CALCIO

Il day-after di Piacenza-Roma:

bilancio di un torneo appena agli albori

di Marco Baldi (12/11/2002)

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Piacenza – Roma 1-1, sensazioni e riflessioni s’accavallano, coincidono e si scontrano, nella migliore tradizione calciofila italiana. C'è chi vede tutto nero senza soluzione di rimedio, chi in chiaroscuro con grigio dominante; chi sfumature di bianco più o meno accentuate. "Roma fuori dal giro scudetto" sentenzia uno; "Il recupero? Difficile ma possibile" ribatte l'altro; "Roma rientrante sicura in poche partite" sostiene quell'altro. La via di mezzo è quasi sempre la migliore, e, benché la prima, di ipotesi, risulti trionfante nei consensi giornalistici e popolari, d’obbligo optare per la seconda, con buona pace di nordisti, nordofili ed anti-romani in generale. Aspetti positivi e meno si sommano spontanei, pronti ad originare un mix dal contenuto delineato che qualche risultato lo dovrà pur portare, di che tipo dipende dalla prevalenza finale di quella o quell’altra parte. Doveroso avviare l’analisi dai più dolorosi, per evitare il rischio di rovinarsi il gusto dolce delle buone considerazioni successive.

Inutile negare l’opportunità buttata, la Roma a Piacenza più che un punto guadagnato ne ha persi un paio; così come l’aumentato distacco dalla Juve, personalmente considerata, seppur a malincuore, maggior candidata al titolo insieme ai giallorossi, non rappresenta di certo un buon viatico per il prosieguo del torneo; nell’ambito più strettamente specifico del match, sensazioni contrastanti sulle scelte di Capello: apparentemente buono l’inedito assetto senza centravanti, se non fosse, che, oltre che agli avversari, il punto di riferimento ottieni spesso il risultato di toglierlo pure alla tua, di squadra; e se poi ci metti la poca vena realizzativa degli avanti, a parte il capitano, e la buona sorte che per ora sembra alloggiare dappertutto meno che dalle parti di Trigoria, le cose proprio benissimo non sembrano andare.

Ma a confortarci ecco il solito inevitabile rovescio della medaglia, solitamente in negativo, stavolta lo intendiamo in senso opposto, perché, se è vero come è vero che la Roma è a sette punti dalla vetta, è vero pure che gli ultimi progressi rispetto ad inizio stagione sono talvolta strabilianti, o quasi. Per cominciare: i punti di distacco dalla prima? Sette e fin quindi è impossibile negarlo, ma lo è pure il fatto che fino a tre giorni fa fossero otto, rosicchiati un punto tanto all’Inter capolista quanto al celebratissimo Milan ancelottiano; magari non sarà granché, ma in tempi di magra, o semi-tale, come questi, difficile farsi venire la tentazione di buttare via qualcosa. Poi: se da Piacenza c’è, oltre al solito Totti, un ricordo da riportare soddisfatti, questo è il gioco: concetto opinabile, per carità, ma personalmente non c’è dispiaciuto affatto, sempre insufficiente in finalizzazione, ma animato con continuità ed abilità dall’inedito talentuoso duo Totti – Cassano, supportato dai sempre presenti Emerson e Tommasi; ci pare migliorata la difesa, più attenta e concentrata, pur subendo sempre troppo anche per un Guigou nullo in fase di interdizione e l’atteggiamento fortemente aggressivo del centrocampo, comunque da elogiare in questo calcio spesso troppo attendista e pauroso.

Vi sorprenderà, ma punta di diamante di tale tendenza pensiamo sia Emerson, giocatore ibrido fra l’incontrista, il regista ed il trequartista, mezzi tecnici notevoli, che se imbrocca la giornata giusta ti fa stupire di meraviglia, se quella sbagliata non ne azzecca una manco per sbaglio. Avulso dal gioco, eccellente “perdente” di palloni fino ad un mese e rotti fa, sembra, nemmeno troppo lentamente, tornare quello di tedesca memoria, leader del centrocampo ed ideale vice-capitano, direttore d’orchestra della squadra in seconda dopo Totti. In tale contesto si inseriscono di diritto anche i due esterni unanimemente considerati la migliore coppia del torneo: Cafu e Candela, fondamentali nella Roma scudetto, dopo un avvio disastroso, d’altra parte in armonia col resto della squadra, ricominciano gradatamente a far vedere i colpi che li hanno resi famosi e celebrati: note scorribande, capacità di allargare le difese avversarie, ma anche eccessivo intestardimento per il tiro, suo unico acclamato punto debole, per il primo; bravura tanto in fase difensiva quando in quella offensiva, di assist e conclusioni, quando serve, per il secondo. Impossibile ignorare Delvecchio, tornato a livelli inaspettabili dopo mesi di infortunio. Un elogio particolare merita Aldair, che a 37 anni sembra averne una decina di meno, e fra i più positivi ci sentiamo di metterci anche Cassano, genio e sregolatezza direbbe qualcuno, ribelle per natura che, come dimostrato in parte a Piacenza, trovando il giusto mix fra altruismo, egoismo e colpi di testa (non quelli dati al pallone) potrebbe diventare l’attesa arma in più per Capello. Totti neppure lo citiamo più, tanta è la sua grandezza e la capacità innata di essere allo stesso tempo capitano, giocatore simbolo e leader indiscusso della quadra. Doveroso comunque ricordare, in contrapposizione a tale quadretto, anche, fra gli altri, il confusionario Lima, il discontinuo Panucci, l’ingenuo Zebina, l’altalenante Antonioli, capace di alternare parate strepitose, soprattutto sui rigori, a papere più o meno appariscenti.

Insomma, nonostante i mancati rinforzi estivi, che si spera arriveranno a gennaio, la squadra c’è, in fondo per la stragrande maggioranza è quella dello scudetto, e comincia finalmente a dimostrarlo sempre più. Per ora si gioisce da altre parti, ma quando la fortuna tornerà, speriamo, a girare, e se gli attaccanti, oltre a san Totti, ricominceranno a buttarla dentro con regolarità almeno soddisfacente, se è vero che ride bene chi ride per ultimo…