CALCIO

IL CAMPIONATO DELLA ROMA

2001-02

I servizi di Marco Baldi

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1^: Roma brutta ma niente allarmi (28/8/2001)

Comincia così così il campionato della Roma da Campione d’Italia. Dopo aver fatto sua senza troppi affanni la Supercoppa italiana, incappa infatti in un ottimo Verona, fin troppo aggressivo a questo punto della stagione, e deve accontentarsi di un pareggio, che, comunque, a conti fatti, sta più stretto agli scaligeri che non ai giallorossi. La squadra di Malesani, per la prima di lusso al Bentegodi, si presenta nella migliore tradizione delle piccole o pseudo-tali in avvio di stagione: forma tanta, voglia pure, e magari ci scappa che sorprendi una grande o presunta tale. Nel pomeriggio non era stata un’eccezione: basti pensare al Piacenza, che era uscita dall’Olimpico con un pareggio contro una Lazio comunque evanescente; al Brescia di Mazzone, che ha sfiorato il colpaccio contro il Milan di un Terim che continuiamo a ritenere non all’altezza; al Lecce, che in casa propria ha strappato un prezioso pareggio ad un Parma che non sarà più quello di una volta, d’accordo, ma rimane pur sempre degno di un piazzamento da Champions; al Chievo, che ha iniziato come meglio non poteva la sua storia fra i grandi demolendo una Fiorentina sempre più in difficoltà; od addirittura al Perugia, che, a dispetto del risultato, non si è di certo arreso all’Inter con tanta facilità.
Stesso copione nel posticipo per il Verona, con quella corsa, organizzazione e voglia che non t’aspetti, fino a mettere in seria difficoltà la Roma neo scudettata. Dall’altra parte, grinta, aggressività e voglia di vincere latitano, e già è tanto se si riesce a strappare un pareggio. A dir la verità, fino ad un quarto d’ora dal triplice fischio di Farina, un colpo di testa di Samuel, l’unico, insieme a Totti, a tenere alto l’onore dei Campioni ed evitare l’affondo del transatlantico giallorosso, stava per regalare a Capello la più sofferta delle vittorie, ma poi ecco Oddo, che con un gollonzo tanto bello quanto casuale e non voluto, rimette le cose a posto e regala una volta tanto una parvenza di giustizia ad un calcio sempre più ingiusto, disonesto e dominato sempre più da veleni, polemiche ed affini al di fuori del campo piuttosto che da goal, assist, colpi di tacco e magie dei campioni all’interno del rettangolo di gioco (o dio, da romanisti non è che ci avremmo sputato, su tre punti, seppur immeritati, ma il calcio è bello anche per questo, ed è anche per questo che, nonostante tutto, continuiamo ad amarlo).
In un Bentegodi stracolmo, con i soliti 8mila al seguito dei giallorossi, a Capello, che getta nella mischia gli stessi undici della Supercoppa, con Fuser ed Assuncao ancora una volta a sostituire, seppur con meno successi, Cafu ed Emerson, Malesani risponde con un 4-3-3 in cui l’unica punta di ruolo, Gilardino, è assistito da vicino da Mutu e Montano (uscito fra gli applausi), che, aggressivi e molto defilati, fanno girare la testa ai difensori giallorossi, i quali, in più occasioni, si esibiscono in disimpegni e rinvii quantomeno discutibili. Nel terzetto difensivo di Capello regge solo Samuel; Zago non sa mai che fare con il pallone fra i piedi, e finisce più di una volta per regalarlo a Montano, che è in giornata, eccome, fino a che si arriva ai sedici metri d’area, ma poi, al momento di concludere, la mira non è certo delle migliori; Zebina va nel pallone sul continuo pressing di Mutu, e ricorre al fallo sistematico: proprio dalle numerose punizioni da quella parte nascono alcune fra le occasioni più pericolose, ma Pelizzoli dimostra a ripetizione di non essere capitato lì solo per caso, come molti vogliono continuare a farci credere. Il primo tempo è quasi tutto di marca veronese, la Roma gioca poco, nel senso che crea poco, forse una decina di minuti in tutta la gara, ma quando lo fa la (nonostante tutto) abissale differenza tecnica è quantomeno evidente: inarrestabili le discese di Candela, anche se un po’ troppo rare, quasi sorprendente la freddezza di Samuel in retroguardia, illuminanti i suggerimenti di Totti, che non si risparmia nemmeno in finezze, meno precise le conclusioni di Bati, mentre a quelle di Montella nemmeno accenniamo, per il semplice motivo che non ce ne sono state proprio. Nel complesso, insomma, molte più ombre che luci. Soprattutto da elementi, tipo Fuser, bravo solo in qualche recupero, e Tommasi, che avevano impressionato (positivamente) nel brillante precampionato. Guarda caso, due uomini di centrocampo, proprio dove il Verona costruisce i presupposti per l’ottima gara tenendo sempre in mano le redini del gioco, con Oddo e Seric sugli scudi ad assicurare costante superiorità numerica con continui e veloci inserimenti ed improvvisi cambi di passo che mettono in difficoltà il reparto giallorosso e non consentono un filtro adeguato.
Niente allarmismi, però: una sola battuta d’arresto, per lo più alla prima, non può pregiudicare il seguito di un’intera stagione, che continuiamo comunque a pronosticare assolutamente trionfale, e non solo perché tifosi. Una sola preoccupazione, o meglio, timore: potrà dare, questo brutto pareggio, ulteriore adito a polemiche già fin troppo feroci contro il comunicato emesso in settimana dai giocatori (superfluo specificare cosa dicesse)? Per l’amore, forse eccessivo, ma incontrollabile, per squadra e città, speriamo proprio di no, e siamo in più di quattro milioni a farlo, anche se nello stesso numero crediamo all’unanimità che, in fondo in fondo, se lo meriterebbero pure.
Nell’ultimo quarto d’ora il Verona si riposa, e la Roma è lesta ad approfittarne: corner di Fuser, palla che arriva al capitano, palombella al bacio per The Wall che insacca all’angolino. Roma al riposo in vantaggio. Immeritato, ma il calcio è pure questo.
Ripresa: il copione più o meno è lo stesso: Verona a spingere per recuperare, Roma a difendersi per portare a casa tre punti fin troppo sofferti. Almeno fino al 75’, quando arriva il pareggio tanto cercato: cross di Oddo, come sempre libero, dalla destra, deviazione appena percettibile di Candela e sfera che si insacca con la più incredibile delle traiettorie. Pelizzoli impotente sul gollonzo che ci sembra tanto fotocopia di quello di Birindelli appena un paio d’anni fa.
Dopo il pari Capello corre ai ripari: prima erano subentrati Siviglia e Guigou per Zago ed Assuncao, niente in sostanza, parlando di tattica, era cambiato, adesso entra Lima per Fuser e qualcosa varia: Tommasi va a destra, il brasiliano al centro, mosse in apparenza senza grandi risultati, ma, fatalità, la Roma finalmente scende in campo, nel senso letterale del termine. Da una parte Totti e Bati sfiorano a più riprese il colpaccio, ma anche dall’altra Mutu mette paura a Pelizzoli, che anche questa volta risponde da campione.
Finisce 1-1, tutti a casa, tutti contenti a metà: Malesani è felice per il gioco, ma rimpiange l’occasione persa; Capello esulta per il pericolo scampato, ma sgriderà i suoi per il gioco espresso. Morale della favola: arrivederci all’Udinese, quando la Roma, non abbiamo dubbi, si riapproprierà una volta per tutte della fama di schiacciasassi.

5^: La Roma è tornata e Totti è sempre più il suo re (24/10/2001)

L'inizio era stato a dir poco problematico, il proseguo forse potrebbe essere persino più roseo, ma per ora ci va benissimo così. Questo l'andamento di una Roma che sembra sempre più ripercorrere le tappe che appena un anno orsono l'hanno portato al suo terzo tricolore. Ossia: settembre tempestoso, fra polemiche, comunicati e contestazioni varie; ottobre più sereno, con le prime vittorie che cominciano ad arrivare; e magari da novembre ricomincia a splendere il sole. A confermare la nostra tesi i sedici punti nelle ultime sei partite fra campionato e Champions, a rafforzarla i dodici goal fatti, a spazzar via ogni dubbio i soli tre subiti.
Morale della favola: non resta che sorridere. Eh sì, perché se in Champions la qualificazione è ormai in cassaforte, anche in campionato la rimonta non sembra fra le più complicate. Per la buona vena romanista, certo, ma anche per le prestazioni altrui decisamente al di sotto delle aspettative; perché se tifi Roma e segui il campionato, a vedere le rivali non può non scapparti un sorriso a bocca larga: Juve fin troppo orfana di Zidane; Milan troppo discontinuo e confusionario per tornare in breve ai livelli che la storia gli assegnerebbe; Inter che, dopo aver raccolto più di quanto aveva seminato, sembra ora cominciare a perder colpi; Parma rivoluzionato ormai da metà classifica; Lazio peggiore dell'ultimo lustro; Chievo che, con tutta la simpatia, non resisterà ancora a lungo.
Ultima vittima in ordine di tempo per la Roma, e questa volta veramente sacrificale, dopo Fiorentina, Juventus, e due volte Lokomotiv, il Lecce di Cavasin, che cade senza appello sotto i colpi di Totti e compagni. Cinque goal fatti, il sesto sfiorato più volte: difficile trovare uno slogan più azzeccato per una Roma (e non può che essere di buon auspicio) che sembra sempre più essere tornata quella di una volta.
All'Olimpico Capello (o meglio Galbiati, con il mister di Pieris che, squalificato, dà istruzioni dalla tribuna) torna all'antico: rispolvera il modulo scudetto (un 3-4-1-1 con Delvecchio a far da pendolo fra centrocampo ed attacco, Batistuta perno centrale in avanti, Totti libero di muoversi ed inventare), e per 8/11 anche gli stessi uomini, con l'unica sorpresa dell'esclusione di "Anima candida" Tommasi per far posto all'ex Lima, finalmente ambientatosi dopo aver trovato la giusta posizione in mezzo al campo. Dall' altra parte Cavasin opta per il non prenderle, con un 4-5-1 mascherato da simil 4-3-3, in cui il difensore Cirillo è preferito al più offensivo Balleri, e l'unica punta Chevanton è appoggiato, senza troppa costanza, da Giacomazzi e Vugrinec. Mancando Piangerelli, a mò di calamita su Totti ci va Giorgetti, ma una cosa è la classe (del capitano romanista), un'altra la voglia di far bene (del marcatore salentino), e si vede. Francesco, in una parola, incanta: inventa, per sé e per gli altri; corre quasi quanto Lima e Tommasi, s'adatta a qualunque ruolo senza troppo lagnarsi, e si sacrifica senza remore in copertura; offende quando può e concretizza nemmeno troppo raramente per un numero 10, atipico sì, ma sempre numero 10 rimane; ma, soprattutto, per la gioia degli amanti del calcio, sa non essere mai banale, ogni sua giocata è una sorpresa, lustro per gli occhi; finezze, colpi di tacco e tunnel da brividi sono ormai suo pane quotidiano, ed anche, o forse soprattutto, per questo, si fa amare (quasi) indifferentemente da critici e tifosi.
Fra stampa e TV varie gli abbiamo visto assegnare voti da un minimo di 8 ad un massimo di 9. Personalmente ci sentiamo di sottoscrivere un 10 e lode, consapevoli che sia comunque insufficiente per giudicare un campione simile, simbolo di Roma e Nazionale, l'unico che da parecchi anni a questa parte è riuscito veramente ad eguagliare, e forse a superare, il mitico Roby Baggio.
E con un Totti così, supportato come mai era successo finora, con protagonisti Candela sulla sinistra, Panucci sull'altra fascia, Assuncao, sempre bravo a dare ordine a centrocampo, e Lima, che magari tecnicamente non sarà un fenomeno, ma che a correre ed a rubar palloni non lo batte nessuno, non si può che trionfare. Ed infatti la Roma parte aggressiva come non te l'aspetti, e dopo otto minuti è già vantaggio: perfetto il cross di Candela (lasciato completamente solo), bella la torsione di Totti che insacca. La Roma non s'accontenta e cerca il raddoppio, ma spreca un paio di buone occasioni, clamorosa quella di Assuncao. Poi al 38' finalmente il secondo arriva: corner di Totti (ma guarda un po'), Delvecchio di testa pennella un assist per Samuel che mette dentro.
Nella ripresa la squadra di Capello sembra però adagiarsi sugli allori, le occasioni per il tris ci sono pure, delizioso un pallonetto di Totti finito sulla traversa, ma grinta e mordente, a parte che per il capitano, non sono
più quelle del primo tempo. Il Lecce ne approfitta, niente di trascendentale per carità, Antonioli continua a dormire sonni assolutamente tranquilli, ma la formazione salentina, con un Balleri in più, spinge con maggiore
convinzione, ed al 65', al primo vero tiro in porta, trova il goal con una staffilata di Chevanton appena da fuori area.
Tutto rimesso in discussione? Macché. Un paio di minuti neanche, Candela s'infila nell'incerta difesa leccese, fra finte e serpentine s'avvicina indisturbato a Chimenti e lo batte sul primo palo a coronamento di un'azione da campione. E qui la partita si conclude, nemmeno tanto virtualmente. Mezz'ora rimane, ed è mezz'ora di accademia-Roma, che va a segno altre due volte: prima il capitano si procura e trasforma un rigore per fallo di Giorgetti (dubbio per la verità, ma con un 5-1 ci pare superfluo discutere); poi lancio col compasso di Panucci, Bati stavolta non si fa pregare ed anche lui mette il suo sigillo su una partita, per quanto lo riguarda, come al solito
piena di grinta ma povera di sostanza.
Ovazione per Totti che sul finale esce per lasciare posto e ruolo a Cassano, che sfiora il sesto, ma niente da fare. Non fa nulla, sembra dire Galbiati, di diverso avviso, conoscendolo, sarà Capello.
Ma anche lui dovrà constatarlo: la Roma è tornata, sono tutti avvisati.

9^: Grande Roma, il derby è tuo (31/10/2001)

Un tempo, nemmeno tanti lustri fa, la vittoria nel derby della capitale era il più ricercato, forse l'unico obiettivo vero e proprio, di due squadre per lo più delle volte decenti, d'accordo, ma sempre ed incondizionatamente afflitte da quella cronica quanto fastidiosa inferiorità nei confronti di Juve, Milan e compagnia. Chi vinceva era portato in trionfo da lì fino al derby successivo, chi cadeva si riduceva a vittima impotente degli avversari, scherzi e sfottò si sprecavano. Il tutto, però, nell'anonimato più completo, o quasi, per entrambi, nel contesto globale del torneo. Ora, con le due romane finalmente ai vertici (chiariamo: finalmente si intende solo ed esclusivamente per la Roma, per quanto riguarda i cugini personalmente il sogno di vederli in B, o magari più giù, è ancora vivo e vegeto), la stracittadina della capitale si è tramutata in una semplice goccia d'acqua nell'oceano del campionato, ma rimane pur sempre una goccia ben più grande delle compagnie, se non dal punto di vista pratico, sicuramente da quello di sentimenti e sensazioni. Eh sì, perché chi trionfa si gode ancora i suoi sei mesi, o giù di lì, di gloria, chi è sconfitto
continua a subire scherni e sfottò dall'avversario. Questa volta a trionfare è la Roma, come da pronostico; una vittoria forme meno netta e schiacciante di quanto ci si sarebbe aspettato, ma non per questo, ne siamo certi, le
feste saranno meno corpose o meno numerose.
Parlando di campionato in generale, destini opposti per le due romane dopo il derby: la Roma vola al secondo posto, dietro solo al sempre più sorprendente Chievo, quasi completata una rimonta che noi stessi avevamo pronosticato non fra le più complicate; tutt'altra musica per la Lazio, in picchiata libera ed ormai in piena zona retrocessione.
All'Olimpico la Roma si presenta con l'ormai consueto 3-5-2: Batistuta fa da perno centrale, ma è fin troppo isolato per esprimersi finalmente ai livelli che gli competerebbero; l'inesauribile Lima va ad affiancarsi, sulla
linea mediana, al quasi alter-ego Tommasi ed al più tecnico Emerson, apparso in ripresa ma di certo non ancora al top; Marco Delvecchio, l'uomo derby per antonomasia, resta almeno inizialmente in panchina, ma anche questa volta la sua fama non sarà smentita. Unica reale variazione: Totti è più arretrato del solito, a garantire superiorità a centrocampo e controllare le ripartenze laziali. La tattica funziona, ma è certo che da quella posizione in attacco e rifinitura il capitano è logicamente latitante.
Zaccheroni risponde con un insolito, ma nemmeno troppo, 5-3-2, in cui Negro e Cesar fungono da esterni difensivi ad arginare (decentemente il primo, male come non mai l'altro) Cafu e Candela, mentre in avanti Mendieta
e Liverani, con Fiore in panca, appoggiano (peggio) Crespo e Claudio Lopez.
Nel primo tempo netta la superiorità della Roma, ma solo dal punto di vista territoriale; le occasioni, per entrambe, latitano. In due parole: la Roma attacca, ma punge solo da fuori; la Lazio si chiude bene e riparte, ma
senza troppa convinzione.
Per i giallorossi il tema di gioco è sempre quello: con Cesar che girovaga sperduto per il campo, palla al liberissimo Cafu, che galoppa sulla fascia e mette al centro. Ma un dubbio amletico sorge inevitabile: al centro, chi c'è? Eh sì, perché quando il Capello-team attacca, il copione fin troppo spesso è sempre lo stesso: il brasiliano mette in mezzo, Batistuta, solo come non mai ed attorniato da tre o quattro difensori avversari, si sposta sul primo palo per creare spazi, ma negli spazi, con Candela ora frenato da Negro, ora attardato per un pelo, e Totti praticamente fisso a centrocampo, non ci va nessuno, ed i laziali liberano tranquilli. L'alternativa sarebbe il capitano, ma la posizione non l'aiuta di certo nelle rifiniture di prima che l'hanno reso famoso. Più di una volta riceve palla sulla trequarti, si muove, indisturbato pallone al piede, in linea orizzontale, ma gli spiragli non ci sono, e l'azione sfuma. Insomma: pochi lanci e servizi, ma quei pochi uno più bello dell'altro, sfruttati poco o male dai compagni. Il goal arriva pure, è di Totti su cross di Candela, ma viene (giustamente) annullato per millimetrico fuorigioco.
Diverso il discorso per la Lazio: difficile parlare di temi di gioco, semplicemente perché il gioco non c'è proprio: Liverani si dimostra sempre più giocatore solo da Perugia, Crespo e Lopez ricevono palla praticamente solo in caso di errore altrui, o grazie ai rarissimi lanci di una certa qualità di Gaizka Mendieta, rimasto testa e gambe a Valencia, ma i due non sembrano essere nella loro miglior giornata, ed Antonioli continua a dormire sonni tranquilli.
Nella ripresa tutto cambia: nella Lazio undici invariato, mentre nella Roma all'infortunato Batistuta subentra Marco Delvecchio, che va a fare il centravanti, Totti finalmente avanza, ed è la svolta. Nemmeno quattro minuti, e la Roma è già in vantaggio: Emerson lancia il neo-entrato, che stoppa di petto, avanza nella sconcertante prateria che è per l'occasione la difesa laziale, l'unico reparto altrimenti ancora in piedi di una squadra allo sbando, salta Nesta, l'unico rimasto al suo posto, e batte Peruzzi. Ottavo goal nel derby per SuperMarco, che si conferma bestia nera per i cugini ed arriva ad una sola rete dal record-man Da Costa.
La reazione biancoceleste non è immediata, ma comunque arriva, e si concretizza nelle due occasioni più pericolose della gara per gli uomini di Zaccheroni: prima Crespo spara addosso ad Antonioli, che poi è bravo ad allontanare; più tardi, ancora il ritrovato portiere giallorosso si fa apprezzare per un'uscita su Lopez, che spreca sulla ribattuta. E qui finisce, nemmeno tanto virtualmente, la partita della Lazio: troppe poche idee, troppi passaggi sbagliati, troppo grosse le incomprensioni fra i reparti per definirsi, adesso come adesso, una grande squadra, da scudetto, per intenderci.
L'ultimo quarto d'ora, forse qualcosa di più, si rivela così una formalità per la squadra di Capello, che controlla agevolmente con un Totti che, finalmente aiutato da Candela, libero di avanzare dopo l'uscita di Negro (a lungo applaudito dai tifosi giallorossi che non hanno ancora dimenticato il suo regalo dello scorso anno) per far posto ad un evanescente Castroman, ritorna ancor più sé stesso e sfiora il goal in un paio di occasioni, ma la fortuna non sembra aiutarlo. Ed invece siamo piacevolmente smentiti in pieno recupero, quando Lima se ne va sulla sinistra, crossa al millimetro per il capitano, che di testa insacca. Corsa entusiasta sotto la Sud, ed il trionfo dei Campioni è completo.

12^: Torna la Roma e con lui il suo campione (27/11/2001)

Torna a vincere la Roma, e lo fa proprio là dove pareva più difficile. Torna a segnare Batistuta, e lo fa proprio quando contrapposto a Pagliuca, il portiere che più di tutti gli ha regalato soddisfazioni: dei 170 ed oltre che ha fatto in carriera, 16 goal l'ha fatti solo a lui.
Dopo i pareggi a Bergamo e con l'Inter, Capello espugna il Dall'Ara, tanto facilmente come nessuno credeva, in modo tanto convincente come nessuno osava sperare. Dopo i centri di Torino e con il Lecce, il Re Leone mette
dentro i terzo sigillo in campionato; l'anno scorso a questo punto era già a quota decina, d'accordo, ma intanto è un inizio e già questo è un qualcosa di positivo.
La Roma è ormai vicina a completare quella rimonta al Chievo che solo all' inizio sembrava impensabile (Presto per cantar vittoria e parlare di Roma veramente ritrovata? Certo, ma nemmeno tanto). Bati è lontano dalla vetta
dei cannonieri, ma mai dire mai è il motto che lo deve accompagnare.
Un parallelo, quello tra la Roma in generale e Batistuta in particolare, che può portare solo bene e che, se mischiato con le punizioni di Assuncao, la ritrovata vena di Emerson, ed i chilometri di Lima, non poteva che portare ad un esplosivo mix davvero difficile da fermare. Sicuramente non c'è riuscito il Bologna di Guidolin, che, prima arrendendosi ad armi basse, poi cercando invano di reagire, è caduto dinanzi a Bati e compagni.
Al Dall'Ara è priva di Totti, la Roma, senza dimenticare Montella, Delvecchio, Zago, Candela. Emergenza solo apparente, però, per chi come la squadra del presidente Sensi ha 25 giocatori uno più forte (e pagato) dell'altro. Principale novità: Capello torna all'antico, solo sulla carta il suo è il recente 3-5-2, in realtà il 3-4-1-2, o giù di lì, dello scudetto, è più che rispolverato, merito primario al centrocampo, che finalmente gira come un tempo: in pratica il lavoro, di filtro, interdizione e suggerimento, fino all'altro ieri lo facevano in tre, ed il trequartista inevitabilmente scompariva, ora tornano a farlo in due, Assuncao e Lima per l'occasione, torna il trequartista e tutta la squadra ne risente in positivo. A far da vice Totti c'è così Emerson, mentre a prendere il posto di Delvecchio va Cassano, che gira introno a Bati, tocca pochissimi palloni ma col costante movimento mette in ambasce la difesa bolognese, che in più di un'occasione non sa proprio che pesci pigliare. Fondamentale anche il ruolo di Cafu, poi di Tommasi, nell'arginare Nervo, come sempre fra i più attivi.
Anche il Bologna, però, in fatto d'assenze non scherza: Signori è la più evidente, Cipriani quella cronica, Macellari la più recente; e si vede. Guidolin si affida ad un 3-5-1-1 in cui Zauli, ed in parte Pecchia, appoggiano l'unica punta Cruz, ed il folto centrocampo, a 5 sulla carta, a 6 con Zauli che ritorna, dovrebbe imbrigliare, nelle intenzioni del tecnico, quello meno folto della Roma, ma l'impresa non è che riesca un granché.
Nemmeno si inizia, e la partita già si sblocca: Panucci dalla destra, Samuel di testa e la Roma è in vantaggio. Dieci minuti, il Bologna non reagisce, ed arriva il raddoppio: perfetto il lancio di Emerson, bello il taglio ed il tocco morbido di Bati, che insacca. Disorientato dall'uno-due giallorosso, il Bologna cerca di riordinare le idee, e se in difesa sembra riuscirci, in attacco è tutt'altro che facile: perfetta l'organizzazione difensiva di Capello, reparti stretti e vicini costringono i bolognesi al palleggio continuo e ripetitivo, e li rendono più che prevedibili. Il match si riequilibra, le occasioni non fioccano, ma la partita è comunque molto bella. Intanto si fa male Cafu, ed al suo posto ecco Tommasi: anche lui, almeno nella grinta, sembra aver ritrovato lo spirito di un tempo.
Si va così avanti senza grandi sussulti offensivi fino al 40', quando in due minuti la partita forse si decide. Prima l'ex Wome (fra i migliori) con una beffarda traiettoria insacca direttamente dall'angolo; poi Assuncao con una
punizione delle sue ristabilisce le distanze. 3-1 e tutti negli spogliatoi.
Nella ripresa la partita si fa bellissima, gli attacchi hanno la meglio sulle difese, e le occasioni da goal, da una parte e dall'altra, si moltiplicano come non mai. Ma la palla sembra non voler proprio entrare un'altra volta. Fuser e Batistuta da una parte, Dalla Rocca e Bellucci, assistito da un Cruz braso solo come torre, falliscono più volte, e si
termina su un 1-3 ottimo per la Roma, troppo severo (ma da romanisti ci va benissimo) per il Bologna.
Morale della favola: Roma che rimane terza, sempre a tre punti dal Chievo; Bologna che deve ridimensionare i sogni di gloria fatti in questo stranissimo inizio di stagione.

14^: Roma replay, a Parma è ancora show (13/12/2001)

Finisce come l'ultima volta, nel risultato in pieno, nel gioco anche, nell'andamento pure, nei marcatori quasi: a febbraio al Di Vaio iniziale aveva risposto un doppio Batistuta; stavolta la vittoria giallorossa ha le sembianze di Assuncao e Fuser, ma si sa, mutando l'ordine dei fattori il risultato non cambia, ed ora come allora è la sola Roma a beneficiarne.
Testimonianza: Capello, alla faccia di una Roma data in crisi, azzecca il decimo risultato utile di seguito in campionato e si tiene sempre più stretta la seconda posizione, non è contento ma nemmeno stravolto dai risultati, tutti, o quasi, positivi, delle altre contendenti; Passarella, quattro sconfitte in quattro partite, vede già pericolante una panchina presa appena un mese orsono fra le titubanze generali, oramai giustificate.
Si rivede il modulo-scudetto, e con lui una vittoria convincente. Solo un caso per la Roma? Non siamo noi a dover e poter giudicare, ma ci è difficile da credere. Delvecchio fa il solito pendolo fra attacco e centrocampo, Totti, seppur non brillante, un'eccezione per lui, ma l'alibi di essere acciaccato non è esattamente da poco, torna nel suo ruolo, trequartista per intenderci, ed Emerson sembra piano piano tornare, o meglio diventare, finalmente il vero Emerson ammirato a Leverkusen; nel trio di difesa a sorpresa ecco Panucci, che ormai gioca senza storie dove lo metti, ed ogni volta meglio, affiancato dal sempre strepitoso Samuel e da uno Zebina come al solito discontinuo: stavolta va bene, ed anche noi ne siamo contenti.
Delude solo Candela, strano, ma si scoprirà poi anche lui non essere al 100%. La squadra gira e ne risente anche Batistuta, che almeno fin quando gioca sembra finalmente in lieve ripresa.
Modulo speculare, nell'apparenza di certo, nella sostanza meno, per il Parma, che, a differenza della Roma, schiera due punte di ruolo, Di vaio e Mboma, due esterni, Falsini e Sartor, più portati alla fase di copertura che
a quella d'attacco, ed un suggeritore, Nakata, che se come ruolo è simile al capitano giallorosso ex compagno di squadra, e come classe non se ne allontana poi troppo, almeno a Parma continua proprio a non dimostrarlo.
Dopo un inizio equilibrato, la prima mezz'ora è tutta di marca romanista: Panucci, Assuncao, Totti, che scheggia la traversa, Delvecchio, lanciato al bacio dal capitano, e Batistuta - da applausi la sua giocata - impensieriscono Frey in più occasioni, ma come dieci mesi fa, quando Totti sbagliò un rigore, quella porta sotto la Curva Nord sembra stregata, e la palla non vuole proprio saperne di entrare. Il Parma risponde, o cerca di farlo, di contropiede, ma solo Di Vaio sembra metterci la grinta, ed Antonioli continua a dormire sonni tranquilli.
La rete, in definitiva, sem,bra nell'aria per la squadra giallorossa, ed invece alla mezz'ora, ricalcando in modo incredibilmente fedele la sfida passata, è il Parma a passare in vantaggio: lancio di Falsini, azione confusa in area di rigore, Mboma da terra beffa tutti ed appoggia a Di Vaio, che insacca. E per la serie i guai non vengono mai soli, cinque minuti e Batistuta si fa male, probabilmente fatale la torsione in occasione della bella giocata di cui sopra; arrivederci all'anno prossimo per lui, in condizioni che ci auguriamo decisamente migliori. E qui Capello, volendo
smentire chi lo dava per difensivista, insiste col modulo che tante gioie ha portato l'anno passato, e mette Cassano per Batigol. Inedito e particolare il tridente che si viene così a formare: Assente un vero centravanti, nel senso autentico del termine, Delvecchio resta a sinistra, Totti e Cassano s'alternano al centro. Il ragazzo di Bari vecchia non si risparmia di certo in termini di tecnica, abbondano finezze e preziosismi, ma se quelle del capitano sono sempre e comunque funzionali al gioco della squadra, queste aiutano decisamente meno la manovra, e finché il numero 18 non avrà finalmente imparato che a calcio non si gioca da soli, difficilmente un posto da titolare sarà suo.
Qualche minuto di smarrimento dopo lo svantaggio, poi la Roma riprende la spinta consueta, ma ormai è troppo tardi. Al riposo si va sull'uno a zero.
Si ricomincia e subito ecco una punizione per la Roma. Sulla palla va Assuncao, e cominciano ad annotare il pareggio giallorosso. Ed infatti: istantanea a Frey, in delirio i quattromila accorsi a Parma e striscione "Assuncao, ma come fao?" che veleggia sempre più in alto. La Roma vuole vincere, e continua spingere con convinzione, il Parma risponde, o quantomeno cerca di farlo, per le rime, e la partita si fa ancora più bella.
Un'occasione per il Parma, sui piedi di Ferrari, qualcuna in più per la Roma, ma il risultato sembra ormai inchiodato. Poi, a dieci minuti dalla fine, quando sembrano venir premiati gli sforzi del Parma di ottenere almeno
un pareggio dopo tre sconfitte di fila, il destino ci mette lo zampino: tiro da fuori dell'ex Fuser, lasciato libero di avanzare indisturbato, deviazione di Cannavaro e Frey è spiazzato. Due a uno che ci permette di avvicinarci con gioia sempre più grande all'ormai fatidico 17 dicembre, ricorrenza di sant'Abete, protettore dell'autorete (e qui chi tifa Roma ci capirà di sicuro).
Agevole per la Roma il controllo negli ultimi minuti, con un Parma ormai sulle gambe ed il solo Di Vaio che continua a provarci. Antonioli fa il primo ed unico miracolo della partita, ed anche quest'anno è un 2-1 più che meritato.

18^: Roma mai doma (16/1/2002)

Tre punti d'oro, per come sono maturati; meno se si pensa ai tanti, troppi errori, seppur inconsueti, per carità, di quella che per i numeri era e rimane la migliore difesa dell'Europa che conta. Comunque il succo sempre quello rimane, con la Roma che centra il settimo successo nelle ultime otto partite, resta in vetta ed allunga a quattro mesi e rotti l'incredibile striscia positiva. Tutto bello, tutto roseo, tutto positivo? Conoscendo Capello, difficile pensare che a Trigoria passeranno inosservati e sotto voce le poco entusiasmanti prove di Zago e compagni difensivi, senza
dimenticare il centrocampo, ottimo in alcuni elementi (vedi Emerson), meno in altri (vedi Lima). Fortuna che ci ha pensato il carattere e la voglia di vincere di una squadra che giornata dopo giornata dimostra sempre più di
meritare quel triangolino tricolore che si porta sulle maglie. Senza dimenticare l'apporto, nell'occasione fondamentale, di Cassano e Batistuta.
Il primo sembra finalmente nel vivo del gioco, e, grazie ad un singolo goal, da brocco, incolto e cattivo ragazzo per molti (le definizioni non sono nostre, ci mancherebbe pure, ma di alcuni eccellenti, o perlomeno considerati tali, giornalisti, vedi Candido Cannavò, direttore de "La Gazzetta dello Sport", che di candido conferma per l'ennesima volta di avere solo il nome), all'improvviso per gli stessi si trasforma in fenomeno, stella del calcio italiano, ragazzo fra i più intelligenti. Ennesima dimostrazione che le vie di mezzo, bene ricordarlo, non farebbero male a
nessuno, tantomeno a Cannavò e compagni. L'altro sembra invece tornato, per un tempo quantomeno, quello di una volta, quando tutto, o quasi, girava per il giusto verso: pochi i palloni toccati, tanto il movimento senza palla, e
quando gliene dai una ecco che la butta dentro senza troppo ragionarci.
All'Olimpico però, almeno dall'inizio ecco riproposto il modulo degli ultimi successi, con il solo Totti a supportare Delvecchio, sempre meno prima punta, sempre più, come sarà evidente nella ripresa, esterno di sinistra. Per il resto invariata la formazione vittoriosa col Torino, unica novità Panucci a far da vice Candela, di sicuro in difesa, arretrando a fare il quarto, meno in attacco, rarissime le sortite offensive; a rilevare l'ex madridista nel trio arretrato va invece Zago, che si piazza a sinistra, con Samuel come al solito centrale e Zebina dall'altra parte.
Il Verona è tutt'altro che vittima sacrificale per eccellenza, e Malesani conferma così la spregiudicatezza che tante soddisfazioni sta portando: fra le tre punte brilla Mutu, ormai in forte odore di grande squadra, ma non
scherza neppure Camoranesi, che già lo scorso anno aveva dato qualche grattacapo a Candela e compagni su quella fascia, mentre Frick, bravo a conquistarsi il posto e scalzare Gilardino a forza di buone prestazioni, nell'occasione appare in difficoltà e spesso ignorato dai compagni. Nel complesso, comunque, per l'ennesima volta davvero ottima l'impressione data dalla squadra veronese, solida, formata da giocatori non certo da buttare, fra cui spiccano i vari Oddo, Mutu, Camoranesi e Ferron, ben gestita da un allenatore che meriterebbe ben altre platee, ed a tratti bella da vedersi: un Chievo in piccolo insomma, tanto per intenderci.
Nei primi venti minuti è dominio Roma, con la squadra di Capello che attacca in forze e sfiora più volte in vantaggio: clamorosa a tal proposito la doppia occasione dopo pochi secondi, con Lima prima e Panucci poi ipnotizzati da un Ferron apparso ansioso di lasciare un buon ricordo prima di cedere il posto, od almeno dovrebbe essere così, al russo Nigmatullin.
Subisce troppo il Verona, ma anche nel momento di maggior difficoltà non dà mai l'impressione di una squadra in disarmo. E lo si vede dalla seconda metà del primo tempo, quando la Roma cala, penalizzata da un Delvecchio che
asseconda fin troppo poco l'azione dei compagni, e con Totti ed Emerson che non possono certo fare tutto da soli. Il Verona riprende coraggio, cerca con più insistenza l'azione offensiva, ma non è che metta gran paura ad
Antonioli, con una telefonata di Frick al portiere che rimane l'occasione più pericolosa. Una partita, insomma, che scivola via senza troppi sussulti, combattuta ma non certo bella. Fino al 40esimo, quando, con la gara ormai
avviata sullo 0-0 nei primi 45 minuti, errore grossolano di Zebina, Mutu in agguato ne approfitta e porta il Verona in vantaggio.
La reazione della Roma arriva solo nella ripresa, grazie a Capello che cambia e torna al modulo scudetto, con Batistuta, subentrato a Zebina, a far da perno centrale, Totti dietro e Delvecchio sulla sinistra. Nel trio di difesa arretra Panucci a prendere il posto del francese.
Roma che appare più viva, grazie ad un Delvecchio che nel suo ruolo vero torna Delvecchio, Totti, che non sbaglia una partita dai tempi di Carlos Bianchi, e Batistuta, bravo nelle sponde ed a tenere occupati i difensori avversari, favorendo gli inserimenti dei compagni.
Intanto sull'Olimpico cala il buio, ed ecco accessi i riflettori. Brutto segnale? Chissà, fatto sta che dieci minuti e Mutu raddoppia su contropiede.
Se regolarmente o meno difficile dirlo, certo che il fallo su Panucci sembra esserci, e se è vero com'è vero che la volontarietà non conta più niente, allora il goal sembrava da annullare.
Comunque la Roma non s'arrende, pochi secondi ed ecco la svolta: sinistro maligno di Assuncao, per una volta non su punizione, e la partita è riaperta. Entra Cassano per Delvecchio, due minuti e l'eurogoal del pareggio che scaccia le polemiche. Il resto è storia, con da una parte una Roma fra le più belle della stagione, con Totti, Cassano e compagnia a dimostrare, qualora ce ne ancora fosse bisogno, che la classe non è propriamente acqua,
e dall'altra un Verona bravo a sfruttare in contropiede i troppi errori di Samuel e compagni in difesa, ma non altrettanto nelle conclusioni, con Antonioli sempre sugli scudi. Fino alla zampata di Batistuta a 90esimo scoccato che regala a Capello i tre punti ma soprattutto un bomber (speriamo) finalmente ritrovato.

26^ Derby: Tripudio Roma (12/3/2002)

Grande, grandissima, incredibile, irresistibile, irripetibile. Fin troppo pochi gli aggettivi per una Roma che se citassimo punto per punto il dizionario non riusciremmo comunque ad elogiarla come merita. Nella storia ci entra Montella, che ne fa quattro, due di testa due di piede, umilia Nesta, distrugge la Lazio e, casomai ce ne fosse stato bisogno, entra ancor più nei cuori giallorossi. Assistito al meglio da un Totti straripante, che ci mette lo zampino praticamente sempre e chiude la goleada come solo lui sa fare. Insomma, Totti e Montella su tutti nell'incredibile prestazione di un collettivo che esalta finalmente i suoi attaccanti, si riprende la vetta della classifica e demolisce una Lazio mai vista, nel senso più negativo possibile del termine. Perché se nella Roma i meriti, per la partita certo,
ma in generale per un ciclo che ha portato allo scudetto e non sembra conoscere soste, vanno ad attribuirsi un pò a tutti in egual misura, da Sensi a Capello fino ai giocatori, nella Lazio ci sembra opportuno addossare le responsabilità per l'ennesima disfatta stagionale in parte alla società, che ha sì venduto (male) ma in fondo anche comprato (peggio), ma soprattutto a giocatori, ormai senza più un'anima, e tecnico, incomprensibile, come poi lui stesso ammetterà, nelle sue astruse decisioni. Perché giocare per la prima volta a tre nella partita più importante dell'anno non ci sembra esattamente sensato; perché cambiare improvvisamente modulo mettendo insieme undici che insieme non ci hanno mai giocato ci appare quantomeno discutibile; perché piazzare Baggio sull'esterno a fare praticamente il marcatore in un ruolo che per fisico ed istinto non sa e non potrà mai saper fare non l'abbiamo sinceramente ancora capita; perché in sostanza con queste e tantissime altre premesse non poteva finire che come è finita. E da tutto questo ecco che esce infatti un'anomala Lazio con poco senso davvero, modellata da Zac con una sorta di 3-3-2-2 dettato sì dall'emergenza ma soprattutto da una logica che se non è nulla poco ci manca: difesa a tre che tante disgrazie ha portato, con l'ex calciatore Mihajlovic, l'acciaccato Couto ed un Nesta che diventa gigante a quattro a zona, ma si fa piccolo piccolo se deve fare il marcatore, come dimostrerà con Montella. Davanti altra linea a tre, con, da destra a sinistra, Baggio, Giannichedda e Pancaro, tutti con licenza di difendere (malissimo i primi due, decentemente il terzo) rispettivamente su Delvecchio-Candela, Totti e Cafu. Per concludere con la "zaccheronata" di giornata: il doppio trequartista, con Stankovic e Fiore in appoggio (peggio) a Inzaghi e Crespo. Morale della favola: se la formazione dell'avversaria Lazio l'avesse fatta Capello difficilmente avrebbe saputo fare di meglio. Inutile dire che il modulo laziale, con la costante inferiorità numerica a centrocampo, si presta come non mai alle offensive dei punti di forza giallorossi: fasce e trequarti. Se poi si viene a sapere che per tutta la settimana provi la difesa a quattro e poi cambi idea a due ore dal derby, le perplessità possono solo aumentare. Tutto, o quasi, invariato invece nella Roma rispetto a Lecce, con l'unica novità rappresentata da Lima per Tommasi; in attacco confermato (mai decisione è stata più giusta) il trio Totti-Delvecchio- Montella, con
Batistuta ancora fuori. Neppure in panchina, nemmeno in tribuna, è rimasto a casa davanti alla TV: la giustificazione ufficiale dice che il tutto è concordato con la società per problemi fisici al solito ginocchio; quella più diffusa, ma non per questo anche più attendibile, sostiene invece la tesi della scelta tecnica con conseguente rifiuto della panchina di Bati. Quale delle due sia quella vera non possiamo di certo saperlo, e sinceramente non ce ne potrebbe importare di meno. Non è certo questa la serata per fare polemiche, quindi sorvoliamo che tanto siamo tutti contenti lo stesso. Nemmeno è cominciata e la partita sembra già segnata: Delvecchio e Candela sfruttano gli ampi spazi a disposizione e mettono sistematicamente in mezzo Dino Baggio, che non sa che pesci pigliare; ed allo stesso tempo Totti fa un po' quello che gli pare sotto la sterile marcatura (?) di Giannichedda; solo Pancaro riesce a frenare Cafu. Inevitabile al 12' arriva il vantaggio, ed il goal, più la costruzione che la finalizzazione, è di quelli che raramente si riescono a vedere: splendido Totti, che di tacco si libera di Stankovic e Fiore (Emerson dirà poi che gli sembrava di vedere la pelle del capitano scurirsi ed assomigliare a qualcun altro che chiamavano O'Rey), col telecomando Candela, che mette in mezzo di esterno destro a Montella, che anticipa Nesta e non sbaglia.
Zaccheroni prova a correre ai ripari, alternando Pancaro con Baggio. E la Roma risolve cambiando fronte d'attacco, passando da Delvecchio-Candela a Totti-Cafu. In attacco la Lazio non reagisce, con Inzaghi e Crespo non proprio in grande giornata, serviti poco e male e disastrosi quelle poche volte che la palla ce l'hanno fra i piedi. Solo Pancaro cerca il pareggio di testa, ma è tutto casuale, è la Roma che continua a dominare. Prima Cafu sbaglia il cross per Montella dopo un'incredibile fuorigioco sbagliato dalla Lazio, ma poi al minuto ventinove arriva il raddoppio col capolavoro di Totti: se ne va sulla destra, salta tre laziali, tiro respinto in miracolo da Peruzzi, ma Nesta si fa una di quelle dormite colossali che c'aspettiamo da tutti meno che da lui, e Montella insacca di rapina.
Credete sia finita? Minuto trentasei: Cafu è abbattuto, sulla palla ci va Totti, punizione millimetrica per Montella che anticipa ancora Nesta e mette dentro la tripletta, ancora di testa. E qui ecco la prima vera occasione per la Lazio, con la punizione di Mihajlovic che calcia perfetto e sembra andare all'angolo, ma Antonioli ci arriva e smanaccia. Dall'altra parte è protagonista, manco a dirlo, Montella, che su cross perfetto di Cafu stavolta ci va con sufficienza e sbaglia la più facile di tutte. Ripresa: Roma invariata, Lazio senza Nesta e Baggio, con Gottardi e Poborsky. La formazione si fa più logica, e torna il consueto 4-4-2. Stankovic va a fare l'esterno di sinistra ed azzecca da casa sua il destro che riapre la partita. La Lazio ha una fiammata d'orgoglio, la Roma sbanda e Capello corre ai ripari: dentro Tommasi, fuori Delvecchio, ed il 3-5-2 è rispolverato. Diciassette minuti e Montella chiude una volta per tutte i sogni laziali: cannonata da fuori, Peruzzi imbambolato, storico poker e la curva Sud può definitivamente festeggiare. Ma la Roma non si ferma, e Totti firma l'incredibile cinquina: pallonetto da film e Capello che può finalmente esultare una volta per tutte. Il resto è accademia, con gli olé del pubblico giallorosso, la curva Nord che si svuota prima del tempo, e l'ovazione finale per Montella che esce per Cassano. E dopo questo trionfo tante, troppe domande sorgono spontanee. Facciamo qualche esempio: Cragnotti (Sergio), ma non dovevate vincere tre a zero con goal di Nesta e Crespo? Cragnotti (Massimo), ma non pronosticava la vittoria con autogoal di Totti? Melli, ma come mai i (scalcinati) fluidi hanno fatto ancora cilecca? E potremo continuare all'infinito.del campionato.