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<<Basta con gli sprechi
e con i soldi buttati al vento come fossero coriandoli; è
ora di darci una regolata, il calcio non può continuare
così o rischia seriamente la bancarotta; è necessario
che le società capiscano e si avviino verso gestioni più
morigerate e maggiormente attente ai bilanci>>. Così, appena un mese e poco più orsono, sentenziava apparentemente convinto il neo-presidente di Lega Adriano Galliani, appena eletto dall'assemblea delle trentotto squadre fra A e B praticamente all'unanimità, eccezion fatta per Roma e poche altre, dopo mesi di interminabili discussioni e grazie in particolare al ritiro dell'altro unico vero concorrente, quell'Antonio Matarrese destinatario, fino a pochi giorni prima, della maggioranza dei consensi. Ed un po' tutti, fra quelli che contano davvero, s'erano accodati prontamente al neo-presidente, entusiasti dei numerosi proclami volti finalmente a riportare le eccessive spese nei confini della normalità e desiderosi di inaugurare così la nuova era illuminata del calcio italiano. Solite chiacchiere, o volontà effettiva di risanare con decisione un settore ormai sull'orlo del baratro, e tanto in crisi da proporre addirittura, per bocca di alcuni dei suoi più illustri rappresentanti, l'intervento dello Stato? Le mosse post-dichiarazioni sembravano assecondare la seconda, di ipotesi, con acquisti pochi, ingaggi faraonici per giocatori di secondo piano ridotti pressoché a zero, ed in più generale un mercato povero rispetto al passato, evidentemente di transizione, brutto a vedersi certo, inutile negarlo, ma sicuramente indispensabile per evitare al pallone di cadere nel burrone creato ad arte da presidenti ed affini negli ultimi anni di sperperi e follie. Limitati al massimo, fra le altre cose, gli acquisti eccellenti, tali solo per il nome dei giocatori: basti pensare a Rivaldo, ingaggio non da sottovalutare, certo, ma per giocatori così lo accettiamo senza sussulti, ma arrivato comunque a parametro zero; o magari a Cannavaro, portato a Milano da Moratti per un quarto della cifra richiesta inizialmente da Tanzi e famiglia. E allora, tutto bene? Tutto tornato finalmente sulla diritta via? Presidenti finalmente consapevoli degli spropositi passati e decisi a redimersi veramente una volta per tutte? Macché, troppo strano per essere vero, ed infatti. Ed infatti, dopo un paio di mesi di mercato (giustamente) soporifero, con acquisti sontuosi annunciati e dati per conclusi solo dalla fervida fantasia di giornalisti ed affini, resa ancor più vivace dalla mai assopita fame di soldi editoriali, ecco che, proprio alle battute finali della fase più corposa di un mercato mai chiuso, che dovrebbe riaprire i battenti già fra pochi giorni, esplodono i botti più fragorosi, che tornano a far dubitare della parola dei nostri dirigenti principe. Comincia la Juve spendendo uno sproposito (25 milioni, compreso il prestito di Brighi), considerati i tempi che corrono, per un giocatore, Di Vaio, sicuramente non da niente, ma ancora lontano dalla cerchia dei grandi. Affare da non sottovalutare, ma messo sotto sabbia da quello che succede poche ore dopo: Ronaldo, piagnucolando piagnucolando, alla fine raggiunge l'obiettivo ed approda al Real per 45 milioni; Moratti lo sostituisce con Crespo, valutato quasi 40 inclusa la cessione a Cragnotti di Corradi; ma il botto vero arriva con Nesta, che s'aggiudica Galliani per 30 milioni, senza contare la penale alla Van Dorn, quantificabile in circa 9 ed almeno per la metà a carico della società rossonera. Cifre da ridere, se confrontate con quelle degli anni passati, ma difficilmente trascurabili se sono veri gli oltre 700 milioni di euro di debiti del calcio italiano. Insomma: le dichiarazioni post-elezione, tanto in voga per un paio di mesi, vanno improvvisamente a farsi benedire, e lo stesso Galliani, nuovo (?) messia del calcio italiano (pensate come stiamo messi), le smentisce evidentemente con i fatti, come già fatto l'anno scorso con gli ottanta miliardi per Rui Costa. Speriamo per lui almeno che Nesta vada un po' meglio del deludente portoghese. Senza parlare di Cragnotti, che si esibisce in ironici balletti di mercato spendendo, nemmeno poco, senza poter poi neppure pagare (vedi Sorin, Oddo, Manfredini, Eriberto, Stam). Doveroso, se non altro, riconoscere al presidente laziale l'incredibile capacità di ingannare i tifosi, o clienti, come è d'abitudine chiamarli lui: prima per un paio di mesi va ripetutamente a sbandierare l'incedibilità dei suoi gioielli, Nesta e Crespo, in realtà trattandoli, più o meno sottobanco, un po' con tutti; poi li vende all'ultimo momento disponibile, additando motivi di bilancio, reali per carità, ma che non sono nati certo ora. Tifosi inferociti? Difficile biasimarli, pur condannando, naturalmente, gli atti di vandalismo visti all'Olimpico all'indomani delle eccellenti cessioni. Fedele al patto di fine spese pazze, rimane, fra i grandi, il solo Franco Sensi, che non accetta il ricatto juventino per Davids, valutato quanto e più di Nesta (per la serie se non ve lo vogliamo dare non ve lo diamo; fermo restando che con Moggi che scende di una decina di miliardi, arrivando intorno ai ventidue-ventitrè milioni di euro, rientrando ossia nella sempre meno frequentata sfera del senno, l'olandese è probabilmente già giallorosso). Ma finisce paradossalmente deriso da molti, in primis il suo allenatore, ancora una volta incoerente come spesso gli capita negli ultimi tempi. Ed allora la domanda sorge spontanea: chi preferite? Chi fa proclami e non li mantiene, con relativi sogni realizzati dei tifosi ma incubi dati al bilancio, con inevitabili ripercussioni future, o chi non si svena per dare un più ad una squadra già altamente competitiva, checché ne dica il suo allenatore, ma persegue in una gestione sana che da anni dà ampiamente i suoi frutti? La coerenza non è per tutti, e non è una novità, ma speravamo che almeno il masochismo, volto nel danneggiare se stessi, e l'animo ingannevole, in particolare verso il pubblico (= chi ti dà i soldi e ti permette di rimanere miliardario), fossero merci decisamente più rare. |