzino, per sfamare migliaia di persone? Così, quanto non facciamo con amore per il Regno di Cristo andrà in perdizione e non servirà a NULLA anche se l’apparenza dei nostri occhi ci dicesse che a qualcosa è servito.


3. CHIAMATI NELLA DIVERSITA’ Ognuno di noi ha un compito ben preciso nel Corpo di Cristo:
 

«a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune»
(1 Cor 12)

Non esiste qualcosa che sia giusto in assoluto per tutti (se non quanto scritto nei 10 comandamenti, secondo l’interpretazione di Cristo – Mt 5 e 6). Ciascuno ha un compito particolare e il Corpo di Cristo, la Chiesa, ha bisogno di tutti secondo il carisma particolare che ha ricevuto.

Ecco un altro motivo per non assolutizzare le leggi cristiane. Ciò che conta non è che facciamo una certa cosa, ma che facciamo "quella" cosa che Dio ci chiama a fare. Nel suo Regno non c’è posto per i "volontari", ma solo per i "chiamati". Ricordi la parabola del vignaiolo? (Mt 20). Non sono i lavoranti che si presentano volontariamente dal padrone, ma è lui stesso che va in giro in cerca di operai per la sua vigna!

Ciascuno di noi ha quindi un modo peculiare di vivere il cristianesimo. Entrando in chiesa vedo a volte alcune persone che accendono una candela per il Signore. A me, personalmente, quella candela non esprime niente. Ma per loro la candela è segno del loro sentire interiore. Penso che non accenderò mai una candela per il Signore: non fa parte della mia spiritualità. Ma sono chiamato a non giudicare chi fa questo gesto. Anzi se una persona fosse impossibilitata a farlo, lo farei per lei, pur non credendoci.

Siamo chiamati nella diversità. Non si deve giudicare. Se ti senti chiamato (e non lo fai solo di tua iniziativa) in modo particolare verso l’aiuto economico, allora è un bene. Ma mi fanno paura le persone che assolutizzano un principio e lo fanno diventare "legge": è la strada verso il giudizio e la divisione.


4. IL DISTACCO DAL DENARO:
 
 

Gesù disse: «Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi»
(Mt 19,21)

. Nella storia della Chiesa ci sono state epoche in cui si metteva maggiormente al centro il comandamento "dallo ai poveri". In altre epoche il comandamento "vieni e seguimi". Cioè in un caso si trattava di farsi poveri per aiutare i poveri (motivazione sociale), altre volte si trattava di farsi poveri per seguire Gesù povero e crocifisso (motivazione spirituale). Quale delle 2 è più importante? Nella prima l’accento è sui poveri, Cristo viene visto e identificato nei poveri da aiutare. Nel secondo caso l’accento era posto sullo spogliarsi di tutto ciò che ci impedisce di seguire il Cristo, spogliarsi del proprio IO e stare con Gesù povero. Il primo comandamento ci dice: aiuta i poveri. Il secondo comandamento ci dice: fatti povero e stai con i poveri.

L’amore perfetto comprende entrambi: aiutare e stare con i poveri. A volte è troppo facile aiutare i poveri dall’alto delle proprie sicurezze economiche, restando nella propria "classe sociale". Dio ha chiamato alcuni come Francesco e i francescani a condividere la sorte dei poveri, a mettersi dalla loro parte.

Quindi, Lorenzo, tu dici bene quando affermi che l’amore va concretizzato anche economicamente. Ma Gesù potrebbe risponderti: già che hai fatto questo passo, perché non ne fai un altro? Lascia tutto e passa dalla parte dei poveri! Cerca Gesù tra i barboni. Cerca Gesù tra i malati terminali. Cerca Gesù dove c’è prostituzione. Cerca Gesù nei quartieri malfamati. Ecco i nuovi poveri.

Ma tutto questo viene richiesto per la "perfezione" a coloro che sono chiamati a vivere in un modo particolare i cosiddetti "consigli evangelici". Quindi non si tratta di un dovere morale, quanto di una chiamata di Dio. Ma a tutti i cristiani è richiesto di vivere moderatamente, nel distacco dal denaro, nel distacco dal proprio IO, dal proprio orgoglio, vivendo da servi e non da padroni, non solo "nell’aiuto" degli altri, ma nella "condivisione" economica, sentimentale e spirituale:
 
 

«Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi».
(Rm 15,14-16).



 

Riassumendo, ciascuno di noi è chiamato a dare tutto, non solo la decima parte, ma ad impegnare tutto il suo essere spirito, anima e corpo; non per adempiere una qualche legge, ma perché ha sperimentato l’amore di Dio: il suo Regno di giustizia, gioia e pace. Non conta che cosa facciamo in particolare, ma contano il modo e la finalità: che lo facciamo con il cuore, per il Regno e non per noi stessi: esiste infatti una carità che nasconde egoismo e superbia spirituale.

Ma che cosa fare concretamente? È il Signore che ci chiama nella sua vigna ad operare secondo i suoi progetti. Così, anche dal punto di vista economico, qualcuno sarà chiamato non a dare "la decima parte", ma TUTTO, a farsi povero completamente, per aiutare e stare con chi soffre e seguire Gesù povero e crocifisso. Agli altri sarà chiesto di vivere moderatamente nel distacco dal denaro e di impegnarsi in un qualche compito nella vigna del Signore, dando tutto se stessi, condividendo la propria vita con la gioia e la sofferenza degli altri, concretamente.

Ma tutto sia fatto senza giudizio e nella misericordia.

Spero di non averti confuso le idee e che questi spunti di riflessione ti abbiano aiutato. Ti ringrazio per averci scritto ancora.

Pace e bene.

Giampaolo & il Gruppo Biblico di Evangelizzazione
 
 



Gruppo Biblico di Evangelizzazione